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venerdì 27 febbraio 2015

Intervista esclusiva ad Aidan Gillen, Lord Baelish in Game of Thrones

Aidan Gillen, interprete di Lord Petyr “Ditocorto” Baelish in Game of Thrones, ha partecipato al festival di Berlino per presentare il film You’re Ugly Too, opera prima del regista irlandese Mark Noonan: lo abbiamo incontrato per parlare della nuova stagione della serie HBO, in arrivo il prossimo 12 aprile 

Aidan Gillen è Lord Baelish in Game of Thrones


Capelli ondulati scarmigliati e brizzolati, parlantina velocissima e uno sguardo quasi timido: Aidan Gillen, attore irlandese nato e cresciuto a Dublino, di persona è molto diverso da Lord Petyr Baelish, noto anche con il soprannome di "Ditocorto", uno dei personaggi più ambigui e manipolatori di Game of Thrones, serie HBO famosa per non avere nessun personaggio immacolato tra le folte schiere di protagonisti. Attore versatile, Gillen ha fatto tanto teatro e cinema prima di farsi conoscere dal grande pubblico grazie alla televisione: nel 1999, con il ruolo di Stuart Jones in Queer as Folk, ha costretto gli spettatori a ricordare la sua faccia, resa poi ancora più riconoscibile grazie a The Wire, in cui ha interpretato il sindaco Tommy Carcetti. La grande popolarità è arrivata però proprio grazie a Game of Thrones, in cui si è fatto odiare e allo stesso tempo ammirare con l’interpretazione del machiavellico Lord Baelish, amico e contemporaneamente traditore del clan degli Stark, grazie al suo complicato rapporto con Sansa Stark (Sophie Turner). 

Sophie Turner e Aidan Gillen in Game of Thrones


Arrivato al 65esimo festival di Berlino per promuovere il suo ultimo film, You’re Ugly Too, opera prima del compaesano Mark Noonan, presentato nella sezione Generation Kplus e nominato per il premio alla migliore opera prima, Aidan Gillen ci ha confessato di essere molto diverso dal personaggio diabolico che interpreta nella serie, anche se ormai si è abituato a sentirsi apostrofare come “Lord Baelish” perfino quando va a fare la spesa. Cercando di fargli rivelare qualcosa sulla quinta stagione di Game of Thrones, in arrivo il prossimo 12 aprile in America - il cui trailer, uscito lo scorso 2 febbraio, ha già scaldato gli animi dei fan -, l’attore ci ha parlato anche del suo amore per l’Irlanda e del super potere che vorrebbe possedere. 
Siamo abituati a vederla nei panni super controllati e seri di Lord Baelish in Game of Thrones, qui invece interpreta un personaggio fragile e insicuro: è uno dei motivi che l’ha spinta a fare il film? 
A.G.: “Certamente. Game of Thrones ormai è un fenomeno mondiale che va avanti da anni e nella mia carriera ho interpretato spesso personaggi di questo tipo, freddi, manipolatori, i cattivi insomma, ma la mia personalità è molto diversa: sono un padre, ho due figli, per me è stato bello avere l’opportunità di lavorare con una bambina, è un ruolo più vicino alla mia vita di tutti i giorni, anche se Lord Baelish mi permette di pagare le bollette! Guardando questo film mia figlia mi ha detto che è il ruolo che mi somiglia di più. È incredibile la percezione che i figli hanno di te: ho portato mia figlia a guardare Boyhood e le ho detto “scommetto che vorresti che fossi più come il protagonista” e lei mi ha risposto “ma è proprio questo il problema: sei troppo simile a lui!”. Anche mia madre dopo aver visto questo film ha detto di essere contenta di avermi finalmente visto in un ruolo più caloroso. Ho avuto un percorso curioso: ho fatto tanto teatro, poi televisione e cinema e fino agli anni ’90 recitavo sempre in ruoli vulnerabili, a volte delle vere e proprie vittime, poi ho interpretato un killer in Mojo (film del 1997 di Jez Butterworth) e da quel momento sono stato ingaggiato sempre in ruoli da cattivo; devo ammettere che mi sono divertito da morire a farli, ma ora sento l’esigenza di tornare a esprimere anche il mio lato più morbido”. 

Quindi odia il fatto che il pubblico la associ a un cattivo come Lord Baelish? 
A.G.: “Un tempo odiavo quando la gente mi si avvicinava chiamandomi con il nome di un personaggio: non lo sopportavo, perché ovviamente sono un attore, non sono quel personaggio. Nella mia carriera ho fatto pochi ruoli molto riconoscibili, uno è sicuramente questo di Game of Thrones, l’altro è Tommy Carcetti in The Wire, in Inghilterra anche John Boy di Love/Hate, e ho capito che, cambiando nel corso degli anni il personaggio per cui mi fermava la gente, in realtà la mia privacy non è violata e anche che, se mi credono credibile in quel particolare ruolo, vuol dire che sono stato bravo. L’importante è farsi riconoscere sempre per un nuovo personaggio. Ormai sono più sereno: se la gente mi vede come Lord Bealish mi va bene perché so di non essere come lui. Certo adesso quando vado a fare la spesa capita spesso che il tizio che mi imbusta la roba mi dica “desidera qualcos’altro Lord Baelish?” o “come comanda, Lord Baelish”. 

