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martedì 3 febbraio 2015

CINECITTÀ SI MOSTRA: INAUGURATO IL NUOVO PERCORSO ESPOSITIVO GIRANDO A CINECITTÀ

Gli Studios di Cinecittà continuano il loro percorso di avvicinamento al pubblico, mettendo in mostra alcuni dei propri tesori, come il poncho indossato da Clint Eastwood in Per un pugno di dollari di Sergio Leone, nell'esposizione Girando a Cinecittà, che racconta 70 anni di cinema italiano e internazionale. 



"Bisogna ripartire dal pathos: questo non è semplicemente un luogo dove si girano film. Dalla sua apertura, nel 1937, Cinecittà ha ospitato i più grandi artisti del mondo e ha raccontato il nostro paese nel corso dei vari decenni come nessun altro" ha esordito così Italo Moscati, regista e sceneggiatore, all'inaugurazione di Girando a Cinecittà, nuovo percorso espositivo allestito negli studi di Cinecittà, dove è stato chiamato a selezionare i filmati da inserire nella mostra. "Qui sono stati girati quasi quattromila film e alcune delle scene più famose della storia del cinema, come quella delle bighe di Ben Hur o i film di Fellini e di Sergio Leone" ha continuato Moscati, che ha aggiunto: "Questi sono i titoli più famosi, ma anche gli altri, che al confronto sembrano quasi irrilevanti, sono film straordinari e fondamentali per raccontare l'Italia. È stato quindi difficilissimo per me scegliere il materiale per la mostra". 

Dalla sua inaugurazione nel 2011, anno in cui è stato aperto l'accesso ai set, Cinecittà si Mostra ha cercato di rendere fruibili al grande pubblico gli studi cinematografici più famosi e antichi d'Italia, che hanno ospitato alcuni dei più grandi registi italiani e internazionali, dai già citati Federico Fellini e Sergio Leone, passando per Mario Monicelli fino a Martin Scorsese e Wes Anderson, e ha arricchito la sua offerta nel corso degli anni, inaugurando i percorsi interattivi Backstage - Un Percorso Didattico per Cinecittà, nel 2012, dedicato alle fasi di realizzazione di un film, e Perché Cinecittà 1935 - 1945, nel 2013, in cui sono analizzate le ragioni storiche della nascita degli Studios. 

Il 2015 vede ora la nascita di Girando a Cinecittà, nuovo percorso espositivo che racconta la storia degli studi cinematografici analizzando il periodo tra il 1937 e la fine degli anni '90, attraverso documenti, filmati, foto e costumi provenienti da 120 film. 


Girando a Cinecittà 

"La mostra è nata in seguito alle numerose richieste di visitare gli Studios" ha rivelato Giuseppe Basso, produttore dell'allestimento per Cinecittà Studios, che ha aggiunto: "Realizzare questo percorso sembrava una sfida impossibile, non era facile far convivere la mostra con i set. Inoltre non tutti hanno creduto all'iniziativa: una certa élite intellettuale pensava che Cinecittà non fosse un luogo da rendere accessibile a tutti. Secondo me invece è giusto mostrare questa eccellenza italiana a tutti. Dal 2011 abbiamo già staccato mezzo milione di biglietti, tantissime scuole e stranieri vengono a vedere la mostra: un risultato incredibile". 

Il nuovo percorso è organizzato a temi: si parte con i film realizzati nel così detto periodo della "Hollywood sul Tevere", come Vacanze romane di William Wyler (1953), ricordato dalla famosa Vespa su cui Audrey Hepburn e Gregory Peck sfrecciano per le vie di Roma, passando poi all'era dei peplum, come Quo Vadis? (1951), Cleopatra (1963) e Ben Hur (1959), di cui sono esposti diversi costumi. Proseguendo per la mostra si passa all'epoca della "Commedia all'italiana", con una scenografia che ricorda le atmosfere del film di Mario Monicelli I soliti ignoti (1958), e a quella degli "Spaghetti Western" di Sergio Leone, in un ambiente che ricrea l'atmosfera di un saloon, dove sono esposti cimeli come il celebre poncho marrone con i disegni bianchi indossato da Clint Eastwood in Per un pugno di dollari (1964). Non manca inoltre un approfondimento dedicato ai film di genere, in particolare la produzione cinematografica anni '70 e '80, con diversi cimeli provenienti dai film di Dario Argento e Lucio Fulci. Ultimo ambiente della mostra è costituito dal sottomarino utilizzato nel film U-571 di Jonathan Mostow (2000). 




Un'arte che si fonda sull'artigianato 

Diversi i costumi e gli oggetti di scena messi sotto vetro dalla mostra, selezionati da Nicoletta Ercole, costumista da più di quarant'anni: "Sono nata professionalmente a Cinecittà, nel 1974, e questo è il mio quarto anno di consulenza per la mostra: per me è un piacere ripercorrere la storia di questi Studios. Ho lavorato anche in America e posso dire che c'è una differenza fondamentale tra il cinema che si fa oltre oceano e quello realizzato qui: quella è un'industria, mentre la nostra bellezza sta nel fatto che ancora conserviamo l'arte dell'artigianato" ha detto Ercole alla presentazione della mostra alla stampa. 


Nuove prospettive per il futuro 

La mostra, realizzata da Cinecittà Studios con il contributo di Istituto Luce, Archivio Luce, RAI Teche, il Centro Sperimentale di Cinematografia e la Cineteca Nazionale, celebra il grande passato di Cinecittà, che è però proiettata verso il futuro: grazie al Tax Credit, diverse produzioni internazionali sono attualmente in corso negli Studios romani, a cominciare da Zoolander 2 di Ben Stiller, che occupa sei teatri di posa, e dal remake di Ben Hur, che ne occupa cinque. 


Informazioni utili 

Girando a Cinecittà è stata aperta al pubblico lo scorso 24 gennaio. Orari: la mostra è aperta dalle 9:30 alle 18:30 (ultimo ingresso in inverno alle ore 17:30, alle 18:00 in estate). Biglietti: costo mostra a partire da 10 euro, biglietto famiglia 25 euro (2 adulti e 2 ragazzi). Visite guidate agli Studios a partire da 20 euro, biglietto famiglia 45 euro. Giorno di chiusura: martedì. Info: Cinecittà si Mostra.





sabato 31 gennaio 2015

ITALIANO MEDIO: LA GROTTESCA FEROCIA DELL'UOMO MEDIO

Al suo esordio cinematografico Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, confeziona una commedia spietata e feroce, in cui nessuno è esente da difetti e contraddizioni, soprattutto l'italiano medio del titolo, creatura a due facce furba e spregevole. 



