domenica 27 aprile 2008

Sondaggio: Chi sono i migliori attori emergenti di Hollywood?

Eccoci al secondo sondaggio di Eyes Wide Ciak!

Ultimamente Hollywood è sommersa da volti nuovi, giovani, freschi e molto talentuosi.

Nuove leve stanno facendo tremare colleghi altrettanto giovani ma in circolazione da più tempo come Natalie Portman, Scarlett Johansson e Keira Knightly.

Secondo voi chi sono la migliore attrice e il migliore attore emergente?

Per votare cliccate sui riquadri della colonna di destra.

The Girls are:

1) Anne Hathaway ("Brokeback Mountain", "Il diavolo veste Prada")


2) Ellen Page ("Juno")


3) Emmy Rossum ("Il Fantasma dell'Opera", "L'alba del giorno dopo", "Mystic River")


4) Evan Rachel Wood ("Across the Universe", "Alla scoperta di Charlie")


5) Katherine Heigl ("Grey's Anathomy")


6) Kate Bosworth ("Supermen Returns", "21")


7) Sienna Miller ("Factory Girl", "Interview")




The Boys are:

1) Emile Hirsch ("Into the wild")


2) James McAvoy ("Espiazione")


3) Jim Sturgess ("Across the Universe", "21")


4) Paul Dano ("Little Miss Sunshine", "Il Petroliere")


5) Ryan Gosling ("Lars e una ragazza tutta sua", "Il caso Thomas Crowford")


6) Shia Leboeuf ("Transformers", "Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo")


7) Wentworth Miller ("Prison Break")



Allora vediamo un pò chi ha fatto breccia nel vostro cuore!

Per votare cliccate sui riquadri nella colonna di destra.

sabato 26 aprile 2008

L’altra donna del re

Quando la Storia diventa una soap opera.



Inghilterra, 1500: due giovani e belle fanciulle di buona famiglia, le sorelle Mary (Scarlett Johansson) e Anne (Natalie Portman), stanno per prendere parte ad uno dei triangoli amorosi più torbidi della storia dell’umanità.
Sì, perché le due sorelle in questione non sono due ragazze qualsiasi: di cognome fanno Boleyn e l’uomo al vertice di questo triangolo è niente di meno che Enrico VIII (Eric Bana), re d’Inghilterra.
Enrico è impaziente di avere un figlio maschio in modo di assicurarsi una salda discendenza, ma la sua sposa, Caterina D’Aragona (Ana Torrent), gli ha dato solo una figlia femmina e una serie di bambini nati morti. Per rimediare alle “mancanze” della moglie Enrico cerca giovani fanciulle in grado di soddisfare le sue esigenze e, spinto dal suo consigliere il Duca di Norfolk (David Morrisey), va a far visita a Lady Elizabeth Boleyn (Kristin Scott Thomas), che ha due splendide figlie in età da marito.
Mary ha appena sposato William Carey (Benedict Cumberbatch), un modesto nobile, e quindi è fuori dai giochi, Anne invece è la figlia scelta per sedurre il re e convincerlo a fare di lei la sua amante. Anne però è troppo ambiziosa e orgogliosa e invece di sedurre il re lo umilia pubblicamente, causandogli una brusca caduta da cavallo. Entra in gioco allora Mary, più semplice e remissiva, che con la sua dolcezza conquista i favori del re.

Natalie Portman e Scarlett Johansson

Costretta ad andare a corte, Mary diventa l’amante di Enrico e finisce per innamorarsene. I due avranno un figlio maschio, ma Anne, decisa ad avere il suo momento, approfittando della gravidanza della sorella, tesse una sottile tela di seduzione e attira a sé il desiderio del re.
La sua abilità è tale da convincere Enrico a cacciare Mary e suo figlio, ad esiliare la regina e a sposarla, causando la rottura con la Chiesa Cattolica.
Anne diventa quindi regina, il massimo per una ragazza ambiziosa come lei, ma i problemi arrivano quando il primo figlio avuto dal re si rivela essere una femmina e la sua posizione crolla del tutto quando perde il secondo figlio prematuramente.
L’epilogo della vicenda è noto: Anne sarà decapitata, il re sposerà Jane Saymur (e successivamente altre quattro donne) e quella figlia apparentemente sfortunata e non voluta si rivelerà essere Elisabetta I, la più grande sovrana d’Inghilterra.
Il regista Justin Chadwik, fino ad ora solamente regista televisivo, confeziona una pellicola pomposa, patinata e più simile ad una soap opera che a un grande dramma in costume.
La vicenda presto abbandona i binari dell’intrigo politico per seguire quelli dei movimenti in camera da letto, costruendo un intreccio di amori e tradimenti che alla lunga annoiano anche il più pettegolo degli spettatori. Dalla pellicola sembra che Enrico VIII abbia regnato ragionando con i suoi attributi maschili piuttosto che con il cervello, arrivando a separarsi dalla Chiesa Cattolica Romana soltanto per il capriccio di avere una donna, e che si occupasse soltanto di chi avere nel letto piuttosto che amministrare un’intera nazione!

Eric Bana

Inoltre il tema centrale, il rapporto tra le due sorelle, non è ben trattato dato che il film si limita a presentare le due ragazze l’una l’opposto dell’altra: Mary è dolce, gentile e bionda, Anne è invece ambiziosa, manipolatrice e bruna; la caratterizzazione dei personaggi si ferma qui, non emerge infatti quel rapporto complesso di amore – odio che avrebbe dovuto catalizzare l’attenzione dello spettatore. Le due fanno a gara a chi è più seducente e bella, a chi riesce meglio a soddisfare il re, costruendo una storia degna della miglior puntata di Beautiful.
La regia si allinea perfettamente al taglio dato alla storia e risulta spesso ridondante - soprattutto nelle innumerevoli inquadrature ai palazzi con cielo plumbeo sullo sfondo - a volte quasi barocca, volendo strafare con l’effetto “occhio che guarda dal buco della serratura”.
La musica è ripetitiva e monotona, spesso anonima e per nulla incisiva.
La fotografia è cupa e si ispira spudoratamente a quella del film “Elizabeth” di Shekhar Kapur ma senza ottenere lo stesso effetto di intrigo e mistero.
Nota di merito invece ai costumi, fedeli ai quadri d’epoca e molto ricercati nei dettagli (come la collana con la “B” portata da Anna Bolena).