In Game of Thrones e in questo film interpreta una figura che non è proprio un esempio modello per due giovani ragazze: essere un buon padre nella vita l’ha aiutata, per contrasto, con ruoli del genere? 
A.G.: “Ma come? Non sono un esempio perfetto per Sansa?! Le sto insegnando un sacco di cose! In You’re Ugly Too sono lo zio, un surrogato di figura paterna, e non sono così determinante: la bambina è al comando, sa cosa vuole ed è molto più forte, è lei che ha il controllo vero, quindi in realtà cerco di essere un padre ma senza successo. Credo che certamente essere padre mi aiuti a lavorare con i bambini: ricordo che, anni fa, alle mie prime scene con dei bambini mi sentivo a disagio, non sapevo bene cosa fare, ora invece sono 16 anni che ho sempre intorno dei ragazzi e ormai so perfettamente come comportarmi. Sicuramente essere un buon padre, o almeno provare a esserlo, fa capire cosa vuol dire invece essere l’opposto. I ragazzi sono difficili, quando pensi che si comportino in un modo per un motivo in realtà è l’opposto e tutto cambia ogni volta: credo che per un attore come me, che ormai è nei suoi quarant’anni, sia fondamentale avere dei figli per capire come interpretare ruoli di questo tipo, perché chi non è un genitore non sa con esattezza quanto è difficile, e allo stesso tempo bellissimo, essere padre”. 

Lei è di Dublino e in Game of Thrones, stagione dopo stagione, il suo accento diventa sempre più irlandese: è un segno che le manca lavorare a casa? Ha scelto di girare You’re Ugly Too anche per tornare a girare a Dublino? 
A.G.: “Si nota così tanto?! Sì sto cercando di lavorare il più possibile in Irlanda, ho girato diverse serie qui, mentre con i film è più difficile: addirittura ho girato poco tempo fa Mr. John a Singapore, molto molto lontano da casa! Il prossimo film irlandese è invece Sing Street, il regista è John Carney, l’autore di Once e Tutto può cambiare, e sarà ambientato a Dublino negli anni ’80. Questi sono i film in cui mi sento più a mio agio”. 

Quindi non la vedremo mai in un film di supereroi? 
A.G.: “Sto prendendo parte a un grande film americano, The Scorch Trials, il sequel di Maze Runner, mi piace prendere parte a progetti diversi sia come ruoli che come budget, ma sì, non credo che farò mai un film sui supereroi. Anche se i superpoteri sono affascinanti: io vorrei avere il potere di mangiare quanto voglio e non ingrassare. Mangerei ciambelle tutto il tempo”. 

Qualche giorno fa è uscito il trailer ufficiale della quinta stagione di Game of Thrones: da quello che si può vedere il suo personaggio avrà un ruolo sempre più importante. Può dirci qualcosa sull’evoluzione di Lord Baelish? 
A.G.: “Quest’anno posso rivelare ancora meno che in precedenza: a questo punto della serie gli autori si stanno distaccando sempre più dai libri e stanno inventando molte cose, quindi nella quinta stagione accadranno molti fatti che non sono nei romanzi. L’anno scorso non avrebbe fatto molta differenza se avessi rivelato qualcosa sul mio personaggio, perché tanto era tutto già nei libri, anche solo leggendo su Wikipedia si potevano trovare notizie, invece ora è tutto nuovo. Posso dire che il mio personaggio e quello di Sansa Stark si incamminano in un viaggio verso la Valle di Arryn per prendere il controllo della casa di Arryn. Oddio, sembra Harry Potter ormai! Per Lord Baelish ci sarà più avventura, più viaggi e un rapporto importante con Sansa Stark: è tutto quello che posso dire per ora. Anzi no, posso dire che ci sarà l’ingresso di un nuovo personaggio, The High Sparrow, interpretato da Jonathan Pryce, che è un fantastico attore e questo ruolo è perfetto per lui, un leader spirituale, una sorta di Gandhi, anche se non proprio buono come Gandhi”. 

Ha girato delle scene insieme a Jonathan Pryce? 
A.G.: “Non posso dirlo! Il trailer comunque è molto buono: capisco che alimenti grandi aspettative. Sicuramente ci aspettiamo tutti qualcosa di grosso da parte di Daenerys”. 

Da spettatore, e non come attore che interpreta Lord Baelish, qual è la sua casa preferita in Game of Thrones? Per chi fa il tifo? 
A.G.: “Tifo per i buoni: Arya Stark è il mio personaggio preferito, spero che i personaggi che sono stati sinceri e onesti alla fine abbiano la meglio. Non dico che questo succederà: anche perché Arya ha intrapreso una strada oscura, ha cominciato a uccidere. Inoltre mi piace il personaggio di Cersei, soprattutto per come è scritta e per come è interpretata da Lena Headey”. 

