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martedì 2 settembre 2014

Guillermo Arriaga, nove registi per raccontare la religione in "Words with Gods"

Il regista, ospite alla Mostra di Venezia dove ha presentato il suo nuovo lavoro, progetto collettivo a "18 mani" sul rapporto con i diversi credo, racconta: "Ogni religione dovrebbe essere un punto d'incontro, non una giustificazione per la morte o il rifiuto" 




VENEZIA - In passato ha affrontato, come sceneggiatore, le diverse sfumature della morte e dell'incomunicabilità tra le persone nella cosiddetta "trilogia della morte"- il tris di pellicole Amores perros, 21 grammi e Babel -, firmata insieme al collega Alejandro González Iñárritu e ha messo in scena una famiglia distrutta nel suo esordio The Burning Plan, presentato nel 2008 proprio al festival di Venezia: oggi, tornato al Lido per la 71esima Mostra d'Arte Cinematografica, il regista messicano Guillermo Arriaga ha scelto di parlare del suo rapporto con Dio e con la religione nel film collettivo Words with Gods, coinvolgendo nel progetto altri otto colleghi. Presentata fuori concorso, la pellicola coinvolge in tutto nove autori di altrettante nazionalità e religioni, cui è stata data carta bianca per parlare della loro visione del divino: un'impresa difficile e ambiziosa, fortemente voluta da Arriaga, ideatore del progetto. 

Il regista messicano ha scelto personalmente i colleghi: lo spagnolo Alex de la Iglesia, l'indiana Mira Nair, lo jugoslavo Emir Kusturica, il giapponese Hideo Nakata, l'israeliano Amos Gitai, l'argentino Hector Babenco, l'iraniano Bahman Ghobadi e l'australiano Warwick Thornton. Arriaga ha lasciato per sé l'ultimo corto, Il sangue di Dio, dedicato all'ateismo, in cui dal cielo comincia improvvisamente a piovere sangue quando un uomo si uccide dopo aver sentito Dio dirgli del suo desiderio di morire. Un tema certamente complesso e una metafora potente, racchiusi in un progetto cui ha partecipato anche Peter Gabriel, che ha composto la musica per questo corto. Abbiamo discusso del progetto proprio con Arriaga, voce gentile e sguardo cristallino, che ci ha parlato del suo rapporto con la religione e dei suoi progetti futuri. 




Lei è il creatore del progetto: perché ha voluto realizzare un film su Dio? 

"Sono convinto che la religione non possa essere una giustificazione per la morte o il rifiuto: credo piuttosto che dovrebbe essere un punto d'incontro. La morale del nostro film consiste nel dire che è arrivato il momento di conoscerci l'un l'altro davvero. E credo nel fatto che il cinema possa essere una delle forze in grado di portare avanti questo processo". 

Nei suoi film, come Babel, spesso le persone non riescono a comunicare: oggi viviamo un paradosso in cui grazie alla tecnologia riusciamo a essere sempre connessi con chiunque e ovunque ma forse non comunichiamo sul serio. Secondo lei come mai? 

"Siamo informati: ma non comunichiamo davvero. Credo che anzi ci siano sempre più problemi di comunicazione: ed è terribile perché quando ci sono problemi a capirsi si diventa nemici. Per me il cinema può essere un veicolo, magari modesto, ma comunque un mezzo efficace per guardarsi intorno e arricchire la propria mente. Grazie a Words with Gods per esempio ho scoperto che in India le case hanno una stanza dedicata a Dio o che in Giappone hanno otto categorie di sofferenze: è una cosa importante apprendere perché con una maggiore conoscenza si può comunicare meglio". 

Quindi che opinione si è fatto degli ultimi avvenimenti nella striscia di Gaza? Pensa che anche lì ci sia un problema di comunicazione dovuto alla differenza di religione? 

"Credo che debbano fermarsi: devono fermarsi. Dobbiamo tornare alle origini del problema e smettere di focalizzarci ogni volta su chi ha lanciato i razzi per primo: se si continua ad accusare l'una o l'altra parte si andrà avanti all'infinito. Per uscirne davvero deve esserci però la volontà di trovare un accordo da parte di entrambi ed è necessario anche il supporto della comunità mondiale". 

Come ha messo insieme il gruppo di Words with Gods? 

"Ho scelto tutti i registi personalmente: ho una profonda ammirazione per ognuno di loro. Inoltre volevo dei registi che avessero una voce originale, una forza visiva che significasse qualcosa e che fossero ben consapevoli della religione di cui avrebbero parlato: volevo che ognuno di loro fosse immerso in quella determinata cultura". 

Lei ha scelto di parlare dell'ateismo: nel suo corto c'è una metafora molto forte, sembra quasi che il mondo stia per collassare. Cosa voleva dire? 

"Io sono ateo e volevo realizzare qualcosa di ambiguo: volevo che guardando il corto la gente si facesse delle domande, come: Dio esiste? Dio può morire? È solo la visione di un uomo che è impazzito e vuole uccidersi? Volevo essere il più ambiguo possibile e confondere lo spettatore. Non voglio emettere una sentenza sull'argomento: voglio suscitare dei sentimenti e far sorgere delle domande. Credo che l'arte difficilmente possa dare delle risposte ma che invece debba porre domande". 