Natalie Portman e Eric Bana

L’unico punto di forza della pellicola è il cast: il duo Natalie Portman – Scarlett Johansson catalizza l’attenzione e tra le due attrici si instaura un duello di bravura. La Portman vince a mani basse sul piano dell’interpretazione e - ma forse non tutti saranno d’accordo - anche dal punto di vista estetico: la Portman ha un viso molto più espressivo ed è dotata di un grande talento, la Johnasson invece sembra avere a disposizione una gamma ben misera di espressioni e si riscatta soltanto nel finale.
Eric Bana se la cava discretamente, anche se il suo è un Enrico VIII decisamente più in forma di quello che la storia ci ha tramandato, riuscendo a modulare la sua interpretazione a seconda che si trovi ad interagire con l’una o l’altra sorella.
Ottimo il cast di contorno: ritroviamo, nei panni del fratello delle due Boleyn, il sorprendente Jim Sturgess (l’indimenticabile Jude di “Across the Universe”), la raffinata Kristin Scott Thomas (che dà una lezione a tutti), un perfido David Morrisey e un Benedict Cumberbatch viscido (visto nel ruolo di Paul Marshall in “Espiazione”).
Ma un ottimo cast non può salvare un film lacunoso nella sceneggiatura e nella regia, e la pellicola a lungo andare annoia, rovinandosi definitivamente in un finale frettoloso e non sfruttato appieno.
Peccato perché avrebbe potuto essere un buon film.

La citazione: "Ho lacerato questo paese in due per voi!"

Voto: ♥♥

Pubblicato su Superga Cinema.

Juno

Tutto fumo e niente arrosto.



Juno mi ha deluso: forse perché, con tutto il clamore che ha suscitato e gli importanti premi vinti, mi aspettavo una commedia geniale con dialoghi memorabili e un ritmo serrato.
Invece non è assolutamente il film piccolo-capolavoro che tutti dicono.
La storia è semplice: Juno (Ellen Page), una ragazzina di 16 anni, decide di fare sesso con il suo miglior amico, Bleeker (Michael Cera), e rimane incinta. All’inizio Juno decide di abortire, ma poi opta per l’opzione di tenere il bambino e affidarlo in seguito ad una famiglia agiata e onesta.
Durante i nove mesi della gravidanza Juno impara a conoscere la coppia a cui dovrà affidare il suo “coso”: Vanessa (Jennifer Garner) e Mark (Jason Bateman), complicando ancora di più la situazione. Ma tutto sommato la storia trova l’immancabile happy ending che ogni commedia che si rispetti deve avere.

Ellen Page e Michael Cera


Detto questo, vista la linearità della vicenda, tutto dovrebbe essere incentrato sulla caratterizzazione dei personaggi e sui dialoghi, ma entrambi sono molto mediocri: Juno è la protagonista assoluta e dovrebbe coinvolgerci nel suo dramma personale di 16enne poco più che bambina rimasta incinta prematuramente, invece risulta spesso irritante, con il suo linguaggio pieno di “Occha”, gli epiteti riferiti al futuro bambino del tipo “coso”, “fagiolo”, “pescetto”, che vogliono far vedere come la ragazza neghi l’accaduto e invece risultano forzati e irritanti, il suo definirsi continuamente strana e diversa, quando tutta la sua diversità sta nel suonare in una band (se fosse così il mondo allora sarebbe strapieno di matti fricchettoni), non fare la cheerleader e usare un telefono a forma di hamburger! In realtà l’unica cosa che la rende diversa è la gravidanza: altro che genio incompreso, il problema di Juno è la sua estrema banalità e normalità.
Per non parlare di Bleeker: un vegetale lobotomizzato con un pò di vita solo negli arti inferiori visto che per tutto il film non fa altro che correre (con dei calzoncini gialli orrendi per di più!).
I genitori sono tremendi: quelli di Juno praticamente non hanno reazioni normali, da veri genitori, perché accolgono la notizia con una leggerezza disarmante, della serie “tanto il bambino lo affidiamo, che ci importa se nostra figlia a 16 anni è già incinta?”; i futuri genitori adottivi non sono da meno: Vanessa è una nevrotica ossessionata dalla perfezione e dall’idea di avere un bambino e Mark è un uomo non cresciuto che vuole ancora fare il fighetto atteggiandosi a rock star.

Ellen Page

La storia inoltre è piena di ingenuità: possibile che la protagonista faccia il test di gravidanza per tre volte prima di convincersi che è incinta? Diamine ragazza hai fatto sesso non protetto a 16 anni, hai gli ormoni a mille e ti aspetti che non succeda nulla?! E poi il padre di lei che si limita a chiedere chi è il padre: ma insomma una reazione normale tipo sbraitare per mezz’ora sull’irresponsabilità di questa incosciente di figlia? E Juno come è possibile che si preoccupi più del ballo della scuola che non del fatto che dentro di sé ha un essere vivente, che voluto o non voluto comunque c’è ed è il frutto della sua leggerezza? Il problema è che ad un certo punto il personaggio sarebbe dovuto maturare, avrebbe dovuto prendere coscienza delle sue responsabilità, invece una volta liberatasi del bambino Juno torna a fare quello che faceva prima: suonare la chitarra con il suo amico decerebrato. Chi ci dice, vista l’ottusità dei personaggi, che non ci potrebbe essere un Juno 2 con un altro “fagiolo” in arrivo? E cosa più assurda di tutte: come mai nessuno si preoccupa realmente del bambino? Juno lo ignora, i genitori di Juno lo vedono come un incidente e basta, Vanessa lo vuole a tutti i costi ma solo per completare il suo quadro di donna perfetta e alla fine questo bambino non è altro che la scusa per far parlare ed incontrare dei personaggi noiosissimi.

Jennifer Garner, Jason Bateman, Ellen Page

Ridicola la caratterizzazione dei personaggi: Juno invece che essere diversa per il pensare in maniera più profonda e per avere interessi e aspirazioni fuori dal comune, lo è perché si veste da maschiaccio e suona in una band, Bleeker ha poster di astronavi in camera e questo dovrebbe renderlo più interessante, allora chiunque può appendersi in camera un poster del corpo umano così gli altri possono pensare “wow che tosto questo, farà il chirurgo!”, la matrigna di Juno fa l’estetista e adora ritagliare figure di cani dai giornali e poi è acida e sfrontata perché è noto che le estetiste sono un po’ selvagge ma tanto “di cuore” (?!), l’amica di Juno vorrebbe tanto stare con un professore che ha trent’anni più di lei, Mark, l’aspirante padre adottivo, guarda film horror e ha una stanza piena di fumetti e di cimeli da rock star fallita, Vanessa si preoccupa solo della tinta da applicare alle pareti della camera per il bambino, di foto e giocattoli da comprare… Alla fine la cosa più trasgressiva del film è che Juno vomita un frullato di colore blu in un vaso della matrigna!
Insomma è vero che il tema è delicato e che l’idea di trattarlo con i toni della commedia è interessante, ma così è una presa in giro!