La sorella di Arya invece, Sansa, è sempre così triste: piangerà meno e agirà di più in questa serie? 
A.G.: “La mia signora? Nell’ultima stagione ha dovuto affrontare molto, ma nei nuovi episodi subirà dei grandi cambiamenti: prima di tutto per quanto riguarda i capelli! E poi cambierà vestiti: indosserà sempre il nero e tante piume: sta diventando una darkettona! Avremo la versione goth di Sansa”. 

Oltre a Game of Thrones nel 2015 è uscita anche Charlie, serie sul politico irlandese Charles Haughey: com’è stato interpretare una persona realmente esistita? 
A.G.: “Charlie è una miniserie in tre puntate da novanta minuti l’una che affronta dieci anni della carriera di Charles J. Haughey, capo del governo irlandese dalla fine degli anni ’70 fino ai ’90: una figura molto importante e, anche se è morto da più di otto anni, ha lasciato una grande eredità, molte persone lo adorano ancora. Era un vero leader: non tutti hanno avuto il coraggio di mettersi contro la Tatcher. Oltre al carisma aveva anche lui dei difetti, veniva da una famiglia povera e ha sempre aspirato a uno stile di vita quasi aristocratico, tanto da avere poi problemi di denaro. Una figura complessa e interessante: controllato e allo stesso tempo brutale e divertente. Per me è stata una vera sfida: sono troppo giovane per interpretarlo e non ci somigliamo, quindi è stato uno dei lavori di recitazione più impegnativi che ho affrontato negli ultimi tempi”. 

Molti dei suoi ruoli più famosi appartengono al mondo delle serie tv, Game of Thrones, The Wire, Queer as Folk, Love/Hate, ora Charlie: pensa che continuerà a fare televisione anche in futuro? 
A.G.: “Non lo so: recentemente la qualità della televisione irlandese è cresciuta in maniera esponenziale e in tutto il mondo, negli ultimi 10-15 anni, la tv, e in particolare il drama, è cambiata completamente. Oggi gli anti-eroi sono i veri protagonisti: quello che è successo negli anni ’70 nel cinema americano, in televisione è cominciato nei ’90 con Tony Soprano e continua ora con Walter White, uno capo della mafia, l’altro fabbricante di droga. Qualche anno fa sarebbe stato impensabile avere due protagonisti così”.


Pubblicato su TvZap.

venerdì 20 febbraio 2015

Bob Odenkirk: “Vi presento Jimmy, il lato umano di Saul Goodman”

Bob Odenkirk, interprete di Saul Goodman, protagonista di Better Call Saul, spin-off e prequel di Breaking Bad, ha presentato in anteprima europea le prime due puntate della serie al festival di Berlino, dove ci ha parlato dell’incredibile successo del suo personaggio, di Jimmy, alter-ego umano di Saul, e delle facce conosciute che rivedremo nella nuova serie.

Bob Odenkirk


Capelli brizzolati, completo grigio scuro con cravatta nera, sorriso sempre pronto e gesti contenuti: dal vivo Bob Odenkirk sembra la versione elegante e più seria di Saul Goodman, avvocato di Albuquerque che, dalla sua prima apparizione nella seconda stagione di Breaking Bad, ha conquistato i fan della serie creata da Vince Gilligan, diventando immediatamente uno dei personaggi più amati, tanto da meritarsi di arrivare fino alla fine della quinta stagione, nonostante fosse stato concepito inizialmente, dallo sceneggiatore Peter Gould, per un arco di tre o quattro episodi. Il successo di Saul è stato tale, e l’astinenza da Breaking Bad da parte dei fan talmente insostenibile, da meritarsi ora una serie tutta sua, Better Call Saul, spin-off, allo stesso tempo sia prequel che sequel, della serie madre. 

A dircelo è Bob Odenkirk in persona, attualmente impegnato nelle riprese della seconda stagione di Better Call Saul, rinnovata a scatola chiusa da AMC per un nuovo ciclo di tredici episodi, che, a sorpresa, è arrivato alla presentazione europea della serie al festival di Berlino, dove Better Call Saul è stata inserita nel calendario degli eventi speciali, inaugurando così la serata: “È meraviglioso che un festival come Berlino ci abbia inclusi nel programma e credo che sia una mossa giusta perché ormai molti registi interessanti lavorano in televisione. È un grande onore aver fatto parte di uno dei migliori show degli ultimi anni ed è un sogno folle essere qui a Berlino a presentare Better Call Saul: devo essere in coma da qualche parte e sto sognando tutto”. 

Abbiamo intervistato l’attore che ci ha rivelato qualcosa in più su Jimmy McGill, l’alter-ego umano di Saul Goodman, e ha risposto sibillinamente alla domanda che tutti i fan di Breaking Bad si stanno facendo: rivedremo Walter (Bryan Cranston) e Jesse (Aaron Paul)? 