Generalmente le persone credenti etichettano negativamente gli atei dal punto di vista morale. Lei invece si fa delle domande e si interroga. Come risponderebbe a una critica del genere? 

"Gli atei possono essere estremamente morali, esattamente come tutte le altre persone. L'altro giorno parlavo con una persona religiosa che mi ha detto: 'Tu sei ateo, quindi sei un nichilista' e gli ho chiesto perché pensasse questo. La sua risposta è stata: 'Perché dal tuo punto di vista nessuno ti sta guardando': mi domando perché la conclusione sia questa. Io mi guardo ogni giorno: non ho bisogno di qualcuno che mi giudichi o mi punisca, so cosa è giusto o sbagliato e mi comporto di conseguenza. Desidero essere una brava persona esattamente come gli altri: non vedo perché un ateo debba per forza essere immorale. Un ateo è un umanista: non guarda in alto ma direttamente negli occhi delle persone che ha di fronte". 

Spesso nei suoi film sono messi in scena rapporti difficili tra genitori e figli: come mai la colpiscono così tanto i drammi familiari? 

"Mi affascina la complessità delle relazioni umane: non siamo bianchi o neri, credo che il mondo sia governato dal paradosso e per questo amo personaggi pieni di contraddizioni. Amo il fatto che guardando i miei personaggi la gente possa dire: "Lo detesto ma lo capisco". Inoltre quando scrivo è come se non avessi davvero una mia volontà: è come se una forza esterna mi obbligasse a scrivere quello che vedo nella mia mente". 

Allora crede che ci siano delle forze più grandi dell'uomo? 

"Non devono essere necessariamente forze divine: sono umori che si trovano nell'aria, che derivano dalle esperienze delle altre persone che ti sono intorno. Quello che mi ispira è tutto ciò che arriva dall'esterno: leggendo i notiziari, ascoltando i racconti degli amici. Queste sono le forze esterne a cui mi riferisco". 

Perché nel suo corto è data grande importanza alla natura? 

"Ho usato la metafora della natura perché l'uomo è in cima alla natura e può cambiare il mondo: in un certo senso ha il destino della natura nelle sue mani e quindi deve prendersene cura". 

Ha qualche nuovo progetto in cantiere? 

"Sto finendo un romanzo e ho appena concluso un altro progetto collettivo: si intitola Rio, I Love You, simile al progetto Paris, je t'aime, sono uno dei dieci registi coinvolti". 

Ha salutato il suo collega Iñárritu qui al festival? Ha visto il suo nuovo film Birdman? Pensa che lavorerete ancora insieme in futuro? 

"No. Gli auguro fortuna per il suo film ma non credo che lavoreremo più insieme. Abbiamo divorziato".


Pubblicato su Repubblica.it

martedì 3 giugno 2014

Adrien Brody, da pianista a imperatore: "Sarò Carlo V, il più potente del mondo"

Il nuovo progetto dell'attore premio Oscar, "Emperor", diretto da Lee Tamahori. Il primo ciak in agosto, fra Repubblica Ceca e Belgio. "Ma se mi offrissero un personaggio dei fumetti sarei felicissimo..." 



ADRIEN Brody diventa Carlo V di Spagna. Si intitola Emperor il nuovo film che vede protagonista l'attore americano, che abbiamo incontrato a Cannes durante l'ultimo Festival del cinema, elegante in completo grigio perla, magrissimo, voce profonda. Diretto da Lee Tamahori, il film racconta l'asceda del signore del Sacro Romano Impero, "l'uomo più potente del mondo", dice Brody. "Il film prende ispirazione dalla situazione contemporanea dell'Europa - spiega il regista - sono affascinato dalla storia e nel periodo sotto Carlo V c'è il tentativo di unificare l'Europa, si comincia a parlare di moneta unica, comincia a essere concreto il problema delle migrazioni di massa, si diffonde la stampa. È un periodo in cui la Storia inizia a cambiare per sempre, si fanno grandi passi avanti. Mi affascina la figura di quest'uomo che ha regnato su un territorio vastissimo, minacciato da ogni lato, e ha cercato di lasciare la sua impronta nel mondo". Le riprese del film, scritto da Michael Thomas III e Jeffrey Hatcher, cominceranno ad agosto nella Repubblica Ceca e in Belgio ma l'attore, premio Oscar per Il pianista, ha già cominciato la sua campagna promozionale. 


Brody, una bella sfida. 
"Il mio compito è trovare la mia verità personale in un personaggio che è realmente esistito: nel film ci saranno molte interpretazioni ed elementi di fantasia, ma comunque rimarremo fedeli all'idea di come un uomo di quel tempo e con quel potere si sarebbe comportato. Il mio obiettivo è questo: rendere giustizia alla sua complessità e fornire le giuste sfumature". 

Conosce il personaggio, ha dovuto documentarsi... 
"Per ogni ruolo faccio un grande lavoro di ricerca, e passo gran parte del tempo ad assorbire e studiare i comportamenti umani. Rubo molti dettagli e li assimilo. Anche mia madre, che è una fotografa, ha questo stesso approccio: lei cerca sempre il messaggio silenzioso pieno di significato. E così faccio io: invece della macchina fotografica uso me stesso e cerco di trovare nel mio percorso personale un qualcosa che sia vero per farlo poi emergere quando interpreto un ruolo. Attualmente sono coinvolto in diversi progetti e per ognuno mi sento molto responsabile". 