Ellen Page


In realtà non c’è un’analisi vera della realtà filtrata dal tono dissacrante della commedia, ma solo una serie di gag e di battute, dal dubbio gusto, spiattellate, un po’ a caso, al pubblico.
Uniche cose degne di nota sono Ellen Page, che è brava e sicuramente farà strada, e la colonna sonora, che alla fine è la cosa che rimane più impressa.
Per quanto riguarda la chiaccheratissima sceneggiatura di Diablo Cody il premio Oscar è esagerato, è vero che i dialoghi in italiano sono efficaci la metà rispetto a quelli originali, ma se vogliamo parlare di una commedia brillante con una sceneggiatura veramente speciale allora ricordiamo “Little Miss Sunshine”: quello si che era un grande piccolo film!
Insomma Juno sarà carino, sarà facile e scorrevole (vista anche la breve durata), qualche sorriso lo strapperà pure, ma non venite a parlare di capolavoro: ne è distante anni luce!

La citazione:
"- Juno sei tu?
- No sono Morgan Freeman!"


Voto: ♥♥

Buon Compleanno a me!

E' il mio compleanno: per oggi sono una Birthday Girl!

Tanti auguri a me!


venerdì 25 aprile 2008

Citazione cinematografica n. 12

"Che puoi usarmi una cortesia Harry? Crepa!"

da:
Nata ieri

Judy Holliday, Broderick Crawford e William Holden


Titolo originale: Born Yesterday
Regia: George Cukor
Anno: 1950
Interpreti: Judy Holliday, William Holden, Broderick Crawford

lunedì 21 aprile 2008

Tutti pazzi per l’oro

Dopo cinque anni la coppia Hudson – McConaughey si ritrova.



Mare cristallino, spiaggia bianchissima, pesci tropicali dai mille colori, sub palestrati, belle ragazze in bikini e tesori sommersi…un momento! Questo film l’ho già visto! Non è “Trappola in fondo al mare”? Purtroppo no: è un’ennesima variazione sul tema “cercatori di tesori belli, bravi e buoni in vacanza ai caraibi” di cui non si sentiva certo la mancanza.
Benjamin Finnegan (Mattew McConaughey) è da otto anni alla ricerca di un tesoro, appartenuto ad un re spagnolo, sommerso vicino alle coste della Florida. Sua moglie Tess (Kate Hudson), appassionata di storia, lo ha seguito fino ad ora in questa folle impresa, ma, dopo aver speso gran parte della sua giovinezza con questo bambinone mai cresciuto ed irresponsabile, decide di dare una svolta alla sua vita e chiede il divorzio.
Decisa a tornare a casa, a Chicago, per rifarsi una vita e riprendere gli studi, Tess trova lavoro sullo yacht del multimilionario Nigel Honeycutt (Donald Sutherland).

Mattew McConaughey

Nel frattempo Benjamin si è cacciato in un brutto guaio: per le sue ricerche si è indebitato con un borioso rapper, che si fa chiamare Bigg Bunny (Kevin Hart), e non ha i soldi per pagarlo.
Scampato miracolosamente agli scagnozzi del rapper, Ben convince Nigel e sua figlia Gemma (Alexis Dziena) a finanziargli la ricerca del tesoro perduto.
Lo strano gruppo, a cui si aggiunge anche Tess, è coinvolto così in una folle corsa alla ricerca dell’oro, tra sparatorie, immersioni, tombe misteriose, indizi ambigui, false piste, inseguimenti su moto d’acqua e folli voli in aereo.
Sulla carta il film potrebbe sembrare un’occasione per divertirsi, una pellicola estiva, fresca, divertente e senza troppe pretese, ma fin dalla prima scena si capisce che non è così: cercando di far ridere a tutti i costi, il film fa la parodia di se stesso.

Kate Hudson

I dialoghi elementari e ridotti al minimo indispensabile farebbero accapponare la pelle a chiunque e l’idiozia della storia annoia fin dai primi minuti. Inoltre ad affiancare i due protagonisti ci sono delle macchiette insopportabili: il sub ucraino che parla in modo strano, gli scagnozzi coatti del rapper, la ragazzina ricca, viziata e non tanto sveglia, che ricorda tanto Paris Hilton, il criminale russo spietato e con la bocca perennemente all’ingiù e perfino la coppia di cuochi gay, paciosi e tanto simpatici…In più ritroviamo sullo schermo una delle peggiori coppie che si siano mai viste ad Hollywood: dopo “Come farsi lasciare in 10 giorni”, Kate Hudson e Mattew McConnaugay tentano nuovamente di farci sorridere, con esiti ancora più tragici.

Kate Hudson, Mattew McConaughey e Donald Sutherland

McConnaugay si conferma come una delle facce meno espressive del cinema, dimostrando che gli addominali scolpiti vanno bene per uno spot di Dolce & Gabbana, ma non per reggere un intero film, e la Hudson sfodera tutto il suo repertorio di smorfiette ammiccanti e vivaci che alla lunga snervano. In tutto questo caos, dispiace vedere un attore del calibro di Sutherland sprecato in un film del genere. Alla fine dopo l’incredulità iniziale, lo spettatore è sommerso da una noia mortale, tanto da desiderare la fine imminente di questo giocattolone infernale.
Il regista è Andy Tennant, lo stesso di “Hitch”, che, rispetto al film con Will Smith, ha decisamente fatto un passo indietro.
Insomma tanti soldi e tanti mezzi, ma evidentemente usati male.
Vedete di non sprecare i vostri per andarlo a vedere.

La citazione: "Tesoro non è stata la Florida a rovinarti, sei stata tu. Hai sposato un uomo per il sesso e ti aspettavi che fosse anche intelligente!"