Bob cosa può dirci di Better Call Saul? Cosa dobbiamo aspettarci? 
Bob Odenkirk: “Incontriamo Jimmy McGill e scopriamo che in realtà Saul Goodman non è sempre stato così sicuro di se stesso: Jimmy è la sua versione più giovane che non è ancora diventata il serpente che sarà un giorno. Nella serie si vedranno molti aspetti sconosciuti di Saul Goodman: il pubblico l’ha sempre visto nella versione artefatta di se stesso, perfino il suo nome non è quello vero, in realtà si chiama appunto Jimmy McGill, e presenta molti lati differenti, come per esempio il rapporto con la sua famiglia”. 

Si aspettava un tale successo con il personaggio di Saul Goodman? 
B.O.: “Non mi aspettavo questo successo: dovevo essere in tre, al massimo quattro episodi di Breaking Bad ma la gente è impazzita per il personaggio, ancora adesso non so perché, e quindi è cresciuto sempre di più fino a far nascere negli autori l’idea di una serie tutta per sé. Non credo di essere popolare ma apprezzo molto l’affetto del pubblico. È una cosa difficile da comprendere, continuo a pensare a cose molto semplici come in quale negozio andare per fare la spesa e portare a spasso il cane”. 

Secondo lei perché Saul Goodman piace così tanto al pubblico? 
B.O.: “Sul set della serie all’inizio mi sono semplicemente divertito, solo dopo la crew si è fomentata sul serio per Saul: Breaking Bad era così dark e teso che il mio personaggio ci voleva, ha abbassato la tensione, quasi tutte le battute sono le sue. È piaciuto talmente tanto che gli autori hanno deciso di dedicargli uno spin-off. Sono rimasto molto sorpreso anche io, pensavo fosse un personaggio simpatico ma non che il pubblico impazzisse così per lui”. 

Tra Jimmy e Saul chi preferisce interpretare? La parlantina vulcanica dei personaggi è anche la sua? 
B.O.: “Preferisco Jimmy, è più empatico, apprezzo i suoi sforzi, amo il suo essere motivato e non ancora corrotto. Saul mi diverte molto ma simpatizzo più per Jimmy: lo capisco più di Saul, capisco il dolore che prova. Per quanto riguarda la parlata quella è recitazione, io non sono così, la scrittura è tutto, è un personaggio, non è come me”. 

A proposito di scrittura: qual è il suo rapporto con Vince Gilligan, creatore di Breaking Bad, e Peter Gould, autore del personaggio di Saul Goodman? 
B.O.: “Sto sulle spalle dei giganti: i creatori sono eccezionali, il motivo del successo sono loro, non io. Non ho scritto il personaggio, mi sono semplicemente trovato di fronte una sceneggiatura eccezionale. Per Better Call Saul volevo trovare una mia strada per interpretarlo.Mi piace molto interpretare questo personaggio e il nocciolo della nuova serie è scoprire cosa ha portato Saul a essere Saul, ovvero un uomo che ha una sua genialità, non si fa fermare da nulla, è convincente ma allo stesso tempo è un perdente: scopriamo infatti che vuole l’attenzione del fratello ma non ci riesce. Ha un grande spirito ma non sa focalizzarlo”. 

Vi siete ispirati a qualche modello in particolare per Better Call Saul? 
B.O.: “Ci siamo ispirati a un grande classico della tv, The Rockford Files (in Italia Agenzia Rockford ndr): Vince Gilligan voleva dare a Better Call Saul l’atmosfera dei vecchi show televisivi, infondendogli un’aura vintage”. 

Da spettatore ama altre serie tv? 
B.O.: “Amo molto una serie inglese, The Royle Family, è meravigliosa, molto asciutta, devi dargli la possibilità di prenderti, è una commedia ma è piena di rabbia e frustrazione: in quella serie le persone sono così cattive, è meraviglioso! Si fanno a pezzi ma allo stesso tempo si vogliono bene, per me è molto simile alla vita, per questo la amo. Mi piacciono tanti tipi di serie diverse, ma preferisco quelle realistiche”. 

Lei ha cominciato come sceneggiatore, è felice di essere diventato famoso come attore? 
B.O.: “Ho fatto così tanto nel campo dell’intrattenimento: ho scritto, ho prodotto, ho recitato in moltissime cose, ma non avevo mai raggiunto un successo tale da poter entrare in connessione con così tante persone come con Breaking Bad: per me è una sorpresa e una shock e ancora adesso non so come affrontarlo. Sono entrato in questo business scrivendo commedie brevi, è una cosa che mi rendeva felice, e forse non ho mai pensato di poter raggiungere questo successo, non sono sicuro che per me abbia lo stesso valore di una persona che ha cominciato come attore”. 

Come sceglie i suoi personaggi? Quest’anno ha interpretato l’agente Bill Oswalt in Fargo, personaggio molto diverso da Saul Goodman. 
B.O.: “Non ho preferenze, cerco sempre personaggi che abbiano sfaccettature, come nella serie Fargo: lì i personaggi sono allo stesso tempo divertenti, ostinati e poi si scoprono sempre nuovi lati. La televisione è fantastica perché ti offre più tempo per esplorare i personaggi. Al cinema la gente ormai vede solo storie di effetti speciali e credo che invece sia affamata di storie vere”. 