Ha in mente qualche uomo di potere al quale ispirarsi? 
"Certamente, ma non mi piace fare nomi. Svelare così, seduti in una stanza, i segreti di come si costruisce un personaggio toglie un po' di magia al film: dissezionare il ruolo e svelare i miei riferimenti mi porta fuori. Il concetto stesso di celebrità è controproducente per la bellezza del cinema: non conoscere nulla della persona che interpreta quel determinato personaggio secondo me dà forza al film. Cerco sempre di tenere separati i miei personaggi dalla vita privata per non rovinare la bellezza e la magia del cinema". 

Ha spesso accettato ruoli complessi, drammatici. Se le offrissero un personaggio tratto da un fumetto? 
"Non mi offrono quei ruoli, non so perché. È curioso, perché avrei davvero voluto interpretare Joker: mi affascina molto, è scritto in maniera affascinante. Heath Ledger ha fatto un ottimo lavoro, ma per me sarebbe stata una benedizione: un ruolo del genere supportato da una produzione così e diretto da un regista del valore di Nolan. I cinecomics mi affascinano perché trasformano un disegno in qualcosa di vero e magico. Se mi dessero la possibilità di interpretare un villain e di dargli lo spessore degno di un attore, lo farei. Iron Man è un ottimo esempio: hanno dato a un grande attore la possibilità di fare suo il personaggio e di renderlo unico grazie al suo humour e alla sua personalità. In questo modo vengono coinvolti sia gli appassionati di fumetti che le persone che non hanno mai letto un albo. E poi, i cattivi sono sempre più divertenti da interpretare". 

L'attore in grado di interpretare Szpilman in Il pianista può entrare nelle scarpe di Schwarzenegger? 
"Ho fatto Predators esattamente per dimostrare questo. Ma restando allo stesso tempo fedele all'originale, pur conferendo un po' di modernità al personaggio. I soldati contemporanei non sono muscolosi come Arnold, ci abbiamo messo più realismo. Se devi fare un reboot oggi secondo me devi proporre qualcosa di nuovo e coraggioso rispetto all'originale. Per questo ringrazio Robert Rodriguez che ha lottato per me in Predators, nonostante lo scetticismo iniziale della Fox e le critiche dei fan. La soddisfazione poi l'ho avuta dopo il film: fan storici della pellicola mi hanno ringraziato per aver restituito genuinità alla serie".


Pubblicato su Repubblica.it

venerdì 28 febbraio 2014

Jennifer Connelly: "Per la prima volta a letto col regista"

Abbiamo incontrato l'attrice premio Oscar dopo la presentazione del film "Aloft" di cui è protagonista insieme a Cillian Murphy e Mélanie Laurent. Ci ha raccontato dei suoi ultimi film, dell'essere madre e del suo rapporto con il marito Paul Bettany 



Sguardo di ghiaccio, magrezza impressionante e atteggiamento fiero: Jennifer Connelly, bimba prodigio passata dal set di "C'era una volta in America" di Sergio Leone, in cui era la giovane Deborah, ai labirinti costruiti dal re degli gnomi più cool che si sia mai visto, ovvero il Duca Bianco David Bowie, in "Labyritnth", ha vissuto su un set per gran parte della sua vita, fino a ottenere l'Oscar per la sua interpretazione in "A beautiful mind" di Ron Howard. Dopo la statuetta, l'attrice ha diluito la sua presenza sullo schermo, per dedicarsi alla famiglia: sposata da undici anni con il collega Paul Bettany, la Connelly ha avuto dal compagno due bambini, il secondo nel 2011, e, dopo qualche tempo lontana dalle scene, è tornata a lavoro a pieno ritmo, con ben quattro pellicole in arrivo sul grande schermo quest'anno. Una di queste è "Aloft", film della regista peruviana Claudia Llosa, in cui recita al fianco di Cillian Murphy e Mélanie Laurent. 

Jennifer Connelly ci ha parlato di questo suo ritorno in grande stile: "Mi ero presa una pausa perché ho avuto un altro bambino: non ho lavorato durante la gravidanza e nemmeno nel primo anno di mio figlio. Quindi quando sono tornata a lavoro mi sono arrivate molte proposte e ho affrontato più progetti insieme. E' stato eccitante tornare a lavorare. Il mio ritmo di lavoro è molto rilassato: in genere faccio un paio di film e poi mi prendo una pausa. Quando ho trovato tutti questi progetti per me così interessanti invece ho deciso di affrontarli uno dietro l'altro, ma non è stata una scelta calcolata". 

In "Aloft" Jennifer interpreta Nana, una madre single che si separa dai figli quando scopre di avere dei poteri misteriosi. 
"Ho amato la sceneggiatura, penso che sia bellissima, avevo visto il film precedente di Claudia (Llosa) e mi aveva colpito molto; conoscendola mi sono trovata benissimo con lei: creativamente siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Quindi ho accettato con gioia il ruolo". 