Voto:

Pubblicato su Meltin' Pot.

sabato 19 aprile 2008

Citazione cinematografica n. 11

"Vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio, italianiiii!
Elettori, inquilini, coinquilini, casigliani! Quando sarete chiamati alle urne per compiere il vostro dovere ricordatevi un nome solo: Antonio La Trippa! Italiano vota Antonio La Trippa! Italiano vota La Trippa!"

da: Gli Onorevoli


Original: id.

Titolo originale: id.
Regia: Sergio Corbucci
Anno: 1963
Interpreti: Totò, Peppino De Filippi, Gino Cervi, Walter Chiari, Anna Campori

lunedì 14 aprile 2008

Alla ricerca dell’isola di Nim

Tra eroi scanzonati, animali amici e isole misteriose il divertimento naufraga.


Nim (Abigail Breslin) è una ragazzina che vive su un’isola incontaminata con suo padre Jack (Gerard Butler), un biologo marino.
Nim ha sempre vissuto in questo paradiso terrestre: sabbia bianchissima, mare cristallino, animali per amici e un vulcano spento sullo sfondo.
Un giorno Jack parte per mare alla ricerca di rari protozoi e, a causa di una tempesta, rimane bloccato in mezzo all’oceano.
Dall’altra parte del mondo, una scrittrice nevrotica di nome Alenxandra Rover (Jodie Foster) non esce di casa da quattro mesi e sta completando il suo ultimo romanzo. Alexandra è infatti l’autrice di una fortunata saga di avventure per bambini, che ha per protagonista Alex Rover (interpretato sempre da Butler), un avventuriero senza macchia e senza paura. Anche Nim adora Alex Rover e immaginate la sua sorpresa quando questi le manda una email chiedendole di suo padre Jack. In realtà è Alexandra a scriverle, perchè vuole dei chiarimenti circa il vulcano che si trova sull’isola dove vive Nim. Tra le due si instaura presto una fitta corrispondenza elettronica e quando Nim capisce che suo padre è disperso e si vede occupare l’isola da una mandria di turisti barbari, non esita a chiedere aiuto al suo eroe.

Abigail Breslin

Il problema è che Alex Rover non esiste, c’è solo Alexandra, che soffre di agorafobia, è ossessionata dall’idea dei germi, mangia solo zuppa in scatola e parla con il suo personaggio come se esistesse realmente in carne ed ossa.
Dopo un primo momento di panico puro e rifiuto, l’istinto materno e la curiosità per un mondo sconosciuto alla fine prevalgono: messi in valigia flaconi su flaconi di disinfettante e chili di lattine di zuppa precotta, Alexandra parte per l’isola di Nim. Il viaggio è lungo, difficile e pieno di imprevisti. Nonostante ciò, la scrittrice riesce a raggiungere la bambina, che all’inizio rimane sorpresa e delusa perchè si aspettava un eroe aitante e forte, ma alla fine il desiderio di avere qualcuno su cui contare conquista entrambe e l’happy end è assicurato.
“Alla ricerca dell’isola di Nim” è tratto dal romanzo omonimo di Wendy Orr ed è destinato ad un pubblico giovanissimo. Però al contrario di film simili, che strizzano l’occhio anche agli adulti, questa pellicola è adatta veramente solo a chi non ha più di dieci anni: la storia è troppo semplice, troppo zuccherosa, quasi ingenua. Alcune soluzioni della sceneggiatura sono strampalate e irritanti: va bene che è un film per bambini, ma non esageriamo! La regia è piatta e totalmente impersonale, più da spot pubblicitario di viaggi vacanze che da film. La colonna sonora è spesso invadente ed eccessiva, tanto da risultare a volte fastidiosa e benché i paesaggi siano stupendi, non si può fare a meno di pensare a ben altre isole misteriose (si spera di vedere da un momento all’altro i superstiti del volo Oceanic 815!). Il cast ce la mette davvero tutta ed è la cosa migliore del film: simpatica, brava e perfetta nei panni di Nim la piccola Abigail Breslin, che si è fatta conoscere con il ruolo di Olive nel bellissimo “Little Miss Sunshine”, bello, bravo e ironico Gerard Butler nel doppio ruolo del padre affettuoso e dell’eroe parodia di se stesso, divertente la Foster che finalmente si cimenta in un ruolo leggero, senza cannibali o assassini alle spalle (anche se nei ruoli drammatici offre molto di più). I momenti migliori sono i dialoghi tra Butler e la Foster quando la scrittrice crede di parlare con la sua creatura letteraria.

Gerard Butelr e Jodie Foster

Ma un grande cast non basta a impedire alla pellicola e soprattutto al divertimento di naufragare dopo la prima mezz’ora: presentati i personaggi il film non ha più nulla da dire e si trascina a fatica tra personaggi improbabili e situazioni assurde a volte snervanti. Infine il tutto si riduce ad una noia mortale. Peccato perché il plot era interessante e poteva essere reso molto meglio, visto che la pellicola appoggia diverse iniziative del WWF e che ha lo scopo di sensibilizzare i più piccoli al problema dell’ambiente.
Da vedere solo se il fratellino, il nipotino o i figli vi obbligano a portarli al cinema.

La citazione:
"- Ma di che hai paura?
- Di tutto!"


Voto: ♥1/2

Conferenza stampa Alla Ricerca dell’isola di Nim: conversazione con Jodie Foster

Alla Casa del Cinema la due volte premio Oscar Jodie Foster si è concessa alle domande della stampa.

Jodie Foster alla Casa del Cinema di Roma, foto di Valentina Ariete


Il 10 aprile in una sala gremita della Casa del Cinema, il fior fiore dei critici cinematografici italiani ha potuto intervistare Jodie Foster, più che un’attrice un mito: quarantadue anni di carriera su quarantacinque di vita! L’attrice due volte premio Oscar (per “Sotto accusa” e “Il silenzio degli innocenti”), che ha esordito nella pubblicità a tre anni nello spot della Copperton e si è fatta notare al cinema a quattordici in “Taxi driver” di Scorsese, si è mostrata sorridente e solare, gentile e disponibile: tutto il contrario dei personaggi che solitamente interpreta. Ecco come ha risposto alle domande della stampa.

Jodie Foster in "Alla ricerca dell'isola di Nim"


Come si è trovata a interpretare finalmente una commedia dopo tanti ruoli drammatici?
E come si è trovata a lavorare con Gerard Butler?