Star del web da quasi un decennio, Marcello Macchia, noto al pubblico con il soprannome di Maccio Capatonda, può essere considerato di diritto il padre di tutti i videomaker contemporanei, dai The Jackal ai The Pills, colui che per primo ha tracciato il sentiero e usato YouTube non solo per mettersi in mostra, ma soprattutto per raccontare storie. All'inizio creatore di parodie di reality show, poi di finti trailer cinematografici caratterizzati da nomi estrosi, infine autore di webserie di successo come Mario e ideatore di personaggi ormai entrati nell'immaginario collettivo, basti pensare a Padre Maronno, Mariottide o Billy Ballo, Maccio Capatonda ha saputo costruire un suo stile identificabile, premiato dal web.

Per un fruitore bulimico di film, serie tv, videogiochi e televisione come Macchia, che unisce la passione per registi come Stanley Kubrick e Dario Argento a quella per serie animate come I Griffin, sceneggiatore, regista, attore e montatore dei suoi progetti, era dunque naturale pensare di passare al lungometraggio, sfida intrapresa anche da molti comici italiani, che hanno compiuto il rischioso salto dalla televisione al grande schermo. 


Italiano Medio, dal web al grande schermo 

A differenza degli altri colleghi però, Capatonda è consapevole del mezzo che usa e, occupandosi a 360° della pellicola, non incorre negli errori che continuano a compiere molti degli altri comici italiani: tratto dall'omonimo corto del 2012, andato in onda per la prima volta all'interno del programma Ma anche no, condotto da Antonello Piroso, Italiano Medio non è un semplice collage delle gag più famose del comico, ma una storia a tutto tondo, con una sua struttura fluida e coerente. Pur non mancando riferimenti al "canone capatondiano" (basti pensare alla gag dell'Uomo che usciva la gente o ai richiami costanti al corto da cui tutto è nato), Italiano Medio è una spietata, dissacrante e a tratti sconfortante parodia della società italiana contemporanea, popolata di figure distorte ed esagerate, che paradossalmente trovano il culmine della loro spregevolezza proprio nella loro versione "media". 


Giulio Verme, idealista al 20% e cafone al 2% 

Protagonista della pellicola è Giulio Verme, interpretato da Capatonda, un idealista che si batte per il rispetto dell'ambiente ma, cercando di essere coerente con le sue idee, si ritrova a fare un lavoro insoddisfacente e a essere compatito perfino dalla sua fidanzata, Franca (Lavinia Longhi). Spinto dall'amico Alfonso (Luigi Luciano) a provare una pasticca che fa abbassare l'utilizzo del suo cervello dal 20 al 2%, Giulio si trasforma in un cafone gretto e senza morale, che passa le sue giornate a guardare i reality, rimorchiare donne e giocare ai videogiochi. A dimostrare l'impronta autoriale della pellicola, il cambiamento del protagonista è sottolineato da un differente uso della fotografia, che passa dai toni grigi del Giulio al 20% a quelli saturi e dopati del Giulio al 2%, con l'aiuto anche di diversi effetti speciali, insoliti per una commedia. 


Un pugno in faccia allo spettatore 

Popolato da figure inquietanti perché allo stesso tempo esagerate ma verosimili, come il viscido produttore televisivo interpretato da Franco Mari, alias Rupert Sciamenna, o la volgare vicina Sharon (Barbara Tabita), Italiano Medio non risparmia nessuno e manifesta il suo disprezzo sia per gli idealisti puri che per i menefreghisti incorreggibili, mettendo sullo stesso piano calciatori, aspiranti vip, ecoterroristi e giornalisti. Grazie a una folta schiera di personaggi, che sembrano gli eredi diretti di I mostri di Dino Risi, Capatonda esprime il suo disgusto per una società schiava della televisione e dell'eccesso, che non sa più distinguere la vita reale da quella sui social e che si involgarisce sempre di più. A stabilizzare completamente lo spettatore più smaliziato è però la figura dell'italiano medio del titolo: un ibrido furbo e interessato dei due estremi, che ha capito la convenienza del compromesso e ci si trova benissimo, non curandosi delle proprie contraddizioni morali. Uno specchio raggelante, che fa intuire, dopo le risate, che in realtà abbiamo visto noi stessi, e il riflesso non è dei più gradevoli.

Maccio Capatonda


La citazione: "Con questo lo usi solo il due per cento!"

Hearting/Cuorometro: ♥♥♥

Uscita italiana: 29 gennaio 2015

Titolo originale: Italiano Medio
Regia: Marcello Macchia
Anno: 2015
Cast: Maccio Capatonda, Herbert Ballerina, Ivo Avido, Barbara Tabita, Lavinia Longhi, Rupert Sciamenna, Nino Frassica
Colore: colore
Durata: 100 minuti
Genere: commedia
Sceneggiatura: Maccio Capatonda, Herbert Ballerina, Marco Alessi, Sergio Spaccavento, Danilo Carlani, Daniele Grigolo
Fotografia: Massimo Schiavon
Montaggio: Maccio Capatonda, Giogiò Franchini
Musica: Chris Costa, Fabio Gargiulo
Paese di produzione: Italia
Casa di produzione: Lotus Production, Medusa Film
Distribuzione italiana: Medusa Film


ITALIANO MEDIO, VIDEOINTERVISTA CON MACCIO CAPATONDA

Abbiamo incontrato Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, regista e protagonista di Italiano Medio, suo film d'esordio ispirato al corto omonimo del 2012, insieme agli attori Luigi Luciano alias Herbert Ballerina e Enrico Venti, ovvero Ivo Avido, anche produttore esecutivo del film. Nelle sale dal 29 gennaio. 