Sul set l'attrice ha respirato un'atmosfera particolare e cosmopolita. 
"Il cast proviene da ogni angolo del mondo: Claudia è peruviana e vive in Spagna, Mélanie (Laurent) è francese, Cillian (Murphy) irlandese, sul si respirava un'atmosfera molto aperta. Lavorare a questo film con queste persone mi ha dato molta gioia, è stata un'occasione di crescita personale. Credo che Claudia sia una vera artista: ha un buon giudizio, è in grado di creare delle immagini meravigliose ma non è sentimentale. Sa cosa le piace, è molto intuitiva e come regista è molto fluida. Lavorerei di nuovo con lei subito: anche se mi affidasse un piccolo ruolo. Con lei si è creata un'alchimia perfetta. Mi piace molto come si approccia ai personaggi: in questo film i protagonisti fanno delle scelte che sono difficili da giudicare ma lei li rappresenta come degli esseri umani. Tutti i protagonisti sono a pezzi e per me girare un film con dei personaggi del genere è coraggioso: odio quelle pellicole in cui tutti si possono etichettare solo come buoni o cattivi. Nessuno è perfetto. Ogni persona che conosco ha dei difetti: quando cresciamo tutti ci trasformiamo in degli adulti con luci e ombre. Girare un film in cui i personaggi sono così vicini agli esseri umani reali per me è fondamentale". 

Nel film l'attrice interpreta una madre insolita, una figura quasi mistica che abbandona i suoi figli
"Credo che il mio personaggio in realtà sia molto pratico, appartiene alla terra e non è una figura eterea. Poi la sua vita cambia e diventa qualcos'altro ma la Nana che impariamo a conoscere è un essere umano in tutto e per tutto. Per quanto riguarda la spiritualità credo che le cose che non siamo in grado di capire siano molte di più di quelle che effettivamente conosciamo. Almeno per quanto mi riguarda". 

Il personaggio di Nana dunque è una madre molto diversa da quella che Jennifer Connelly è nella realtà, come ha sottolineato lei stessa. 
"Essere madre ha condizionato il mio lavoro in generale, non solo in questo film. Essere madre ha cambiato ogni aspetto della mia vita. Per quanto riguarda il personaggio di Nana lei è una madre molto diversa da come sono io, non mi riconosco in lei". 

Tra gli altri progetti di Jennifer Connelly in uscita quest'anno ci sono "Storia d'inverno", "Noah", il colossal biblico di Darren Aronofsky con protagonista Russell Crowe, e "Shelter", storia d'amore e povertà scritta e diretta da Paul Bettany, marito dell'attrice. 
"Paul ha scritto la sceneggiatura, ha diretto il film e mi ha affidato una parte. Non so se il ruolo che ha scritto sia stato pensato apposta per me, questo bisognerebbe chiederlo a lui. Insieme abbiamo girato diversi film come attori, le nostre strade lavorative si sono incrociate diverse volte, siamo sposati da undici anni e abbiamo avuto due bambini, insieme abbiamo vissuto diverse esperienze e situazioni, siamo un po' come cane e gatto e spesso siamo circondati dal caos. Quindi lavorare insieme in questo film è stato facile, si è instaurato subito un rapporto di fiducia totale, cosa fondamentale visto che, essendo un film a budget molto basso, abbiamo avuto pochissimi giorni a disposizione per girare. Inoltre è stata la prima volta in assoluto che sono andata a letto con il regista".


Pubblicato su Trovacinema.

giovedì 17 ottobre 2013

Intervista: Generazione The Pills, "Ecce bombo" trent'anni dopo

Parlano Luca Vecchi, Luigi Di Capua e Matteo Corradini: per tutti i The Pills, autori della fortunata webserie che ha conquistato un vero produttore. La seconda stagione, oltre che su YouTube, andrà in onda anche in televisione, su Italia1 

Luigi Di Capua, Luca Vecchi e Matteo Corradini


La, seconda, nuova stagione della loro fortunata webserie, già online da qualche giorno e presto su Italia1, è costata 250mila euro, "più o meno come 3 minuti di Don Matteo" osserva ironico Matteo Corradini, raccontando come sia riuscito ad ottenere un finanziamento dalla Taodue di Pietro Valsecchi. Luca Vecchi, Luigi Di Capua e Matteo Corradini sono i The Pills, gruppo di giovani amici romani che è riuscito a trasformare la quotidianità in lavoro riprendendo le proprie conversazioni a metà tra il surreale e il grottesco. Il passatempo è diventato "The Pills", quasi tre milioni di visualizzazioni su YouTube, una collaborazione con radio Deejay e la messa in onda televisiva su LA3

Ora la seconda stagione, appena iniziata sul web, in collaborazione con il regista Matteo Rovere e con la casa di produzione Taodue. Racconta Valsecchi "La prima volta che ci siamo visti ho detto loro "vorrei fare Ecce Bombo 30 anni dopo". E loro mi hanno risposto "anche noi"". 
Un bel salto, quello di un prodotto che smette di essere amatoriale. “In realtà il sistema produttivo è rimasto lo stesso in termini pratici - racconta Luigi di Capua - adesso però possiamo dare i soldi al fonico e all'operatore. Il set è rimasto sempre casa di Luca". Nessuna concessione, promettono da veri duri e puri della Rete, alle esigenze di "ripulitura" del linguaggio imposte dal passaggio televisivo. Promette Matteo Corradini: "Non credo che la genuinità sia basata sul linguaggio, quello che usiamo è rimasto lo stesso, di parolacce ne diciamo anche di più, e non credo che i nostri spettatori si accontentino di questo. Comunque di parolacce ne diremo sempre tantissime”. 