J.F.: Devo dire che è da tanto tempo che cerco di interpretare un ruolo un po’ più leggero. In realtà sono più di quindici anni che cerco di fare una commedia, da quando ho recitato in “Maverick”, ma finora non ero riuscita a trovare nulla che mi attirasse e quando finalmente ho trovato questa sceneggiatura sono andata a bussare a parecchie porte, perché nessuno mi vedeva credibile in un ruolo di questo genere. Ovviamente i ruoli drammatici sono un elemento importante della mia vita, tornerò comunque sempre a fare ruoli drammatici, però devo dire che in questo film mi sono divertita parecchio. Mi è piaciuta molto questa cosa dell’alter ego, che era Gerry Butler, sia io che Gerard siamo attori conosciuti per i nostri ruoli drammatici, io soprattutto per i thriller e lui per personaggi eroici tutti muscoli, quello che ci è piaciuto moltissimo è stato prenderci in giro: prendere in giro noi stessi nei ruoli drammatici che spesso interpretiamo. Io in un personaggio pieno di paure e nevrosi e lui nell’eroe tutto pose. E’ stato molto divertente.

Quanto è avventurosa Jodie Foster rispetto al personaggio del film? Ha pensato di poter migliorare il dialogo con i suoi figli facendo un film che i bambini possono vedere?

J.F.:
I miei figli per la prima volta hanno potuto vedere un mio film! E’ stata la prima volta che hanno partecipato ad una prima cinematografica e hanno avuto la possibilità di venirmi a trovare sul set. Quindi è stato un momento fantastico per noi. Inoltre hanno letto il libro prima ancora che io interpretassi il film, quindi mi hanno immaginato nel ruolo. Sul set hanno potuto incontrare gli animali e per loro è stata una cosa fantastica.
Per quanto riguarda le fobie sono l’esatto opposto di Alexandra, non ho particolari paure. Non amo particolarmente i serpenti, ma non è nulla di grave. Per l’avventura devo dire che in effetti sono abbastanza avventurosa: mi piace sciare, fare le immersioni, fare scalate, poi però mi piace tornare a casa e fare una bella doccia. Non sono tipo da campeggio.

I tempi della paura e quelli della commedia sono molto diversi. Ha dovuto imparare quelli comici? E quali difficoltà ha avuto? Inoltre la scena sul tapis roulant come l’ha fatta, era un effetto speciale?

J.F.: Un talento è un talento. E’ vero i tempi della commedia sono diversi da quelli drammatici, però io mi muovo sulla base dell’istinto, sono molto istintiva quando recito, anche perché, soprattutto in questo caso, se ci pensi troppo rischi di non essere abbastanza brava. Quanto alla scena del tapis roulant è l’unica scena in tutto il film in cui ho avuto una contro-figura. Io l’avrei fatta senza problemi, ma la produzione non ha voluto saperne.

Jodie Foster in "Sotto accusa"

Lei che ha cominciato così presto ha recitare, che rapporto ha avuto con questa bambina fenomeno che è Abigail Breslin? Si è rivista in qualche modo in lei?


J.F.:
Abigail è una bambina eccezionale. Per me è sempre molto divertente poter lavorare con i bambini, che in un certo senso mi ricordano me quando recitavo alla loro età. Abigail è una bambina con la testa sulle spalle e una fantastica famiglia alle spalle che la sostiene. Nel film i percorsi dei nostri personaggi sono speculari: entrambe vivono isolate e di creano un mondo immaginario e contemporaneamente hanno bisogno tutte e due di qualcuno che si prenda cura di loro. Ed è proprio per questo che il mio personaggio nonostante tutte le sue fobie riesce a uscire di casa e andare da Nim, anche se alla fine è lei che salva me.


Il Festival Gay di Torino le dedica un filmato intitolato “Jodie Foster un’icona”. Ne era a conoscenza? Che ne pensa?

J.F.: Mi fa paura questa cosa. Non ne so niente.

E’ vero che ha intenzione di aspettare a lungo prima di fare un altro film?


J.F.: Negli ultimi 10-15 anni ho deciso di far passare un po’ di tempo tra un film e l’altro, anche perché adesso ho dei figli e voglio dedicare più tempo a loro. Lavorare ad un film mi sottrae molte energie e mi ci vuole molto tempo poi per riprendermi. Quest’anno ho fatto due film, il “Buio nell’anima” e questo, e per me è troppo. Al momento quindi non ho intenzione di recitare. Sto lavorando alla sceneggiatura e sto cercando i fondi per realizzare, da regista, un film su Leni Riefenstahl.

Jodie Foster in "Il silenzio degli innocenti"

Questo film è diretto a dei ragazzi: che insegnamenti vorrebbe che desse loro?


J.F.: Credo che questo film trasmetta un grande messaggio. Prima di tutto che bisogna difendere il pianeta e la natura, poi che bisogna stabilire un’alleanza tra donne, questo vale soprattutto per le bambine che devono capire che debbono rendersi autonome e indipendenti e avere cura di se stesse, perché oggi, anche se siamo nell’era post-femminista, ancora passa il messaggio che ci deve essere intorno alle future donne una figura paterna o comunque maschile, sia esso il padre, il fratello o il marito. Inoltre il film fa vedere ai bambini un mondo reale, ed è importante perché oggi con tutti questi videogiochi hanno perso un po’ il contatto con la natura.

Secondo lei c’è un cambiamento in atto nell’industria cinematografica americana? Dai recenti Oscar sembra che qualcosa si stia muovendo: c’è più spazio per le idee?


J.F.:
Sono ben 42 anni che recito, quindi ho visto gli anni sessanta, i settanta, gli ottanta, i novanta e adesso il duemila, e devo dire che più che di cambiamenti si può parlare di fasi. Per quello che mi riguarda per me queste fasi sono legate principalmente all’aspetto finanziario: sono i soldi disponibili che dettano le regole. In alcuni anni sembra che i ruoli femminili prevalgano, poi magari l’anno dopo non ce n’è nemmeno uno. Non si può giudicare l’andamento del cinema dalla cerimonia degli Oscar. In questi ultimi 2-3 anni le major hanno finanziato parecchi film indipendenti perché si sono resi conto che potevano attrarre una grande fetta di pubblico e trarne profitto, come “Babel”, “I figli degli uomini”, “Il petroliere”. L’industria cinematografica dipende molto anche dall’andamento dell’economia globale.