Scheggia impazzita del piccolo schermo dal 2005, anno in cui esordì con le sue caustiche pillole di cinema nello show All Music e poi nella trasmissione Mai Dire Lunedì, Marcello Macchia in arte Maccio Capatonda è stata la prima vera web star italiana: i suoi video, caricati successivamente su YouTube, hanno avuto un successo immediato e hanno spinto il regista, attore e sceneggiatore a concentrarsi sulla produzione per la rete. 

Grazie al sostegno dei suoi collaboratori storici Enrico Venti, con cui Macchia ha fondato la società di produzione Shotcut Productions, produttore esecutivo dei video e occasionalmente attore negli spregevoli panni di Ivo Avido, e Luigi Luciani, alias Herbert Ballerina, talento comico surreale, che non abbandona praticamente mai il personaggio quando si trova di fronte a una telecamera, Capatonda è diventato una vera e propria icona, consacrato dalla copertina del numero di Wired di novembre 2014, in cui è raffigurato come "il re in giallo" di tutti i videomaker italiani. 


Da webstar al grande schermo 

Dopo il successo di serie come Mario e la creazione di personaggi ormai entrati nell'immaginario collettivo, basti pensare a Mariottide, Padre Maronno e Billy Ballo, Capatonda ha tentato il grande salto: realizzare il suo primo lungometraggio, ispirato al corto del 2012 Italiano Medio, quello che, come ha rivelato il regista durante la conferenza stampa romana del film "era un'idea espandibile in un film di novanta minuti e adatta a costruire una storia vera e propria, non un semplice collage di gag". La sfida è notevole e le ambizioni sono alte: Giulio Verme, il protagonista del film, è un idealista che ha cura l'ambiente, ma quando assume una droga che fa crollare le sue capacità intellettuali, si trasforma in un tamarro schiavo della tv, del sesso e incapace di qualsiasi coscienza sociale. "Il protagonista del mio film è un eroe medio: a metà tra il classico eroe e lo scarto della società: un eroe furbo" ha detto Macchia sempre in conferenza stampa. 


L'intervista 

Tra reality show, matrimoni lampo, terrorismo ambientale e un'estetica che caratterizza fortemente il film (colori spenti e sui toni del grigio quando vediamo il Giulio al 20% dell'uso del cervello e tinte sature e fluorescenti quando invece a rubare la scena è il Giulio al 2%), Italiano medio è una delle commedie italiane più interessanti degli ultimi anni. Abbiamo parlato del film con il regista e protagonista Marcello Macchia e con gli attori Luigi Luciano e Enrico Venti, anche produttore esecutivo.

giovedì 16 ottobre 2014

THE VAMPIRE DIARIES: COMMENTO ALL’EPISODIO 6X02, YELLOW LEDBETTER

Finalmente scopriamo che fine hanno fatto Damon e Bonnie, ma la risposta non è delle migliori; nel frattempo Elena cerca di dimenticare il suo grande amore e Stephan sembra essersi lasciato il passato alle spalle 




Plot 

Ancora sconvolta dalla scomparsa di Damon (Ian Somerhalder), Elena (Nina Dobrev) chiede ad Alaric (Matthew Davis) di aiutarla a cancellare il suo ricordo: per far scomparire ogni traccia di un amore così grande, il vampiro è costretto a scavare in profondità nella mente della ragazza, per poter capire qual è l'esatto momento in cui ha capito di amare Damon. Una volta trovato, la rimozione di quel ricordo fa da effetto domino, cancellando ogni traccia della turbolenta storia di Elena e Damon. 

Se Elena sceglie di dimenticare, Stephan (Paul Wesley) sembra aver fatto altrettanto senza bisogno di aiuto: ricostruitosi una vita in Georgia, ha smesso di cercare il fratello scomparso lasciandosi alle spalle tutti. Caroline (Candice Accola) e Enzo (Michael Malarkey), che non ha mai smesso di cercare un modo per riportare indietro Damon, cercano di farlo tornare sui suoi passi anche a costo di usare metodi estremi. La mossa di dimenticare Damon non è infatti delle migliori: il vampiro non è morto, ma si trova intrappolato insieme a Bonnie (Kat Graham) nel passato, precisamente nella Mystic Falls del 10 maggio 1994, giorno in cui c'è stata un'eclissi totale di sole. I due non sono semplicemente bloccati nel passato: sono infatti costretti a vivere in loop lo stesso giorno all'infinito. In questo inferno temporale, grazie a un cruciverba completato da una mano misteriosa, i due si accorgono di non essere soli. 


Cosa ci è piaciuto 

Il ritorno in scena di Damon non può che far bene a The Vampire Diaries: il suo umorismo è aria fresca per una serie che spesso tende a prendersi troppo sul serio e soprattutto a dare eccessivo spazio ai piagnistei di Elena. Gradito anche il ritorno di Enzo, che, come l'amico Damon, risveglia dal torpore gli altri personaggi, travolgendoli con la sua lingua tagliente e il temperamento non proprio diplomatico. Interessante anche l'idea di far rivivere la storia di Damon e Elena attraverso i ricordi di lei e la trovata del loop temporale: in questa stagione si gioca molto col tempo. 


Cosa non ci è piaciuto 

I personaggi di Jeremy (Steven R. McQueen) e Matt (Zach Roerig): il primo per il momento si è limitato a farsi vedere sfatto sul divano, il secondo, come suo solito, funziona da flebile link umano tra gli altri personaggi. 


Il momento shock 

La scoperta del luogo, o meglio del tempo, in cui sono finiti Damon e Bonnie e soprattutto del fatto che non siano soli. 


What's next 

La domanda numero uno adesso è soltanto una (che ne comprende diverse): come mai Damon e Bonnie sono finiti in quella strana dimensione temporale? Perché devono rivivere all'infinito proprio il 10 maggio del 1994? L'eclissi ha un significato particolare? Chi è la presenza misteriosa che vive nell'ombra insieme a loro? Nella puntata sono inoltre introdotti due nuovi personaggi che portano a porsi altri quesiti: chi è davvero Sarah (Gabrielle Walsh)? Perché è arrivata Mystic Falls? Il nuovo allenatore di Matt, Trip (Colin Ferguson), è in realtà un membro della famiglia Fell, uno dei clan del Consiglio di Mystic Falls: ben a conoscenza delle tradizioni di famiglia, l'uomo sta uccidendo vampiri. Si rivelerà in futuro un antagonista per Elena e gli altri? 