Una seconda stagione 100% The Pills, dunque, con personaggi già visti nella prima serie come Betanì e new entry come Angela. Ci saranno anche dei nuovi ospiti che sono effettivamente degli attori, come Claudia Vismara e Elena Cucci. Tutto, però, all'insegna della produzione "casalinga", ci tiene a sottolineare Luigi di Capua: "Ci sono sempre amici, amici di amici, non abbiamo fatto dei veri e propri cast”. L'ispirazione arriva, come sempre, dai mostri sacri, che nel caso dei The Pills sono South Park, Simpson e Griffin. Il risultato è importante: quello di essere i portavoce, insieme a personaggi come Zerocalcare, della generazione nata negli anni '80 e cresciuta nei '90. Una responsabilità secondo Luca: “È un argomento delicato, abbiamo vissuto prima il bombardamento dei videoclip, eravamo la MTV Generation, poi abbiamo vissuto il passaggio alla digitalizzazione, che è il livello successivo del bombardamento mediatico. Quindi siamo quella generazione che si trova sulla sottile linea di chi sa di tutto un po' però paradossalmente è vecchio”. 

Luigi preferisce buttarsi sul sarcasmo: "Siamo quella linea sottile di chi si faceva le pippe con le cassette e poi ha avuto lo streaming”. Argomenta Luigi: “Non è che ci siamo mai posti l'obiettivo di voler raccontare la nostra generazione, anche perché se provi a raccontarla già fallisci. Deve essere una cosa molto naturale, probabilmente la racconti prendendola per il culo e prendendoti in giro tu in primis, non mettendoti su una cattedra, ma criticando te stesso e tutti quanti come abbiamo sempre fatto. Quindi per noi non è semplicemente 'Fabio Volo è una merda', ma 'Fabio Volo è una merda ma ci vai a ruota': non vogliamo prendere una posizione precisa, non perché non lo vogliamo ma perché è ridicolo prenderla su queste cose, e analizzare le varie sfaccettature di questa generazione. Forse è per questo che piacciamo sia al radical del Pigneto che al regista di 50 anni o al diciottenne coatto che ti ferma per strada”. 

La tv, anche per chi vive di web, c'è ed è una fonte di ispirazione. Nella serie ci sono vari riferimenti a serie di successo. Matteo si dichiara: “Personalmente in lutto perché è finito Breaking Bad". Per quanto riguarda l'ispirazione, le atmosfere arrivano da Friends, Louie, Seinfeld, Curb your enthusiasm, South Park, Griffin. In generale, ammette Luca, il metodo è quello di guardarne milioni: "Bombardamento totale, a tappeto". E anche questo, spiega Luigi, "è tipico della generazione anni '80/'90: è una generazione che non ha un punto di riferimento, non ha un'ideologia anche in termini di gusto, ma fagocita tutto. Esattamente come Zerocalcare: i suoi riferimenti spaziano dai cartoni animati giapponesi, cartoni della Disney, personaggi della letteratura, di tutto". 

Una disinvoltura a 360 gradi, che rischia di naufragare di fronte ai commenti negativi, come racconta Luca: "Io la prendo malissimo: mi drogo. Mi accascio, mi squaglio. Si può pensare che siamo dei cinici insensibili ma in realtà non è così: più la critica è gratuita e più non me ne capacito. Quando leggo scritto “certo che siete proprio dei froci” mi chiedo perché. Criticami sul montaggio, sulla fotografia, sui contenuti, sulla recitazione...”. Mentre Luigi trova l'aspetto positivo: “Spesso nel mondo del cinema e della televisione le persone vengono circondate solo da yesmen che le esaltano e perdono così il contatto con la realtà, invece la critica è fondamentale”. Matteo preferisce lo scontro frontale: “Questo discorso per le critiche in generale è verissimo e giustissimo: su YouTube me ne frego. La gente scrive cose terribili e io rispondo a tono in maniera ancora più violenta e senza senso. Oggi sulla pagina ci hanno scritto “ma come, un mese d'assenza e solo 29 secondi di video”? Io ho scritto “quanto hai speso per questa serie? Dimmi che ti rimborsiamo”. E lui “ah grandi, stavo scherzando”. Si, si...”. 

Ma non esistono solo gli haters, la Rete è anche il nuovo terreno delle groupies. Luigi si sminuisce: "Vabbé non siamo mica i Rolling Stones! Siamo tre pagliacci!", e gli fa eco Luca: “Andresti mai con Prezzemolo di Gardaland? La risposta è no”. “La cosa bella, veramente, veramente bella, - spiega Luigi - è che a volte ti ritrovi a parlare con delle persone con cui non parleresti mai, persone che normalmente snobbi e che ti snobbano e che invece ti fermano. Come appunto un ragazzino di 18 anni che fa il liceo con cui chiacchieri un quarto d'ora e che normalmente invece non incontreresti mai. Questo è molto interessante, perché sei stimolato a parlare con persone totalmente sconosciute”.