Ieri Clooney ha detto che alle elezioni voterà Obama, lei è una democratica: chi voterà?


J.F.: Che io sia democratica è un dato di fatto, lo si può leggere anche su internet, non è un segreto. Però non è nel mio stile parlare delle mie preferenze politiche. Apprezzo il fatto che altre attori si esprimano sulle loro preferenze politiche, ma io preferisco non parlarne.

Jodie Foster in "Il buio nell'anima"


venerdì 11 aprile 2008

Citazione cinematografica n. 10


"Non so nuotare!"

da: Butch Cassidy


Robert Redford e Paul Newman

Original: I can't swim!

Titolo originale: Butch Cassidy and The Sundance Kid
Regia: George Roy Hill
Anno:
1969

Interpreti: Paul Newman, Robert Redford, Katharine Ross

domenica 6 aprile 2008

Gone Baby Gone

La resurrezione di Ben Affleck


Ben Affleck
è risorto.
Dopo anni sprecati in film di serie b, blockbuster dal dubbio gusto e relazioni sentimentali da tabloid, Ben ha deciso di prendersi una pausa di riflessione e rilanciare la sua carriera in crisi.
Inaspettatamente, a due anni dal suo ultimo ruolo nello scarso “Hollywoodland” (per cui ha vinto la coppa Volpi a Venezia), Affleck ha abbandonato i panni di attore, ripreso quelli di sceneggiatore da Oscar e indossato quelli nuovi di regista.
Mai scelta fu più appropriata.
Per il suo debutto alla regia Affleck ha deciso di portare sullo schermo il romanzo “La casa buia” di Dennis Lehane, lo stesso autore di “Mystic River”, da cui Clint Eastwood ha tratto l’omonimo film.
La storia, ambientata nei sobborghi di Boston, parla della sparizione di una bambina, Amanda McCready, e del tentativo dei detective privati Patrick McKenzie (Casey Affleck) e Angie Gennaro (Michelle Monaghan), ingaggiati dalla zia della piccola, di ritrovarla.
Patrick e Angie, con l’aiuto del capo della polizia Jack Doyle (Morgan Freeman) e dei detective Remy Bressant (Ed Harris) e Nick Poole (John Ashton), partono alla disperata ricerca della verità, muovendosi tra bar frequentati da drogati, narcotrafficanti, criminali, spacciatori e pedofili.
Il caso è presto chiuso, ma alcuni dettagli della storia non convincono Patrick, che persegue la strada verso la verità da solo. Una volta trovata la spiegazione di tutto, il giovane dovrà mettere in discussione se stesso e la sua intera vita.

Casey Affleck

Con questo film Affleck fa il suo ingresso nel mondo della regia con grande stile: nel doppio ruolo di regista e sceneggiatore, ha saputo dare alla storia un ritmo serrato, avvincente e a tratti sincopato, rendendo perfettamente giustizia al libro di Lehane.
Non ci sono sbavature o punti morti nel racconto: fino alla fine lo spettatore ha il fiato sospeso.
La storia infatti si rivela presto essere molto più che un semplice thriller dalla meccanica perfetta: McKenzie incarna la figura dell’eroe dimesso, modesto ma dotato di grande morale, che cerca la verità a tutti i costi, finendo per simboleggiare valori assoluti come la giustizia e l’onestà, che vengono messe a dura prova da un mondo corrotto, allo sbando e senza scrupoli.
La storia assume quindi un significato simbolico, a tratti filosofico e universale.
Affleck ha il grande merito di raccontare il tutto evitando di insistere su toni retorici e dettagli macabri, lasciando parlare i personaggi, le loro storie personali e le loro scelte: un compito non facile visto il tema trattato.

John Ashton, Amy Ryan e Ed Harris

Per quanto riguarda lo stile di regia Affleck ha sicuramente del talento, ancora troppo influenzato da illustri colleghi come Eastwood, ma promettente: se riuscirà a creare un suo stile, più personale e distintivo, potrebbe essere uno dei grandi registi del futuro.
Sicuramente Ben ha un grandissimo talento nel dirigere gli attori: bellissimi i primi piani e la costruzione delle scene dialogate, grazie a cui il cast ha dato il meglio.
Gli attori sono fenomenali: Casey Affleck, fratello di Ben, dopo l’anno d’oro della nomination agli Oscar per “L’assassinio di Jessie James per mano del codardo Robert Ford”, è perfetto nel ruolo di McKenzie, con quell’aria malinconia e onesta, coraggiosa e fragile, da vero eroe dei nostri tempi, combattuto tra giustizia e interesse, stoico nella sua scelta di cercare la verità a costo di mettere in pericolo la vita. Michelle Monaghan si conferma come attrice promettente e Amy Ryan, nel ruolo della madre di Amanda, dà un’interpretazione perfetta, tanto da aver meritato una nomination all’Oscar per questo ruolo. Monumentali Freeman e Harris: due grandi attori che ad ogni prova confermano e incrementano la loro straordinaria bravura, elevando con la loro presenza qualsiasi pellicola. Straordinari.

Morgan Freeman, Casey Affleck e Michelle Monaghan

Altro grande merito di Affleck è quello di aver creato un’ambientazione estremamente realistica: i quartieri più poveri e disperati di Boston sono resi con grande efficacia, gli attori scelti per interpretare i personaggi secondari sembrano aver vissuto in quei luoghi da sempre e il tutto dà ancora più credibilità alla storia. Finalmente un film dove i criminali sembrano criminali e non modelli palestrati ricoperti da tatuaggi per l’occasione.
Il film riesce in questo modo a rappresentare l’America più povera e ignorante, che non fa altro che mangiare davanti alla tv, non si rende conto di ciò che accade e non trova conforto nemmeno in Dio. Affleck affronta questi aspetti senza giudicare o denunciare, ma mettendo lo spettatore nella difficile posizione di schierarsi con un personaggio o con l’altro.
Un film da vedere assolutamente, una riflessione amara su realtà che esistono ma che spesso non prendiamo in considerazione, non capiamo e ci sembrano lontane anni luce, mentre sono molto più vicine e reali di quanto pensiamo.
Ben tornato Mr. Affleck!

La citazione: "Ho sempre pensato che sono le cose che non scegliamo a renderci quello che siamo"


Voto: ♥♥♥1/2

Pubblicata su Meltin' Pot.