Voto: 3/5


Pubblicato su Movieplayer.

venerdì 10 ottobre 2014

GUILLERMO DEL TORO: 50 ANNI DI MOSTRI

Il regista messicano cresciuto a pane e racconti di Lovecraft compie 50 anni: traguardo che si accompagna a una maturità artistica e stilistica all'insegna dell'amore per i mostri e il fantastico 




Chissà come festeggerà i suoi primi 50 anni Guillermo Del Toro, regista messicano originario di Guadalajara e ora residente a Los Angeles, dove, accanto alla residenza in cui convive con la moglie Lorenza e le figlie Mariana e Marisa e, possiede una casa-studio, ribattezzata “The Bleak House”, vero e proprio museo per cinefili, dove custodisce oltre settemila film, migliaia di libri (tutte prime edizioni rare) e memorabilia che farebbero impazzire qualsiasi collezionista, tra cui una statua a grandezza naturale dello scrittore Howard Phillips Lovecraft, sua fonte di ispirazione. Forse si regalerà un nuovo pezzo per la sua collezione, sicuramente festeggerà davanti a una tavola riccamente imbandita, lui che ha provato a essere vegano per quattro anni e poi ha ceduto, e che ha dichiarato di “non fidarsi dei registi troppo magri”. 

Per Del Toro la bulimia del corpo è seconda solo a quella dell'amore per il cinema e i mostri, passione che lo accompagna fin dalla tenera età: per sua stessa ammissione, da bambino aveva sogni lucidi in cui vedeva strane creature invadere la sua stanza: "La paura per quelle creature non mi faceva andare in bagno, tanto da farmi letteralmente bagnare il pigiama. Feci un patto con loro: sarei diventato loro amico a patto che mi lasciassero andare in bagno. Faccio la pipì normalmente da allora ma ora convivo con i mostri". Il fantastico e il sovrannaturale hanno influenzato il regista da sempre, a causa della sua educazione cattolica e della nonna che tentò in più occasioni di esorcizzarlo per via della sua passione per le creature inquietanti. 

Appassionato di letteratura gotica e fantastica, amante di Kubrick e Hitchcock, divoratore di fumetti e manga, Guillermo Del Toro è riuscito a costruire uno stile riconoscibile, fin dagli esordi come makeup artist cinematografico, professione svolta per dieci anni prima di passare alla regia, riuscendo nell'intento di raccontare storie già viste con un approccio originale, lezione appresa da un altro dei suoi riferimenti culturali, Stephen King, di cui cita spesso la frase: “Tutte le canzoni sono già state cantate, bisogna quindi riuscire a raccontare una vecchia storia con una nuova voce”. 

Ripercorriamo quindi la vita e la carriera di uno degli autori più interessanti, poliedrici e personali del panorama cinematografico contemporaneo. 


Religione, insetti, obitori e fantasmi 



Uno stile così particolare come quello di Del Toro non può che essere nato da una fantasia fuori dal comune colpita da elementi singolari: la cultura cattolica del regista, per sua stessa ammissione, lo ha profondamente segnato (non a caso croci e angeli sono sempre ben presenti nei suoi film), così come i colori forti del suo paese d'origine, il Messico. Amante fin da piccolo di insetti, orologi e meccanismi in generale, Del Toro ha cominciato a disegnare a sette anni e già allora vendeva fumetti realizzati da lui a parenti e amici. Il colore ha importanza fondamentale per il regista, che tende a dare un significato a ogni tonalità: amante del color ambra, dominante in tutte le sue opere, Del Toro tratta quasi con sacralità il rosso, simbolo del sangue e della vita. Anche la morte ha avuto grande effetto su di lui: la violenza del luogo dove ha vissuto da bambino e la vicinanza a un obitorio durante un periodo della sua adolescenza lo hanno segnato, portandolo a documentarsi su malattie e parassiti e ad appassionarsi alle immagini di organi e fluidi biologici, inseriti in ogni sua pellicola. Del Toro ricorda inoltre spesso un episodio particolare della sua infanzia: afferma di aver percepito distintamente, a 12 anni, il fantasma dello zio, esperienza all'origine del film La spina del diavolo. Una testimonianza che in bocca a qualunque altro regista sembrerebbe una trovata pubblicitaria o uno scherzo, ma che raccontata da Del Toro assume tutto un altro valore. 


Le fonti di ispirazione 



Accanto al background familiare e ambientale, non si possono non citare i riferimenti culturali del regista: estimatore ai limiti del fanatismo di Stanley Kubrick e Alfred Hitchcock, Del Toro spazia da racconti dell'orrore, in particolare il gotico vittoriano, a fumetti e manga, mostrando ammirazione in particolare per H.P. Lovecraft, Stephen King, Victor Hugo, Charles Dickens e Oscar Wilde. Per quanto riguarda la musica ha detto di amare soprattutto Pink Floyd e Peter Gabriel, mentre il film che più lo ha segnato è La moglie di Frankenstein, con Frankenstein a guidare la sua personale top3 dei mostri preferiti, seguito dal mostro della lagune e l'uomo lupo. La passione di Del Toro per la letteratura lo ha inoltre portato a curare la collana della casa editrice Penguin dedicata ai racconti dell'orrore. 


Necropia e "gli incubatori di idee" 



I primi passi di Del Toro nel mondo del cinema sono cominciati molto presto grazie alla sua passione per il trucco di scena: il regista ha fatto del suo amore per i modellini e i materiali una vera e propria professione. Istruito da Dick Smith, makeup supervisor di L'esorcista, Del Toro ha realizzato, a 21 anni, il suo primo cortometraggio, Dona Lupe, nel 1985. Makeup supervisor per dieci anni, Del Toro ha anche fondato la sua compagnia di trucco cinematografico, chiamata Necropia. Fin dall'adolescenza, tutto il lavoro di Del Toro è documentato in una serie di diari che il regista chiama “incubatori di idee” e che non ha mai abbandonato nel corso degli anni: a ogni film Del Toro comincia un nuovo diario e pare che li conservi tutti gelosamente tranne quello di Cronos, finito nelle mani di James Cameron e mai più restituito. Questo zibaldone pieno di appunti e disegni è diventato un volume, edito da Harper Design, chiamato “Guillermo Del Toro's cabinet of curiosities – My notebooks, collections and other obsessions” e uscito nel 2013. 