Pubblicato su Repubblica.it

martedì 15 ottobre 2013

Homeland, Carrie 58 giorni dopo

Su Sky da questa sera la terza stagione di “Homeland”, serie sul tormentato rapporto tra Carrie Mathison, agente della CIA interpretata da Claire Danes, e Nicholas Brody, marine divenuto terrorista 



Appuntamento su Fox, da questa sera, con “Homeland”, serie scritta da Howard Gordon e Alex Gansa, che nel breve spazio di due stagioni ha conquistato critica e pubblico: la storia dell'agente della CIA Carrie Mathison, geniale analista affetta da disturbo bipolare, e della sua ossessione non solo professionale per Nicholas Brody, ex marine passato al nemico dopo otto anni di prigionia in Iraq, ha appassionato gli spettatori e regalato ai protagonisti Claire Danes e Damian Lewis diversi premi prestigiosi, tra cui il Golden Globe e l'Emmy Award. Un successo tale da portare perfino Barack Obama a esprimere il suo apprezzamento per la serie, come ha confermato la stessa attrice protagonista, che è stata ospite alla Casa Bianca: “Il presidente mi ha detto: mi piace molto la tua serie. Ma chissà se l'ha veramente mai vista...”. 

La popolarità della serie è talmente manifesta da aver convinto anche la stessa CIA a incontrare, a fine settembre, gli attori e gli autori di “Homeland” nel suo quartier generale a Langley, in Virginia: “Durante la nostra a gita mi è sembrato quasi di essere tornata ai tempi del liceo” ha dichiarato la Danes, che ha rivelato: “C'era un lungo tavolo pieno di agenti della Cia e poi c'eravamo noi, seduti proprio di fronte, come se fossimo pronti a scoprire i nostri giochi. Loro non potevano dirci niente, in realtà. E noi non potevamo dire loro niente del nostro show. Che genere di conversazione avremmo potuto mai avere?”. Alex Gansa, showrunner della serie, è rimasto molto colpito dall'incontro, riflettendo sul fatto che tra realtà e finzione non ci sono poi grandi differenze: “Entrambi costruiamo set. Entrambi interpretiamo ruoli. Ed entrambi facciamo brainstorming: loro sulle operazioni, noi sulle storie delle puntate”. 

Non stupisce dunque che ci sia una certa attesa per la terza stagione di “Homeland”, che questa volta affronterà dall'interno le paranoie e le paure del popolo americano, mettendo in discussione la CIA stessa: all'inizio della serie, che in America ha debuttato lo scorso 29 settembre, ritroviamo i personaggi esattamente 58 giorni dopo il tragico evento con cui si è conclusa la serie precedente, ovvero l'attentato terroristico ai danni proprio di Langley, quartier generale della CIA. L'attentato nel cuore della sicurezza americana ha fatto perdere credibilità all'agenzia, che rischia di essere chiusa prima ancora di potersi riprendere dalla perdita di duecento e più dipendenti. 

Il grande assente della terza stagione è Brody: fuggito con l'aiuto di Carrie subito dopo l'attentato, il marine ha fatto perdere le sue tracce ed è considerato il responsabile principale dell'attentato, divenendo di fatto il ricercato numero uno d'America. Nella fuga Brody lascia dietro di sé altre macerie oltre a quelle di Langley: la figlia Dana (Morgan Saylor) e la moglie Jessica (Morena Beccarin). Alla CIA invece Saul (Mandy Patinkin), capo e mentore di Carrie, prende il comando del Centro Antiterrorismo e, per ridare immediata credibilità all'agenzia, sceglie una linea dura. “Carrie non è mai stata più isolata e infelice, alienata” - aveva raccontato Claire Danes parlando della terza stagione, che secondo l'attrice sarà: “Sempre più dark”.


Pubblicato su Repubblica.it

giovedì 10 ottobre 2013

Vi manca Housewives? C'è Devious Maids: le domestiche latine, tutt'altro che disperate

Rosalyn Sanchéz e Edy Ganem, le protagoniste di "Devious Maids", nuova serie firmata da Marc Cherry e prodotta da Eva Longoria, dal 9 ottobre su Fox Life, hanno solcato il pink carpet del Roma Fiction Fest 



Sono belle, intelligenti, sono latine. Sono le protagoniste di Devious Maids, la nuova serie creata da Marc Cherry, il papà di Desperate Housewives e prodotta dalla più "caliente" delle casalinghe disperate, Eva Longoria. Appuntamento il 9 ottobre su Fox Life per scoprire l'aspetto meno visibile di Beverly Hills: quello delle domestiche che si occupano di ville faraoniche e spesso devono anche gestire le discriminazioni da parte dei loro datori di lavoro. Proprio come in Desperate Housewives la storia prende le mosse da un omicidio: una giovane cameriera viene uccisa e la madre, la professoressa Marisol Suarez (Ana Ortiz), si finge una domestica per poter scoprire chi e perché ha ucciso la figlia. Nel corso della sua indagine Marisol conoscerà la metà oscura dei signori di Beverly Hills, che nelle loro magioni nascondono montagne di segreti, e stringerà amicizia con altre donne latine dalla forte personalità, tutte domestiche: l'aspirante cantante Carmen (Roselyn Sanchéz), Zola (Judy Reyes) e sua figlia Valentina (Edy Ganem), che sogna di fare la stilista e cerca di far innamorare il figlio dei suoi datori di lavoro. 




