martedì 23 settembre 2014

Lost, dieci anni fa il primo episodio della serie ‘assoluta’

Il 22 settembre 2004 andava in onda il primo episodio di “Lost”, serie creata da J.J. Abrams e Damon Lindelof che ha cambiato per sempre il modo di fare, fruire e condividere la televisione: a dieci anni di distanza dall’esordio, e a quattro dalla fine della serie, ecco perché ancora oggi non si può prescindere dall’isola e dai suoi protagonisti 



Il 22 settembre 2004 si schiantava, su una non precisata isola del Pacifico, il volo Oceanic 815: portati per mano dai 48 sopravvissuti del volo della Oceanic Airlines da Sydney a Los Angeles, gli spettatori di “Lost” non sapevano allora che stavano per vivere un’esperienza che avrebbe fatto la storia della televisione. Creata da J.J. Abrams, Damon Lindelof, Carlton Cuse e Jeffrey Lieber, “Lost” è divenuta un vero e proprio fenomeno pop che, nonostante lo sciopero degli sceneggiatori del 2007 e la pressione del network (ABC) per allungare la serie di una stagione, ha saputo ritagliarsi un ruolo da protagonista nel mondo del racconto audio-visivo e diventare, nel bene e nel male, un punto di riferimento con cui fare i conti. 

A dieci anni di distanza dall’esordio, e a quattro dalla conclusione della serie, i fan e i detrattori di “Lost” ancora non si danno pace: orsi polari, botole, fumo nero e costanti sono ancora oggi simboli forti e suggestivi. In occasione del decimo anniversario della serie, spieghiamo in cinque punti, proprio come fa Charlie (Dominic Monaghan) nell’episodio “Greatest Hits, perché, per ogni appassionato di serie televisive, “Lost” è imprescindibile. 


#1 UNA SERIE NON CLASSIFICABILE 

Prima di “Lost” soltanto “Twin Peaks“, la serie madre della televisione moderna creata da David Lynch e Mark Frost, era stata in grado di staccarsi dalla triade “medici-avvocati-poliziotti” di cui la televisione era piena. Abbandonando strade già battute e personaggi stereotipati, Lynch creò un mondo singolare e straniante, gettando le basi per tutte le serie moderne. Forte dell’esperienza di “Twin Peaks” e di una maggiore libertà creativa ed economica, J.J. Abrams e soci sono riusciti a creare una serie per cui ancora oggi è difficile trovare un genere preciso che la descriva: fantascienza, avventura, thriller, drama, sovrannaturale, compendio di filosofia, “Lost” è tutto questo e molto di più. La prova è che in questi dieci anni in molti hanno provato a imitare la natura polimorfa della serie, ma senza riuscire a bissarne il successo e la perfetta alchimia: “FlashForward”, “Alcatraz” e altri hanno provato a ripercorrere quella strada, ma senza mai elevarsi all’altezza dell’originale. 

Menzione speciale per la musica di Michael Giacchino: il compositore, premio Oscar nel 2010 per la colonna sonora di “Up”, con la sua musica ha nobilitato “Lost”, contribuendo fortemente alla costruzione dell’identità della serie, un lavoro paragonabile solo a quello svolto da Angelo Badalamenti per (di nuovo) “Twin Peaks”. Un sodalizio talmente riuscito quello tra Giacchino e Abrams, da portarli a collaborare anche in “Fringe”, altra serie creata da Abrams, e nei successivi film del regista, tra cui “Star Trek” e “Super8″. 


#2 FLASHBACK, FLASHFORWARD E FLASHSIDEWAYS 

Se c’è una cosa in cui “Lost” ancora oggi resta imbattuta è la costruzione della storia su diversi livelli temporali: l’uso dei flashback per approfondire la storia dei personaggio è divenuto presto uno dei tratti distintivi della serie, che con il passare delle stagioni ha osato sempre di più e ha sperimentato con i flashforward (balzi temporali in avanti) e persino con i flashsideways (versioni alternative del presente). Nella quinta stagione gli autori, forse, si sono fatti prendere troppo la mano, ma sono riusciti sempre a mantenersi coerenti con la storia, a differenza di serie come “Heroes”, tragicamente deturpate dai salti temporali. Questi strumenti narrativi, insieme all’uso massiccio del cliffhanger (il colpo di scena finale), hanno reso possibili alcuni dei momenti migliori di “Lost”, come il celeberrimo “we have to go back” (dobbiamo tornare indietro) della terza stagione, la puntata gioiello della quarta stagione “La costante” o la grande rivelazione finale. 