Cronos 



L'esordio al cinema di Del Toro risale al 1993: in Cronos, suo primo lungometraggio, il regista ha inserito tutte le sue ossessioni. Un anziano proprietario di un banco di pegni trova un oggetto misterioso in grado di donare la vita eterna: tra angeli, congegni, insetti, lo sguardo innocente di una bambina e vampiri, lo stile del regista è già ben preciso e riconoscibile, con il tentativo, riuscito, di raccontare il vampirismo al tempo stesso come un sacramento e una dipendenza, cercando di ricreare la mitologia vampiresca attraverso l'alchimia. La pellicola segna anche l'inizio della collaborazione di Del Toro con il suo attore feticcio, Ron Perlman, con il quale instaura da allora una fruttuosa collaborazione e un'amicizia anche fuori dal set, e con il direttore della fotografia Guillermo Navarro. Il successo è clamoroso: il film vince nove riconoscimenti in patria e si aggiudica il premio della Settimana della Critica al festival di Cannes. 


Il lato oscuro di Hollywood e un rapimento 



Con un tale successo al film d'esordio, il richiamo di Hollywood non si è fatto attendere a lungo: il secondo film del regista è Mimic (1997), pellicola che Del Toro collega al periodo peggiore della sua vita. Ancora una volta Del Toro parla di insetti e malattie, ma questa volta deve scontrarsi con i fratelli Weinstein, che non gli concedono il final cut del film. Contemporaneamente, suo padre viene rapito in Messico e liberato dopo 72 giorni in seguito al pagamento di un riscatto: Del Toro decide quindi di lasciare la terra natia e trasferirsi a Los Angeles. Vergognatosi per anni del suo secondo film, nel 2011 Del Toro si è tolto una soddisfazione: in quell'anno è uscita la versione "director's cut" di Mimic, che lo ha finalmente riconciliato con la più sfortunata delle sue creature: “Ora posso dire di amare tutti i miei film”, ha commentato il regista. 


Tequila Gang e La spina del diavolo 



Scottato dall'esperienza hollywoodiana, a fine anni '90 Del Toro ha fondato la sua casa di produzione, La tequila gang, ed è tornato girare nella sua lingua madre, lo spagnolo, realizzando, nel 2001, La spina del diavolo, storia di fantasmi ambientata durante la Guerra Civile Spagnola, periodo storico che lo appassiona, e primo film di una “trilogia spagnola” dedicata all'infanzia, che comprende anche Il labirinto del fauno, e al momento ancora incompiuta. 


Pace fatta con Hollywood: Blade e Hellboy 



Il brutto rapporto di Del Toro con Hollywood si è finalmente risanato grazie a Blade II (2002), film con protagonista Wesley Snipes tratto dai fumetti Marvel. Sul set di questo film Del Toro ha conosciuto Mike Mignola, creatore di Hellboy, con il quale si è creata una proficua collaborazione che ha portato il regista messicano a dirigere ben due film dedicati al diavolo rosso interpretato da Ron Perlman. Per dirigere Hellboy, personaggio di cui è un grande fan, Del Toro ha rinunciato a Blade III: al film si è aggiunto poi, nel 2008, il sequel, Hellboy Golden Army e pare che arriverà presto anche il terzo capitolo. 


Il labirinto del fauno, gli Oscar e i piedi a panino 



Dopo tanti vampiri e diavoli, la consacrazione di Del Toro è arrivata nel 2006 con un film scritto e diretto dal regista, Il labirinto del fauno, struggente storia di una bambina che vede creature e mondi misteriosi sullo sfondo della Guerra Civile Spagnola. I dolci occhi della protagonista Ofelia (Ivana Baquero) mostrano allo spettatore un mondo sotterraneo fatto di ombre e magia, in cui creature allo stesso tempo affascinanti e terrificanti incarnano le paure e i sogni di una bambina costretta a crescere prematuramente. Una storia che ha incantato e commosso il pubblico di mezzo mondo, in cui il talento visionario di Del Toro, creatore del design e di tutte le creature del film, è espresso al meglio, portando la pellicola a vincere ben tre premi Oscar, tra cui quello per la miglior fotografia di Guillermo Navarro. Del Toro ha raccontato un aneddoto curioso sulla serata degli Oscar del 2007: “Ricordo che avevo le scarpe strette perché ho i piedi come Fred Flintstone: sono panini umani! Ero allo stesso tempo immensamente felice e piegato dal dolore”. 


Pacific Rim e computer grafica 



Da amante degli effetti speciali di fattura artigianale, Del Toro ha dichiarato di amare anche il digitale ma di utilizzarlo sempre come ultima risorsa. Per realizzare un suo sogno d'infanzia, il regista messicano ha però abbracciato in toto la computer grafica e il green screen: Pacific Rim (2013), scontro titanico tra robot e mostri alieni, ovvero jaeger e kaiju, è un tripudio di effetti speciali, che il regista ha diretto “con l'entusiasmo di un bambino di 11 anni”. Buon successo commerciale, soprattutto in Cina, e grande omaggio ai cartoni animati giapponesi. Il sequel, già annunciato, arriverà nel 2017. 


I progetti mai realizzati: “Il fallimento è successo latente” 



Accanto a tanti film che portano il suo marchio indelebile, ci sono anche diversi progetti sognati dal regista e mai andati in porto: il film tratto dal libro di Lovecraf "Alle montagne della follia" è uno spettro che continua a sfuggire da anni a Del Toro, mentre persa per sempre è la sua versione di "Lo Hobbit", che inizialmente avrebbe dovuto dirigere e che poi è stato invece affidato a Peter Jackson. Sui due anni passati in Nuova Zelanda a lavorare a "Lo Hobbit", di cui è rimasto co-sceneggiatore, Del Toro ha detto: “Fare un casino è essenziale. Penso al fallimento come a successo latente. Ogni esperienza nella vita è neutra: sta a noi trasformarla in un'evoluzione o in involuzione”. Tra gli altri progetti sfumati di Del Toro figurano anche una serie di animazione horror per la Disney chiamata Disney Double Dare You, fatto che ha spinto il regista ad avvicinarsi alla Dreamworks, e la regia dei nuovi film di Star Wars, per cui inizialmente si era fatto il nome di Del Toro, affidati poi a J.J. Abrams, episodio che il regista ha commentato così: “Pensare di dirigere Star Wars è come pensare di uscire con una supermodella: non penso a queste cose”. 