A raccontarci qualche dettaglio in più sono proprio due delle protagoniste di Devious Maids, Rosalyn Sanchéz e Edy Ganem, incontrate a Roma dove sono state ospiti del Roma Fiction Fest

Personaggi lontani dagli stereotipi, una serie originale che racconta quel mondo in modo nuovo. Che serie è Devious Maids? 
Roselyn Sanchéz: "È una serie che mi ha convinta proprio per come sono scritti i personaggi femminili. Di fronte al titolo la gente pensa subito allo stereotipo della cameriera latina tutta cha cha cha e sedere grosso. Invece qui si dà voce a donne intelligenti, ben istruite, con sogni e ambizioni e in grado di sostenere una conversazione con chiunque, a prescindere dal ceto sociale". 

Edy Ganem: "È così, è un prodotto che riesce a non cadere nel cliché ma parla di esseri umani, con la loro forza, le debolezze, i sogni e le delusioni. Lo stereotipo semmai è in chi le circonda. Diacimo che c'è un ribaltamento della prospettiva e questo è uno degli aspetti che rende la serie interessante". 


Roselyn, il suo personaggio, Carmen, vuole essere una cantante e nella realtà lei lo è, ha scritto un musical e pubblicato un cd. 
R. S.: "Mi piace il fatto che la serie mi permetta, ogni tanto, di esibirmi con il canto. Quando ho letto la sceneggiatura la prima volta, ho sentito subito vicino a me il personaggio perché ne comprendo gli stati d'animo. Ho lasciato Puerto Rico a 22 anni con il sogno di diventare una performer, so che cosa significa rincorrere un'ambizione. Credo che Carmen sia molto più impulsiva, è pazza, io sono più metodica, non mi piace mettermi nei guai, ma credo sia una benedizione poter interpretare un personaggio che capisco e che mi fa cantare e ballare. Mi piacerebbe poter fare di nuovo della musica, vorrei fare un numero di danza, per divertirmi, magari non un cd, sono troppo vecchia per quello, forse un videoclip..." 

E.G.: "...mi raccomando, se nel videoclip ci sono delle cameriere, chiamami!" 

R. S.: "Certo! Ci vestiamo tutte da cameriere. Vediamo cosa succede: sarebbe più per soddisfazione personale, non voglio essere come quelle cantanti che lanciano una propria linea di moda". 


Edy, il suo personaggio, Valentina, vorrebbe essere una stilista. Lei che rapporto ha con la moda? 
E. G. : "Amo la moda ma, anche se non si può mai dire, non penso che farei mai la stilista, non credo di averne il talento. Mi vesti in modo semplice, mi piacciono gli abiti funky, comodi, indosso sempre Converse e leggings. Valentina è molto più coinvolta, ma essendo una ragazza posso capire questa passione: quando giro le scene ambientate nella camera di Valentina ci sono i disegni, la macchina da cucire, per me è come un mondo magico, divertente, ma che probabilmente non approfondirò mai". 

R. S.: "Questo è quello che dice lei, ma io dico di no. Ormai sono il suo manager... Edy è una bellissima giovane donna e credo che le opportunità che le si presenteranno nella vita saranno enormi. Quindi quello che farà sarà avere la sua linea di moda, senza che debba disegnare nulla: avrà un team di designer che lo farà per lei e alla fine si prenderà il merito e dirà che far parte del progetto è stato molto coinvolgente. Poi la venderà e guadagnerà milioni di dollari. Perché no? Lo fanno tutti! Credete veramente che gli altri disegnino le loro linee? Certo che no!". 


Voi siete entrambe attrici di successo, forse anche voi avete in casa persone che vi aiutano. Girare Devious Maids ha cambiato in qualche modo il vostro rapporto con loto? 
R. S.: "Non per me. Io ho in casa Olga, una donna che è con me da tantissimi anni, è latina come me e non mi sono mai comportata da capo pretendendo, che so, che indossasse una divisa. Anche se pulisce la mia casa, per me Olga è di famiglia, conosco i suoi figli fin da piccoli, in più le piace molto che io lavori in questa serie, si diverte, le dico sempre che cerco di essere come lei, ha un accento molto marcato e cerco di copiarla, e questo la fa ridere". 

E. G.: "Credo che dipenda da chi sei: in Messico non devi essere per forza ricco per avere un domestico, noi avevamo una signora in casa e per me e i miei fratelli faceva parte della famiglia, ci separava quando noi fratelli litigavamo, avevamo un bel rapporto. Però so che ci sono persone che si comportano malissimo, a volte succede anche al ristorante di vedere persone molto maleducate con le cameriere, io non potrei mai comportarmi così: credo che il modo in cui tratti gli altri dipenda da chi sei e i domestici fanno parte della tua vita. Il modo in cui ti comporti con loro corrisponde al modo in cui ti comporti con le persone".




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sabato 5 ottobre 2013

Filippo Timi, com'è tonto quel candidato

Un signor nessuno in corsa per la Presidenza del Consiglio: impacciato e incapace, ma aiutato da un team di "squali". È la webserie "Il candidato", nel cast Antonio Catania e Lunetta Savino. Un ritratto feroce dell'Italia di oggi e della sua politica 



Piero Zucca è un imbecille ed è candidato alla Presidenza del Consiglio. Ad aiutarlo nella sua campagna elettorale degli spin doctors pronti a tutto pur di racimolare consensi. Questa è la trama di Il candidato, webserie prodotta da Cross Productions da un format originale francese, Henaut President!. In ogni episodio (durano 7 minuti l'uno) Zucca, interpretato da un Filippo Timi irresistibile eautoironico, e i suoi restituiscono allo spettatore un ritratto feroce dell'Italia di oggi. 