Un aneddoto curioso sul suo personaggio? 
B.O.: “Da quando interpreto Saul mi si avvicinano spesso degli avvocati dicendomi: sono un avvocato anche io e sono esattamente come Saul! Mi lasciano sempre perplesso”. 

Infine la domanda che tutti si stanno facendo: oltre alle facce note di Breaking Bad che tornano nei primi due episodi, in Better Call Saul rivedremo altri personaggi e soprattutto Walter White e Jesse Pinkman? 
B.O.: “Sì vedrete altre facce note: non vedrete però Jesse e Walter. Almeno nella prima stagione. La seconda stagione è già stata confermata: siamo fortunati. Speriamo di mantenere alto l’interesse del pubblico. Pregate per le persone della tv: Signore veglia su di loro!”.


domenica 15 febbraio 2015

1992, la serie su Mani pulite: tra Gomorra e Romanzo Criminale

Presentata in anteprima mondiale al Festival di Berlino, 1992, serie ideata da Stefano Accorsi che racconta, sullo sfondo della Milano degli anni ’90 segnata da Tangentopoli, la vita di sei personaggi che accompagnano lo spettatore attraverso un anno cruciale per l’Italia. In onda dal 24 marzo su Sky Atlantic



17 febbraio 1992: il pool della Procura della Repubblica di Milano, guidato dal magistrato Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi), coglie in fragranza di reato l’ingegnere Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro del Partito Socialista Italiano, con ancora in mano una tangente di sette milioni di lire. Nella squadra di Di Pietro c’è anche Luca (Domenico Diele), poliziotto appena entrato nel team, che ha delle forti motivazioni personali: il suo obiettivo è incastrare anche un altro imprenditore di Milano, Michele Mainaghi (Tommaso Ragno), colpevole di avergli rovinato la vita. 

Comincia così 1992, serie in dieci puntate prodotta da Sky Atlantic HD e Wildside, in collaborazione con La7, che racconta un anno fondamentale per la storia italiana, in cui, grazie allo scandalo di Mani pulite, che ha portato poi alla scoperta di Tangentopoli, ha scoperchiato una trama fitta di corruzione intrecciata a diversi livelli, che univa politica, economia, spettacolo e comunicazione. Nata da un’idea di Stefano Accorsi, la serie, scritta da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, sceglie di raccontare il cambiamento politico e culturale di quegli anni lasciando le indagini e i personaggi reali sullo sfondo, puntando invece l’obbiettivo su dei protagonisti di finzione, che portano su di sé la responsabilità di raccontare diversi elementi fondamentali dell’Italia di venti anni fa, che hanno portato al paese di oggi. 

Oltre a Luca, una delle 60mila vittime del sistema di appalti sanitari truccati, che portò all’epoca alla diffusione dell’HIV a causa di una partita infetta di sacche di sangue per la trasfusione, c’è anche Veronica (Miriam Leone), aspirante soubrette che si lega all’imprenditore Mainaghi per ottenere la conduzione di Domenica In, incarnando così una delle capostipite del sistema marcio del mondo dello spettacolo italiano, venuto poi a galla nel 2006 con l’inchiesta Vallettopoli. Significativo anche il personaggio di Pietro Bosco (Guido Caprino), ex militare di istanza in Afghanistan rimandato in patria con disonore, che si lancia in politica con il nascente partito della Lega Nord

A unire i destini di tutti i personaggi è la figura carismatica e ambigua di Leonardo Notte (Stefano Accorsi), ex sessantottino ora esperto di pubblicità, che sa essere estremamente persuasivo scavando nelle debolezze e nei desideri delle persone, chiamato a individuare una figura vincente da lanciare in politica per oscurare lo scandalo di Mani pulite. Da eminenza grigia che percorre i corridoi del potere senza però mai mostrare il volto in prima persona, Notte è una figura inquietante e allo stesso tempo affascinante, che precorre i tempi e cavalca l’onda del cambiamento, cercando contemporaneamente di lasciare tutto immobile e immutabile. Un personaggio complesso e sfaccettato, che, secondo la stessa ammissione degli autori, si ispira al Don Draper di Mad Men, incarnato con la giusta convinzione da Accorsi, alla sua migliore interpretazione degli ultimi anni. 

Inevitabile il confronto con Gomorra e Romanzo Criminale, le altre due serie evento prodotte sempre da Sky, che raccontano periodi diversi della storia italiana: collocandosi esattamente a metà tra gli anni ’70 della Banda della Magliana e la Scampia moderna, la Milano anni ’90 di 1992 è l’anello di congiunzione tra le due serie, non solo temporalmente, ma anche geograficamente, mostrando un mondo che è meno violento della Napoli dei camorristi o dei criminali di Roma, ma che è forse più destabilizzante, nascondendo corruzione e violenza in ambienti apparentemente irreprensibili e onesti, in cui i corrotti indossano cravatte e uccidono a colpi di mazzette. 