The Strain 



Uno dei progetti più personali del regista è senz'altro The Strain: nata come una trilogia di romanzi scritta a quattro mani con l'amico Chuck Hogan, la saga sui vampiri, ribattezzati "strigoi", di Del Toro è stata trasformata quest'anno in una serie televisiva prodotta da FX insieme a Carlton Cuse, sceneggiatore di Lost. Nella serie, che deriva direttamente dalle ossessioni giovanili del regista e si rifà ai suoi primi lavori cinematografici, Del Toro cerca di creare una nuova mitologia vampiresca e riunisce in una sola opera tutti i suoi elementi caratteristici: il gusto per il dettaglio macabro, gli organi sotto formalina (immagine che ha dato il la alla storia e che Del Toro ha ritrovato disegnata in un suo diario risalente a 22 anni fa), le luci al neon, i parassiti, i vampiri e l'eterna lotta tra razionalità e sentimento. Un prodotto di genere ben confezionato, che Del Toro ha scritto, diretto e curato nel design, soprattutto quello delle creature. La prima stagione si è conclusa in questi giorni e tornerà per una seconda, e presumibilmente anche una terza, il prossimo anno. 


Trovare se stessi nelle storie 



Il successo di Del Toro è dovuto alla sua vasta cultura, che spazia da riferimenti alti alla cultura pop, all'insaziabile curiosità, che continua a stimolarlo anche a 50 anni (sua la frase "la curiosità per me è tutto: quando perdiamo la curiosità perdiamo l'immaginazione e diventiamo vecchi"), all'entusiasmo da appassionato folle (e nerd) e a un gusto per il dettaglio e l'immagine che lo rende immediatamente riconoscibile. Amato da colleghi e amici (tra cui figurano anche i registi messicani di maggior successo come Alfonso Cuaron, Alejandro Iñarritu e Robert Rodriguez), con cui tende a collaborare più volte come nel caso di Perlman e Navarro, la vera forza di Del Toro sta nell'amare profondamente la fantasia e le storie, storie in cui ama perdersi e ritrovarsi, a prescindere da quello che pensa la gente, come ha ribadito con forza più volte: “Raccontiamo storie perché abbiamo un vuoto nel cuore. Questo vuoto non si riempie con il successo, ma con le storie che raccontiamo. Anche se a volte non sono apprezzate, io amo le mie storie a tal punto che le critiche degli altri non mi fanno mai dire "la devo smettere" ma piuttosto "fanculo, devo prevalere!"”.


Pubblicato su Movieplayer.

THE STRAIN: COMMENTO AL FINALE DELLA STAGIONE 1, THE MASTER

Eph e gli altri si preparano a combattere una battaglia disperata contro il Maestro, mentre New York si appresta sempre più a diventare l'Inferno sulla Terra 




Plot 

Rinvigorito dal sangue del Maestro, Palmer è pronto a servirlo con ancora più devozione dato che, come gli rivela Eichorst (Richard Sammel), non ha ancora ottenuto l'immortalità: per quella è essenziale che il Maestro inietti nel suo corpo il verme. Come prima cosa, Palmer si reca al banco dei pegni di Setrakian (David Bradley) e confisca tutte le armi e i libri del vecchio: l'uomo prende addirittura il cuore di Miriam (Adina Verson). Disgustato dal comportamento del suo superiore, Fitzwilliam (Roger R. Cross) decide di abbandonarlo. Palmer va dunque dal segretario della salute Maggie Pierson (Maria Ricossa), allarmata dal video trasmesso da Eph (Corey Stoll) e decisa a dichiarare la quarantena per Manhattan, e la uccide: il dottor Barnes (Daniel Kash), sconvolto, si dimostra molto più favorevole a collaborare e blocca l'operazione. Non se la passa meglio Gus (Miguel Gomez) che, prigioniero, scopre di essere stato reclutato dai vampiri cacciatori di strigoi per diventare il loro "guerriero della luce", non temendo il sole. Gus viene così a sapere che il Maestro non è l'unico vampiro originale: ci sono altre tre creature come lui, dormienti, protette da questa seconda fazione di vampiri. 

Nel frattempo Eph e Fet (Kevin Durand) trovano il nido del Maestro, che si trova in un vecchio teatro comprato dal cantante Bolivar (Jack Kesy), ora uno degli strigoi. Studiando il luogo, i due scoprono che i vampiri stanno ricostruendo la bara del loro padrone. Organizzatosi, il gruppo decide di attaccare in pieno giorno, così da poter sfruttare la luce del sole: grazie alla dinamite di Fet, il gruppo riesce ad arrivare al Maestro, ma Eichorst li separa. Dutch (Ruta Gedmintas), Nora (Mía Maestro) e Fet affrontano Eichorst, mentre Setrakian e Eph inseguono il Maestro: dopo una lotta durissima, il dottore riesce a spingere il Maestro fuori da una finestra, in pieno sole. Contrariamente a quanto credevano però, il Maestro riesce a sopravvivere e scappa attraverso le fogne della città. Spinto dal figlio Zach (Ben Hyland), Eph torna a casa, dove trova Kelly (Natalie Brown), ormai totalmente trasformata: distrutto, l'uomo cerca di ucciderla, ma la donna scappa. Per la prima volta dopo anni, il dottore beve un bicchiere di alcool e, insieme agli altri, lascia la città, ormai territorio del Maestro. 


Cosa ci è piaciuto 

La battaglia del gruppo contro il Maestro: articolata come un videogioco a livelli, in cui i protagonisti procedono passo dopo passo verso il mostro più importante (e che per questo ricorda vagamente il film con Bruce Lee L'ultimo combattimento di Chen), la lotta di Eph e gli altri è il pezzo forte del finale, con una serie di duelli e scontri al cardiopalma. Interessante anche la scoperta dell'esistenza di altri tre vampiri originali dormienti, fatto che ricorda la saga di Underworld, e che rende il Maestro una sorta di Lucifero staccatosi dai suoi simili per hybris. 