La webserie è stata presentata in anteprima al Roma Fiction Fest, che si è appena concluso, alla presenza del cast, del regista Ludovico Bessegato e del produttore Rosario Rinaldo che avevano già lavorato insieme per il web in Kubrick - Una storia porno. "Vado avanti per frustrazione - dice Rinaldo - il mio lavoro è fare la fiction classica, che però si è troppo logorata e standardizzata e quindi per me è diventata meno interessante. Ho cercato quindi di affrontare una via produttiva più stimolante. Il fatto che sia una web serie però non vuol dire che non sia un prodotto di qualità: questo è un lavoro pensato e recitato da grandi professionisti, non come i prodotti medi che si vedono sul web. Lavorare con questi giovani è interessantissimo ma è tutto un altro mondo: sono come le band musicali, hanno bisogno di essere guidati". 

Il giovane regista Ludovico Bessegato ha raccontato qualcosa sullo sviluppo del progetto: "Quattro anni fa mi proposero questo format francese, Henaut President!: l'ho visto e mi sono subito innamorato, ma non erano maturi i tempi. Poi dopo Kubrick ho ottenuto più credibilità e ho potuto mettere mano a questa serie che parla di un candidato alla Presidenza del Consiglio che è un idiota completo, consigliato da persone ancora più assurde. Non abbiamo fatto la parodia di situazioni precise, abbiamo voluto dare un'idea del paese, volevamo ridere dei sistemi di comunicazione, sul fatto che ormai il politico non è un veicolo di contenuti ma un prodotto da vendere". 

Nei panni degli spin doctors del protagonista ci sono Antonio Catania e Lunetta Savino, quest'ultima in un ruolo molto diverso da quelli a cui ci ha abituato: "Ho fatto tanti anni di fiction classica e questa è stata un'occasione per rinfrescarmi - spiega l'attrice - è una sfida che ho accettato per rischiare e sperimentare. È un modo nuovo di girare per me e anche il personaggio che interpreto, così cinico e poco amorevole, è molto diverso dai personaggi che ho fatto in tv". Anche Catania sottolinea come i tempi sul set fossero molto diversi da quelli a cui è abituato: "Questo è un prodotto che ha dei tempi precisi, sono stretti e così abbiamo evitato sbrodolamenti e dialoghi inutili della fiction classica. La storia è più efficace, una bella sfida. Inoltre sono contento di poter far di nuovo parte di un progetto 'con i denti' dopo l'esperienza in Boris". 

Scrittura intelligente e satira pungente (a tratti ricorda proprio Boris) e ben interpretato, Il candidato è uno dei prodotti più interessanti e freschi del panorama produttivo italiano, che sarà trasmesso su internet e forse anche sul piccolo schermo.


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mercoledì 2 ottobre 2013

"Altri tempi" riapre le case chiuse: era il 1958, la Merlin cambiò l'Italia

La miniserie di RaiUno, che ha aperto la settima edizione del Roma Fiction Fest, racconta il dramma della prostituzione attraverso gli occhi di una professionista del sesso, Maddalena, interpretata da Vittoria Puccini 



Nel 1958 fu approvata la legge, formulata dalla senatrice Lina Merlin e che ancora oggi porta il suo nome, che ha portato alla chiusura delle case di tolleranza. La lotta della senatrice Merlin per far approvare la legge è durata più di dieci anni e ha duramente diviso l'opinione pubblica italiana: fatti noti, che però non raccontano come hanno vissuto l'abolizione delle case chiuse le dirette interessate. La miniserie in due puntate Altri tempi, prodotta da Rai Fiction e girata da Marco Turco, racconta proprio questo attraverso gli occhi della prostituta Maddalena, interpretata da Vittoria Puccini. Svela com'era la vita nelle case tolleranza e cosa ha comportato la loro chiusura nella vita delle professioniste del piacere. 

Nella mini-serie Vittoria Puccini interpreta una ragazza violentata in giovanissima età e abbandonata da tutti che, per mantenere la figlia nata dalla violenza, è costretta a fare la prostituta prima in case chiuse di basso livello e poi in un locale di classe, dove diventa una delle professioniste più richieste. La Puccini, convincente in questo ruolo drammatico, dà umanità al suo personaggio, che si chiama simbolicamente Maddalena, nome della più famosa peccatrice, e racconta con intensità il lato umano della legge Merlin. Nel cast figurano anche Stefania Rocca, nel ruolo di Duchessa, la prostituta che insegna tutti i trucchi del mestiere a Maddalena, e Francesco Scianna

La miniserie, composta da due puntate da 100 minuti l'una, ha aperto la settima edizione del Roma Fiction Fest, dove è stata presentata in anteprima. Al gala d'apertura sono intervenuti il regista Marco Turco e i protagonisti, diverse personalità dello spettacolo italiano, come Lino Banfi, Paola Cortellesi e Renato Balestra, e alcuni degli ospiti internazionali del Festival, come Dean Norris, protagonista di serie culto come "Breaking Bad" e "Under the Dome",e le attrici di "Devious Maids", Roselyn Sanchez e Edy Ganem, nuova serie di Marc Cherry, autore di "Desperate Housewives". 

"Altri tempi", che è stata girata interamente a Torino, andrà in onda su Rai Uno in prima serata questo autunno.


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