Ben Affleck durante le riprese

venerdì 4 aprile 2008

Citazione cinematografica n. 9


"Non sempre bisogna perdonare"

da:
Rocco e i suoi fratelli

Alain Delon nel ruolo di Rocco


Original: id.

Titolo originale: Rocco e i suoi fratelli
Regia: Luchino Visconti
Anno: 1960
Interpreti: Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot, Katina Paxinou, Spiros Focas, Max Cartier, Rocco Vidolazzi, Corrado Pani, Claudia Cardinale


mercoledì 2 aprile 2008

Interview

La guerra tra i sessi in un’intervista.



Un uomo, una donna, un loft.
Lui, Pierre (Steve Buscemi), giornalista specializzato in politica estera, deve intervistare suo malgrado la conturbante lei: Katya (Sienna Miller), protagonista di soap televisive e horror di serie b, famosa più per le sue relazioni sentimentali e i suoi fluttuanti attributi fisici che per la sua abilità interpretativa.
L’incontro al bar per l’intervista comincia subito male: lui non sa nulla di lei e della sua carriera e come se non bastasse le sbatte in faccia il fatto che occuparsi di celebrità del suo livello è degradante per un professionista come lui, lei, divisticamente, lo tratta come una nullità.
Un incidente d’auto galeotto li porta a passare tutta la notte nel lussuoso loft della diva. Qui tra iniziale diffidenza, rabbia, giochi di seduzione, confessioni, i due intraprendono un violento e sensuale tango di complicità e confronto, disprezzo e attrazione.

Steve Buscemi e Sienna Miller

Pierre comincia a capire che dietro quei capelli biondo platino e le operazioni di chirurgia plastica c’è più di una semplice attricetta sexy, Katya si lascia andare e abbandona il suo atteggiamento da star per mostrare il suo lato più vulnerabile e dolce.
Ma non sempre le cose sono come sembrano.Tra i due presto si instaurerà una vera lotta fisica e soprattutto intellettuale, che ricalca alla perfezione le dinamiche del rapporto di coppia uomo-donna, in cui quasi sempre c’è un vinto e un vincitore. Anche qui lo stratega più abile si farà beffe dell’altro, in un finale a sorpresa.
Steve Buscemi, regista e interprete della pellicola, ha deciso di prendere parte al progetto, ideato dai produttori Bruce Weiss e Gijs van de Westelaken, per celebrare lo scomparso regista Theo Van Gogh, brutalmente ucciso nel 2004 da un fanatico religioso, che prevede il remake di tre suoi film.
Buscemi firma il primo capitolo della trilogia, Stanley Tucci e Bob Balaban continueranno l’opera.

Sienna Miller e Steve Buscemi

Il film è girato molto bene, usando la stessa tecnica e la stessa troupe di Van Gogh: tre telecamere, una che riprende costantemente il protagonista maschile, una quella femminile e la terza che riprende la scena d’insieme. In questo modo il tutto ha un gusto vagamente teatrale, gli attori esprimono al meglio le loro potenzialità e lo spettatore è veramente coinvolto, come se stesse comodamente seduto sul divano dell’appartamento di Katya a guardare questo balletto verbale.
Certo si tratta di un remake, ma la pellicola ha una sua originalità e Buscemi ha saputo fare un ottimo lavoro nella direzione delle scene e degli interpreti e, come al solito, ha dato una grande prova d’attore. Su tutto comunque spicca la bellezza luminosa di Sienna Miller e la sua sorprendente interpretazione: l’attrice, proprio come il personaggio che interpreta, famosa fino ad ora più per le sue relazioni che per i ruoli interpretati, dimostra un magnetismo particolare in grado di bucare lo schermo e una naturalezza e freschezza nella recitazione che affascinano e seducono.
Un film da godere tutto d’un fiato, dai dialoghi intriganti, divertenti e appassionanti, che si conclude proprio come un incontro che dura una sola notte: l’esperienza intensa lascia il posto all’amarezza per poi svanire nel caos della città.

Sienna Miller


La citazione:
"- Sei brava a sedurre gli uomini?
- Ma che sei gay Pierre?"


Voto: ♥♥♥

Pubblicato su Meltin' Pot.

Speciale: 2001 Odissea nello spazio

“Un dramma epico di avventura ed esplorazione”.


All’alba dell’uomo un misterioso monolite nero compare sulla terra e sembra influenzare i primi uomini – scimmia; uno di loro scopre che un osso può essere usato come arma di difesa e strumento di caccia: è il primo passo verso lo sviluppo tecnologico e scientifico dell’umanità. L’osso diventa, in una delle sequenze più belle e famose della storia del cinema, un’astronave: siamo ora nel 2000 e l’astronauta David Bowman sta andando verso la base spaziale Clavius, su Giove, dove è stato trovato un monolite nero. Durante il viaggio qualcosa va storto: il computer di bordo, HAL 9000, impazzisce ed elimina uno per uno i componenti della nave tranne Bowman, che riesce a disattivarlo e a fuggire. David compie così il suo viaggio verso l’infinito: dopo aver attraversato una strana dimensione spazio-temporale arriva in una stanza settecentesca, dove invecchia, muore e rinasce all’ombra del monolite.


Questa la trama del film “2001 Odissea nello spazio”, uscito nel 1968, capostipite del genere “Fantascienza d’autore” e vero e proprio capolavoro: con quest’opera Stanley Kubrick ha fatto e cambiato la storia del cinema.
Tratto dal romanzo “La sentinella” di Arthur C. Clarke, il film ha gettato le basi del genere “Science Fiction”: grazie all’uso di tecniche innovative, che permisero al regista di far vedere le astronavi in volo nello spazio, Kubrick riuscì a rendere in immagini la bellezza dei racconti di fantascienza, che, fin da Jules Verne, il pubblico aveva potuto soltanto immaginare. La cosa è straordinaria se si pensa che l’atterraggio dell’uomo sulla Luna risale al 1969 e che il regista ha dovuto ricostruire, senza punti di riferimento, il movimento dei corpi nello spazio.