Cosa non ci è piaciuto 

L'incontro tra Eph, Zach e Kelly trasformata avrebbe potuto essere più emozionante e invece si conclude molto in fretta: scelta sicuramente più fedele al libro e più realistica, ma che smorza leggermente il pathos del finale. Il fatto però che questa non sia l'ultima stagione e che Kelly sia scappata, fa supporre che l'incontro clou con Kelly arriverà in futuro. 


L'angolo del mostro 

Grazie agli occhi di Gus scopriamo che il Maestro non è il solo vampiro originale esistente: ci sono altri tre esseri come lui, tenuti dormienti da un'altra fazione di vampiri che ha come scopo quello di eliminare la progenie del Maestro. 




What's next 

La seconda stagione di The Strain è stata confermata e, presumibilmente, Guillermo del Toro e Chuck Hogan faranno coincidere i nuovi episodi con il secondo libro della loro trilogia letteraria. Esperimento riuscito di Del Toro (Leggi il nostro speciale sul regista), che, come un alchimista, ha creato una summa dei suoi primi lavori, attingendo a vari elementi di Cronos (1993), soprattutto per quanto riguarda i parassiti come creatori di vampiri, e Mimic (1997), i cui mostri-insetto ricordano molto gli strigoi dotati di pungiglione, cercando di realizzare una sua personale versione del vampirismo, visto allo stesso tempo come un sacramento e una dipendenza, The Strain ha portato l'horror con l'h maiuscola in televisione. Grazie a effetti speciali artigianali, alla tensione basata soprattutto sulle atmosfere e all'azione ben orchestrata, The Strain ha uno stile ben preciso, grazie soprattutto al tocco inconfondibile di Del Toro, che ha creato dei mostri terrificanti e affascinanti allo stesso tempo. Il regista messicano ha dichiarato che cercherà di essere molto più presente nella seconda stagione, sia sul set che in fase di scrittura, e questo non potrà che giovare alla serie, che ha comunque già dimostrato di poter appassionare il pubblico con questi primi 13 episodi, entrando di diritto nella rosa delle migliori serie di genere presenti in televisione. Per quanto riguarda i personaggi, alcuni sono già da ora dei "pezzi da novanta", Setrakian, Fet e Eichorst su tutti, anche grazie al carisma dei loro interpreti, mentre altri aspettano ancora di sbocciare, come Gus. Nella nuova stagione ci aspettiamo dunque di scoprire qualcosa in più sulla faida nata tra il Maestro e gli altri vampiri originali e magari di vedere una grande battaglia tra i due schieramenti.


Voto: 3,5/5


Pubblicato su Movieplayer.

C'ERA UNA VOLTA: COMMENTO ALL'EPISODIO 4X02, WHITE OUT

Grazie a un lungo flashback scopriamo qualcosa in più su quanto accaduto ad Anna, Emma riesce a placare la furia di Elsa ma una nuova e pericolosa minaccia si presenta a Storybrooke 




Plot 

Sconvolta per il ritrovamento della collana di Anna (Elizabeth Lail) nel negozio di Mr. Gold (Robert Carlyle), Elsa (Georgina Haig) circonda Storybrooke di ghiaccio per impedire che gli abitanti lascino la città. Il ghiaccio fa saltare la corrente ovunque ed Emma indaga: arrivata alla barriera incontra Elsa, che, non riuscendo a controllare i propri poteri, imprigiona entrambe in una caverna di ghiaccio. Qui le due si conoscono e scoprono di avere molte cose in comune, prima fra tutte il fatto di avere poteri magici che non sanno gestire. Giunti sul posto per aiutare Emma, che nel frattempo rischia di morire congelata, Hook (Colin O'Donoghue) e Azzurro (Josh Dallas) scoprono di sapere chi è Anna e come trovarla. Anni prima, Azzurro ha incontrato la ragazza nella Foresta Incantata, quando era ancora un semplice pastore minacciato da Bo Peep (Robin Weigert), ricattatrice in possesso di un bastone magico in grado di marchiare le persone e individuarle ovunque. 

Grazie all'aiuto di Anna, Azzurro ha imparato l'arte della spada e ha cominciato a combattere per la propria libertà: per ricambiare il favore, corre da Bo Peep, ora proprietaria della macelleria di Storybrooke, per usare il suo bastone e ritrovare Anna. Il bastone trasmette solo il battito di un cuore: segno che comunque Anna è viva. Liberata Emma dal ghiaccio, Elsa decide di fidarsi di lei e dei suoi amici per ritrovare la sorella che, scopriamo, è stata indirizzata da Tremotino dalla madre di Azzuro. Nel frattempo anche gli altri abitanti devono fronteggiare situazioni difficili: Regina (Lana Parrilla) è ancora sconvolta per la perdita di Robin (Sean Maguire) e Henry (Jared Gilmore) fa di tutto per cercare di aiutarla. A causa dell'assenza di Regina, gli abitanti di Storybrooke chiedono a Biancaneve (Ginnifer Goodwin) di prendere in mano le redini della città e diventare il nuovo sindaco. I problemi della cittadina sono però appena cominciati: tra gli abitanti si nasconde infatti una persona con gli stessi poteri di Elsa. 


Cosa ci è piaciuto 

Le interpreti scelte per i ruoli di Elsa e Anna: oltre a saper portare con eleganza i bellissimi costumi di Eduardo Castro, le due attrici sono perfette. L'esordiente Elizabeth Lail è una Anna briosa e dal sorriso aperto e contagioso, proprio come il personaggio del film Disney, mentre Georgina Haig, che avevamo già apprezzato nel ruolo di Etta, la figlia di Olivia Dunahm (Anna Torv) e Peter Bishop (Joshua Jackson) in Fringe, sa dare alla sua Elsa tutte le sfumature necessarie, passando con disinvoltura da sguardi gelidi a occhi smarriti in cerca di aiuto. Elogio anche per Elizabeth Mitchell, vecchia conoscenza degli autori Edward Kitsis e Adam Horowitz, con cui ha già lavorato in Lost: la sua entrata in scena finale è uno dei momenti migliori dell'episodio e fa presagire che sarà una grande e affascinante antagonista.  