Impeccabile il lavoro di ricostruzione storica, non solo per quanto riguarda scenografie e costumi, ma soprattutto per l’utilizzo intelligente della musica, cui si aggiungono le composizioni originali di Davide “Boosta” Dileo, tastierista e fondatore dei Subsonica, e dei programmi televisivi dell’epoca: spezzoni di Non è la Rai, Casa Vianello e Domenica In riescono a raccontare il periodo molto più dei dialoghi. Convincente anche la regia di Giuseppe Gagliardi, già autore del film Tatanka, che sta addosso ai suoi personaggi non lasciandoli nemmeno un minuto, inquadrandoli da vicino e spesso scomponendo i loro volti in semplici occhi, orecchie e bocche, rendendoli così i frammenti di una generazione intera. 

Progetto ambizioso, 1992 è nato, secondo le intenzioni degli autori, come il primo tassello di una trilogia, che, se sarà confermata, arriverà fino al 1994. La prima stagione, presentata in anteprima al Festival di Berlino, debutterà in Italia, e contemporaneamente in Gran Bretagna, Germania, Irlanda e Austria, il prossimo 24 marzo su Sky Atlantic HD.


giovedì 5 febbraio 2015

MIKE LEIGH: L’INTERVISTA AL REGISTA DI “TURNER”

Esce in questi giorni nelle sale italiane, il film sulla vita del pittore inglese, maestro nel catturare la luce dei paesaggi marini. Presentato in concorso al Festival di Cannes e premiato per la migliore interpretazione maschile del protagonista Timothy Spall 

Mike Leigh


Poeta della luce e maestro nell’arte paesaggistica, artista sublime e mago del colore, ma allo stesso tempo uomo burbero, pieno di ombre, dal passato triste e con un rapporto pessimo con quasi tutte le donne della sua vita, attaccato visceralmente all’esistenza ma angosciato dalla morte e dalla perdita: è comprensibile che Mike Leigh, regista in grado come pochi di raccontare la vita quotidiana e gli aspetti più intimi e a volte anche sgradevoli di una persona, sia rimasto affascinato dalla figura contraddittoria e singolare di William Turner, pittore inglese dell”800 in grado di catturare la meraviglia della luce nelle sue tele e orso nel privato. Presentato in concorso al Festival di Cannes, dove è stato premiato per la migliore interpretazione maschile a Timothy Spall, il film racconta gli ultimi 26 anni di vita di Turner, dalla perdita dell’adorato padre alla morte, avvenuta tra le braccia di Sophia Booth (Marion Bailey) al suono delle parole: “Il sole è Dio”. 

Abbiamo incontrato Mike Leigh che ci ha parlato del suo fascino per la figura di Turner, su cui ha compiuto anni di ricerche, e dell’esigenza di fare film che raccontino persone vere, colte anche nei loro difetti e debolezze. 

Mike Leigh e Timothy Spall sul set di Turner


Il suo film non è un classico biopic in cui si racconta la vita di un’artista, ma una riflessione sull’arte e sulla vita. 
“Sì, a un certo livello sì, non è un biopic, non ha una costruzione narrativa causale, ma una serie di immagini che sommate fanno una vita, è sicuramente una riflessione sull’arte e su quello che vuol dire essere un’artista. Non si vede il moto creativo perché è impossibile rappresentarlo, ma comunque nel film rifletto sulla figura dell’artista, un’occupazione che è anche fisicità, il sublime che si accompagna alla fatica: un aspetto che mi affascina”. 

Nel suo film non cerca di imbellire fatti e personaggi, una scelta in controtendenza rispetto ai biopic che vanno per la maggiore a Hollywood. 
“Credo che il successo del film sia dovuto anche a questo: quando si realizza un film sulla vita di un artista del genere ci si confronta con immagini iconiche, con miti che si decide di sfidare. Non solo in Turner, ma anche in tutte le mie pellicole cerco sempre di mostrare persone e vite vere: il sesso, l’amore non sono belli come nei film, perfino a Los Angeles le persone non sono belle come nei film di Hollywood. Fin da piccolo ho cercato la vita vera e ho sempre cercato di rimanere fedele a questa idea: all’epoca di Turner non si facevano mai la doccia, il grande artista non è una figura angelica, non lo si può rappresentare come se i suoi quadri fossero una proiezione ectoplasmatica della sua testa. Gli artisti si sporcano le mani. Comunque potrei farci un film di fantascienza su questa idea: artisti che creano opere come se fossero ectoplasmi”. 

Come mai ha deciso di mostrare nel film l’esperimento sul magnetismo? 
“Turner era affascinato dalla scienza, ha compiuto studi sui negativi e la fotografia ed era affascinato dai treni, era curioso e intrigato dal progresso: credo che tutti i cambiamenti che ha vissuto lo abbiano formato come persona e abbiano contribuito alla sua sensibilità di artista. Tutti gli artisti si alimentano di quello che vedono”. 

La scena della boa alla Royal Academy è accaduta davvero? 
“Sì, è accaduta veramente, ci sono delle prove di questo episodio. Abbiamo costruito il suo ritratto a partire da tutte le fonti che avevamo e abbiamo scoperto che Turner era un uomo come tutti: amava bere, scopare e fare battute”. 