In più, oltre ad aver inventato un nuovo tipo di effetti speciali, da cui George Lucas ha preso ispirazione per il suo “Guerre Stellari”, Kubrick con questa pellicola ha rivoluzionato anche il “tempo” cinematografico: dilatando i tempi e le scene fino all’esasperazione, facendo salti temporali, quasi azzerando il dialogo (45 minuti di parlato su 160 di pellicola!), il regista americano ha inventato un nuovo tipo di linguaggio frammentando e dilatando la storia come mai era stato fatto. Kubrick stesso ha infatti affermato: “Non ho pensato di dare con questo film un messaggio traducibile in parole. 2001 è un’esperienza di tipo non verbale. Ho cercato di creare un’esperienza visuale che trascendesse le limitazioni del linguaggio e penetrasse direttamente nel subcosciente con la sua carica emotiva e filosofica”.
Questo stile quindi è funzionale alla complessa storia raccontata, che ha numerosi spunti filosofici e simbolici: il film, come è proprio del genere della “Science Fiction”, è basato sul tema del viaggio, che in questa particolare pellicola è sia un viaggio fisico sia interiore. Il viaggio qui proposto è il tipico “viaggio dell’ eroe” che, cercando di raggiungere una meta/obiettivo, si confronta con un altrove misterioso: deve affrontare prove, ostacoli, antagonisti e alla fine matura spiritualmente e intellettualmente. Kubrick scelse di adottare il mito per raccontare la sua storia: si ispirò ai grandi poemi greci, in particolare all’ “Odissea” di Omero e al mito degli “Argonauti”, che fin da bambino lo aveva appassionato particolarmente. Il film però, oltre al tema del viaggio, evidenzia il legame che c’è tra l’uomo, lo spazio e il tempo e i suoi rapporti con la scienza e la tecnologia. Infatti, per le sue riflessioni filosofiche, per le immagini suggestive e oniriche, la pellicola è stata più volte definita “capolavoro metafisico”. Grazie quindi a immagini dal potere immaginifico ed evocativo senza precedenti il regista è riuscito a rendere concreti temi molto complessi. In una scena drammatica e simbolica uno degli astronauti viene ucciso dal computer ribelle, che lo abbandona nello spazio freddo e nero: il corpo senza vita dell’uomo è inghiottito dall’immensa oscurità spaziale e scompare a poco a poco; la scena simboleggia l’annullarsi ed il riemergere dall’oscurità dello spazio, che è scendere nella parte più nascosta del proprio animo per poi tornare con una maggiore consapevolezza.


“L’eterno ritorno dell’eguale”, teorizzato da Nietzsche, è un altro tema portante della pellicola, evocato anche dalla musica di Strauss “Così parlò Zarathustra”, che sottolinea i momenti chiave del film, quelli in cui appare il monolite nero, l’oggetto misterioso che segna il passaggio dell’uomo ad un livello evolutivo superiore: in origine una scimmia, poi un uomo, che attraverso una tecnologia avanzatissima è riuscito a superarsi e a cambiarsi in un nuovo essere, il feto stellare, che potrebbe essere “il superuomo” teorizzato dal filosofo tedesco.
Il feto, però, simboleggia anche il ritorno dell’uomo: Bowman, dopo aver attraversato la dimensione spazio-temporale, approda in una stanza del Settecento, in stile rococò, che rappresenta il ritorno al passato; l’astronauta qui invecchia, muore e poi rinasce di fronte al monolite nero, che sembra la causa di tutto anche se non si sa da dove venga e che cosa significhi. Queste immagini simboliche esprimono visivamente ciò che la teoria di Nietzsche afferma: il tempo non ha fine, il divenire non ha scopo. Il tempo, infatti, non è lineare, non procede in modo rettilineo, non va verso un fine trascendente o una finalità immanente: l’uomo è condizionato dal passato irreversibile e il futuro è un evento incombente sul presente. Kubrick ha espresso tutto ciò tramite simboli, di cui il più difficile da interpretare è proprio il monolite sempre presente ad ogni cambiamento dell’uomo: forse rappresenta proprio la ciclicità degli eventi umani, destinati a ripetersi all’infinito.


Oltre ai temi filosofici, Kubrick ha ripreso anche il tema della Guerra Fredda (che aveva già affrontato in chiave satirica in “Il Dottor Stranamore”), il cui spettro ancora aleggiava in quegli anni, immaginando che in un futuro non lontanissimo l’America e la Russia sarebbero state alleate e avrebbero collaborato alle imprese spaziali: infatti l’equipaggio della nave “Discovery” è composto da astronauti russi e americani. Questo è molto interessante, se si pensa che proprio negli anni sessanta c’era una terribile competizione tra le due superpotenze per andare nello spazio: nel 1969 “vinsero” gli U.S.A, che mandarono il primo uomo sulla Luna, anche se i russi con Gagarin erano riusciti per primi a mandare un uomo in orbita.


Interessante nel film la riflessione sull’universo: in una delle scene più belle l’astronauta Bowman, dopo essersi liberato del computer impazzito, cerca di salvarsi dall’avaria dell’astronave lanciandosi nello spazio. Nella sequenza “Verso l’infinito e oltre”, Kubrick ha cercato di spiegare come è fatto l’universo, in un certo senso possiamo dire che ha costruito una sua cosmologia. Infatti, Bowman, dopo aver percorso distanze enormi nello spazio nero e misterioso, entra in una strana dimensione spazio-temporale, in cui ogni cosa sembra distorcersi e annullarsi in un tripudio di colori: alla fine l’astronauta arriva nella stanza settecentesca e lì invecchia, muore e rinasce. Kubrick ha reso in immagini la così detta “teoria dell’ inflazione” che ipotizza l’Universo come un enorme frattale in cui coesistono e anzi si formano continuamente diversi universi che si espandono e si evolvono incessantemente. Inoltre, questi universi, che sono immaginati come delle bolle, sarebbero collegati tra loro tramite dei “ponti” spazio-temporali costituiti dai buchi neri. Questa teoria così suggestiva non poteva essere rappresentata meglio da Kubrick, che ha reso poetico questo concetto così difficile raffigurandolo come un vortice magico di colori.


Il film dunque è un capolavoro che spazia dalla filosofia alla scienza, dalla storia all’arte visiva, in una commistione di arte e spettacolo che non ha precedenti e successori nella storia del cinema.
L’importanza di quest’opera è quindi indiscutibile, tanto che il film è stato più volte eletto il migliore di tutti i tempi e che ancora oggi critici e filosofi si interrogano sul reale significato dell’opera. A questo interrogativo non c’è miglior spiegazione di quella che Kubrick stesso ha dato: “Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico del film. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’ inconscio”.


Voto: ♥♥♥♥♥

Pubblicato su Meltin' Pot.

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