#3 RIFERIMENTI 

Come ogni opera di culto che si rispetti, “Lost” è grande anche per l’uso, più o meno esplicito, di importanti riferimenti culturali: la colonna vertebrale della serie, fondata su grandi classici della letteratura, può vantare omaggi a capolavori come “Il signore delle mosche“, “Cuore di tenebra“, “Alice nel paese delle meraviglie“, “Il mago di Oz” e “I fratelli Karamazov” (che gli spettatori più attenti avranno individuato come matrice alla base del tanto discusso finale), alla Bibbia, basti pensare alle puntate intitolate “Il salmo 23″ ed “Esodo” e al cognome del protagonista Jack Shephard (pastore), e ad alcuni dei più grandi filosofi illuministi, come Locke, Hume e Rousseau, che danno il cognome a personaggi chiave. Accanto a questa base colta, “Lost” è zeppo di riferimenti alla cultura pop: basti pensare ai discorsi di Hugo (Jorge Garcia) su “Star Wars“, “Ritorno al Futuro” e “Indiana Jones“. 


#4 FRUIZIONE E CONDIVISIONE 

“Lost” ha fatto la storia anche per quanto riguarda l’evoluzione della fruizione delle serie tv e la loro condivisione da parte del pubblico: prima di “Lost” il pubblico era abituato a guardare le serie televisive aspettando il giorno d’uscita in televisione e, soprattutto per quanto riguarda i paesi come l’Italia, la messa in onda locale, molto spesso in estremo ritardo rispetto a quella originale. Con la serie creata da J.J. Abrams, grazie anche alla disponibilità della tecnologia adatta, gli spettatori hanno abbattuto le distanze tra messa in onda originale e del paese d’appartenenza, costringendo le televisioni locali a riconsiderare i tempi di programmazione: per quanto riguarda l’Italia, la sesta stagione di “Lost” è stata trasmessa da Sky, in lingua originale con sottotitoli in italiano, a un giorno di distanza dalla programmazione americana, e, doppiata, una settimana dopo, arrivando a mettere in onda il finale in contemporanea con l’America. Se oggi in Italia serie come “The Walking Dead” e “The Leftovers” sono trasmesse in contemporanea con l’America è merito soprattutto di “Lost”. Altro aspetto esploso con la serie è stata la condivisione social: gli spettatori, impazziti per i misteri di “Lost” e stimolati dagli autori (che hanno disseminato la serie con indizi, hanno diffuso mini episodi tra una stagione e l’altra e creato videogiochi come The Lost Experience e Find 815), hanno creato vere e proprie comunità di appassionati, dato vita a LostPedia (sito interamente dedicato alla serie ispirato a WikiPedia) e cominciato a usare in massa i social network per scambiare commenti e opinioni sulla serie. Una pratica che oggi è la norma, ma che è cominciata dieci anni fa proprio con “Lost”. 


#5 SCIENZA E FEDE 

Al di là di tecniche narrative, riferimenti e fenomeni di condivisione, la bellezza di “Lost” sta nell’aver saputo creare una storia e dei personaggi in grado di parlare, con linguaggio moderno, di temi universali come l’amore, la morte, l’elaborazione del lutto, l’eterno conflitto tra scienza e fede e l’importanza di comunicare e condividere il proprio destino con gli altri: facendo proprio il verso di John Donne “nessun uomo è un isola“, gli autori di “Lost” hanno saputo costruire una grande epopea epica dal valore universale, in cui sono toccati tutti i temi tipici della grande letteratura. A prescindere dalla risoluzione dei misteri, “Lost” è sempre stata soprattutto un viaggio di formazione, una ricerca spirituale e morale, un percorso in cui i personaggi, e il pubblico, si sono interrogati sulle grandi domande (“che senso ha la vita?”, “cos’è l’amore?”, “quanto conta il libero arbitrio?”) che l’umanità si pone dall’alba dei tempi, il tutto rappresentato con immagini forti, basti pensare alla botola o alla stessa isola. Un viaggio che, parafrasando il finale di “Lost”, è servito soprattutto “per ricordare e farcene una ragione“.


Pubblicato su TvZap.

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