Nel film il critico d’arte John Ruskin non è molto apprezzato da Turner: è un suo modo per esprimere l’opinione che ha dei critici? 
“No, era la rappresentazione di quella persona, Turner in particolar modo lo riteneva un cazzone, apprezzava il suo entusiasmo e soprattutto la ricchezza di suo padre che comprò diversi suoi quadri, ma fondamentalmente lo considerava un fesso”. 

Come mai ha deciso di raccontare la vita di Turner per episodi? 
“Non avrei saputo raccontare la storia in un altro modo: per me non è frammentata, credo sia importantissimo dare a un film una fluidità, un movimento, come nella musica. In realtà il film ha una sua sinuosità, un’architettura ben precisa. L’azione si sviluppa in 26 anni quindi il modo di raccontare più adatto per me era questo”. 

Il grugnito particolare che Timothy Spall fa per caratterizzare Turner è un fatto storicamente accertato? O è un aspetto che avete aggiunto per costruire il personaggio? 
"Sono abituato a mostrare persone così come sono nella vita vera e all’interno del loro comportamento. Abbiamo trovato diverse testimonianze su Turner e pare che effettivamente grugnisse, facesse strani rumori, fosse caustico e a volte rispondesse con monosillabi”. 

Ha sempre pensato a Timothy Spall come interprete ideale? 
“Non ho chiesto a nessun altro di recitare la parte: ho sempre pensato che Spall fosse il più adatto. La sua preparazione è durata due anni e mezzo: ha imparato davvero a dipingere”.

Quando ha capito che quella di Turner era una storia che voleva raccontare? 
“Anni fa mi trovavo alla National Gallery a osservare un suo quadro e ho pensato che poteva essere una bella storia. Poi mi sono documentato sul Turner privato, non il grande pittore, e sono rimasto colpito dal contrasto tra l’artista e l’uomo”. 

Da narratore di storie la affascina il fatto che un pittore abbia a disposizione una sola immagine per raccontare una storia intera? 
“In un certo senso sì: un regista racconta una storia ad ogni fotogramma e possiamo dire che la scelta dell’inquadratura è fondamentale, è come la prospettiva per un pittore, anche se, a differenza della pittura, il cinema ha il vantaggio del movimento e del tempo”.

Mike Leigh sul set di Turner


MARION BAILEY È SOPHIA BOOTH NEL FILM “TURNER”

Abbiamo incontrato l’attrice, alla sua quarta collaborazione con il regista Mike Leigh, che questa volta l’ha voluta nel ruolo della donna con cui il pittore William Turner ha passato gli ultimi anni della sua vita 

Mation Bailey


Attrice di teatro, allieva della prestigiosa Guildhall School of Music and Drama, volto noto per gli appassionati di serie tv (ha interpretato Jill in Him&Her ed è apparsa in Being Human), al cinema la figura di Marion Bailey è indissolubilmente legata a quella di Mike Leigh, regista che le ha affidato uno dei suoi primi ruoli in Meantime, nel 1984, e con cui ha lavorato in seguito anche in Tutto o niente (2002) e Il segreto di Vera Drake (2004). Interprete malleabile, in grado di cambiare postura, tono di voce e accento a seconda del personaggio, Bailey è una delle attrici di riferimento di Leigh, che l’ha voluta anche nella sua ultima pellicola, Turner, film sulla vita del grande pittore William Turner, virtuoso dei paesaggi, in particolare marini. In Turner, presentato al 67esimo Festival del Cinema di Cannes, dove il protagonista Timothy Spall è stato premiato per la migliore interpretazione maschile, Bailey interpreta Sophia Booth, vedova proprietaria di una locanda nel Kent, con cui il pittore ha passato gli ultimi anni della sua vita. L’attrice ha dato diverse sfumature al personaggio, donandole una risata caratteristica e lavorando moltissimo su accento e postura, compito non facile vista l’assenza di testimonianze audiovisive su cui basarsi.

Abbiamo incontrato Marion Bailey in occasione della presentazione del film a Roma, dove ci ha parlato di come ha lavorato per costruire il personaggio e di come affidarsi a Mike Leigh sia un processo misterioso e allo stesso tempo magico. 

Questa è la sua quarta collaborazione con Mike Leigh: com’è lavorare con lui? 
“Con Mike ho lavorato non solo al cinema, ma anche a teatro: con lui non sai mai come potrà andare a finire. Lavoriamo insieme per creare il personaggio e costruire la storia e pian piano il film prende forma: è la sua magia, non so spiegarlo bene, ma seguiamo un canovaccio e poi tutto diventa reale. Per il ruolo di Mrs. Booth ho fatto molte ricerche: ho letto diverse biografie e mi sono resa conto che ci sono voci contrastanti sul suo conto. Alcuni dicono che fosse una brava donna affezionata a Turner, altri che cercava soltanto il suo denaro”. 