Cosa non ci è piaciuto 

È incredibile quanto risenta C'era una volta dell'assenza dei suoi personaggi più carismatici, ovvero Regina e Mr. Gold: quando la loro presenza si riduce a piccole comparsate, come in questo episodio, la serie perde sistematicamente fascino. Chi invece non ha affatto giovato del maggior minutaggio a disposizione è Biancaneve: lasciata in disparte nella première, in questo episodio le viene ridata autorità, essendo scelta dagli abitanti di Storybrooke come nuova guida della città. Il suo personaggio però sembra ormai fuori posto nel complesso della serie e le scene dedicate ai suoi tentativi di ripristinare la corrente sono le più deboli dell'episodio. Nota a margine: Azzurro con i capelli lunghi non sta affatto bene. 


C'era una volta... 

In quest'episodio viene rispolverata una filastrocca per bambini poco nota in Italia, ma celebre per chi è di cultura anglosassone: il ritornello (“Little Bo Peep has lost her sheep”) parla di Bo Peep, pastorella alla ricerca del suo gregge. Il personaggio, visto anche nei primi due film di Toy Story, qui è riscritto in chiave negativa, con Bo Peep che diventa una perfida ricattatrice dai poteri magici quando si trova nella Foresta Incantata e una macellaia dai modi non proprio raffinati a Storybrooke. 




What's next 

Ora che Emma ed Elsa collaborano, riusciranno a scoprire cosa è successo ad Anna? Il fatto che il bastone di Bo Peep sia riuscito a trovare soltanto un battito cardiaco vuol dire che nella scomparsa di Anna c'è lo zampino di Regina? Che ruolo ha avuto inoltre Tremotino? Chi è la donna misteriosa che ha lo stesso potere di Elsa? 


Voto 3/5


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giovedì 9 ottobre 2014

THE VAMPIRE DIARIES: I'LL REMEMBER, COMMENTO ALLA PREMIÈRE DI STAGIONE 6

Quattro mesi dopo il collasso dell'Altro Lato, l'incantesimo dei Viaggiatori continua a separare le creature soprannaturali da Mystic Falls: a tenere distanti i protagonisti però è soprattutto la perdita di Damon e Bonnie, cui ognuno cerca di reagire a modo suo 




Plot 

In seguito all'incantesimo messo in atto dai Viaggiatori, Mystic Falls è ancora un luogo inaccessibile alla magia in cui vampiri, licantropi e altre creature sovrannaturali non possono entrare. L'incantesimo impedisce dunque a Elena (Nina Dobrev) e agli altri vampiri di tornare a casa, ma a tenere distanti i protagonisti è soprattutto la perdita di Damon (Ian Somerhalder) e Bonnie (Kat Graham), dissoltisi nel nulla con il collasso dell'Altro Lato. Ognuno cerca di reagire alla scomparsa degli amici come può: Caroline (Candice Accola) decide di trascorrere più tempo con sua madre e nel frattempo studia tutti i libri di magia che trova per cercare un incantesimo che permetta di sbloccare la barriera magica intorno a Mystyc Falls, Jeremy (Steven R. McQueen), distrutto dalla perdita di Bonnie, ha perso interesse per qualsiasi cosa e non esce più di casa, Matt (Zach Roerig) si è iscritto a un corso di autodifesa e Stephan (Paul Wesley) è scappato in Georgia, dove lavora in un'officina come meccanico. 

La più provata è Elena, che per non pensare al fatto che Damon sia morto convince Luke (Chris Brochu) a darle delle erbe che le fanno credere di parlare con il vampiro. Il mix magico ha però un pericoloso effetto collaterale: fa aumentare la sete di sangue di Elena, che comincia a diventare sospetta. Caroline scopre il fatto e mette l'amica di fronte alla realtà: Damon ormai è perduto e bisogna farsene una ragione. Perfino Stephan ha deciso di accantonare la possibilità di trovare un modo per cercare Damon. Sconvolta dal dolore, Elena chiede ad Alaric (Matthew Davis), tornato dall'Altro Lato, di cancellare dalla sua mente il ricordo di Damon, in modo da non dover più soffrire. 


Cosa ci è piaciuto 

Non molto: tranne il colpo di scena finale, l'esordio della sesta stagione di The Vampire Diaries non è dei più promettenti. Senza Damon nei paraggi e un antagonista all'orizzonte, la puntata è tutta sulle spalle (e sui piagnistei) di Elena, non proprio il più carismatico e accattivante dei personaggi. Premesso che la puntata è basata sul lutto e sul dolore per la perdita delle persone care, diciamo che affrontare l'argomento tramite Elena che si droga per non pensare a quello che ha perso non è esattamente un modo invitante per lo spettatore. 


Cosa non ci è piaciuto 

Tra le tante cose che fanno storcere il naso in questa puntata di The Vampire Diaries, forse quella più eclatante è il personaggio di Matt: banderuola spostata a piacimento dagli autori quando c'è un buco nella trama, dopo sei stagioni il suo ruolo ancora non è chiaro. Giustificare la sua presenza come ultimo baluardo della normalità degli esseri umani è ormai una scusa fiacca. Vederlo poi reagire alla perdita iscrivendosi a un corso di autodifesa, quando tutti i suoi amici e conoscenti sono vampiri o licantropi, è semplicemente ridicolo. Il momento shock Unico punto di reale interesse dell'episodio è la scena finale: cosa è successo a Damon e Bonnie? Si trovano in un'altra dimensione? Sono morti? In ogni caso gli spettatori possono stare tranquilli: non è ancora arrivato il momento di salutarli. 


What's next 

La scena finale fa sorgere una serie di nuove domande, ovvero: dove si trovano realmente Damon e Bonnie? Come faranno a tornare? Hanno memoria di Mystyc Falls e dei loro amici? E ancora: se Damon e Bonnie sono ancora vivi, vedremo di nuovo anche Enzo (Michael Malarkey)? Sta per nascere del tenero tra Tyler (Michael Trevino) e Liv (Penelope Mitchell)? Tyler resisterà alla tentazione di tornare a essere un licantropo?


Voto: 2,5/5


Pubblicato su Movieplayer.
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