Secondo lei come mai Turner è riuscito ad avere una relazione serena praticamente soltanto con Sophia Booth? Dal film si capisce che il suo rapporto con le donne era pessimo. 
“Credo che molto sia dipeso dal fatto che la madre di Turner era una donna violenta: se ne è separato presto e la cosa lo ha sicuramente scosso, poi la sorella, che adorava, è morta quando lui aveva appena otto anni. Penso che queste esperienze lo abbiano segnato e abbiano condizionato il suo rapporto con le donne. Inoltre, anche se nel film la storia è romanzata, credo che fosse affezionato alla sua domestica e prima di morire lasciò scritto che voleva che la sua casa andasse a lei, quindi non con tutte le donne della sua vita ha avuto problemi. Non sappiamo con certezza come fosse il suo rapporto con Sophia Booth: credo che si siano trovati bene insieme perché avevano la stessa provenienza, erano entrambi provenienti dalla working class e avevano genitori illetterati”. 

Nel film interpreta una delle persone più vicine a Turner: secondo lei com’era stargli vicino? Il film fa capire come non fosse una persona amabile. 
“Turner aveva molte facce: era scorbutico, non sopportava gli stupidi e si spazientiva presto ma era anche generoso e aveva una grande sensibilità. Non tutti sanno che Turner scriveva anche poesie: non mi stupisco del fatto che Mike Leigh sia rimasto affascinato da lui. Credo che anche Mrs. Booth abbia visto la sua sensibilità al di là delle apparenze e allo stesso tempo credo che abbia sofferto a stare accanto a un uomo affetto dall’egoismo degli artisti, sono così concentrati sul loro lavoro che è difficile star loro vicino”. 

Quanto è stato difficile interpretare un personaggio realmente esistito ma di cui non esistono testimonianze audiovisive? Come lo ha costruito? 
“Ho fatto molte ricerche alla British Library e siamo riusciti a trovare delle registrazioni audio di persone nate nel Kent negli anni ’50, quindi più o meno quando Sophia Booth è morta. Grazie a questi documenti ho potuto lavorare sull’accento: in quel periodo si parlava in maniera diversa da oggi in quelle zone. Inoltre ho letto molto, soprattutto Dickens, che ha viaggiato nel Kent, e ho preso il maggiore spunto proprio da un suo personaggio, Clara Peggotty (uno dei protagonisti di David Copperfield, ndr). Inoltre ho studiato la condizione femminile dell’epoca: paradossalmente nel periodo georgiano le donne erano molto più libere che in quello vittoriano. Booth era una donna indipendente”. 

Il film è nominato a diversi premi Oscar, tra cui migliore fotografia a Dick Pope e migliore colonna sonora a Gary Yershon: ci sarà anche lei la notte degli Academy Award? 
“No, non sarò agli Oscar. Sono felice però per Dick Pope: con Mike hanno lavorato al film per dieci anni! Il film è a basso budget ma grazie al suo lavoro sembra una produzione almeno dieci volte più costosa. La musica è straordinaria: Yershon ha deciso di non usare melodie dell’epoca, creando un contrasto geniale. Vorrei che anche Mike fosse stato nominato perché ha fatto un lavoro straordinario”. 

È stato difficile recitare con quei corsetti? 
“Certo, indossare un corsetto cambia il modo in cui ti muovi, ma gli esseri umani sono sempre umani: cambiano i vestiti e le abitudini, ma la loro natura è sempre la stessa. Credo sia questo il segreto per creare un personaggio d’epoca e renderlo reale: bisogna sempre vederlo come un essere umano”. 

Questo è un film con diversi personaggi, quanto è stato importante il ruolo del regista per unire il cast? 
“Fondamentale: Mike ha fatto comunicare tutti i dipartimenti, c’è stato dialogo tra i costumisti e i responsabili degli oggetti di scena, tra tutti gli attori e io stessa ho discusso con lui di tutto, come per esempio con quanta frequenza avrei dovuto lavarmi i capelli per rendere credibile il mio personaggio”.

Timothy Spall e Marion Bailey



lunedì 2 febbraio 2015

“ITALIANO MEDIO”: VIDEOINTERVISTA A MACCIO CAPATONDA

Abbiamo incontrato il regista, sceneggiatore e attore Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, all’esordio cinematografico con Italiano Medio, film ispirato al suo omonimo corto del 2012. Con lui anche Luigi Luciano ed Enrico Venti, ovvero Herbert Ballerina e Ivo Avido, compagni di set inseparabili fin dai tempi dei primi trailer satirici caricati su YouTube. 

Maccio Capatonda


Da quasi dieci anni la webstar più nota e famosa d’Italia, Maccio Capatonda, nome d’arte di Marcello Macchia, con la società di produzione Shortcut Productions, fondata insieme all’amico Enrico Venti, produttore esecutivo e attore dei suoi video con il soprannome di Ivo Avido, ha creato un suo stile riconoscibile e personale, anche grazie alla creazione di personaggi entrati nell’immaginario collettivo come Mariottide e Padre Maronno.

Appassionato bulimico di cinema e televisione, Macchia è ideatore, sceneggiatore, regista, attore e montatore dei suoi video: un talento a tutto tondo che non poteva non fare il grande salto dal web al cinema. Ampliando l’idea dell’omonimo corto del 2012, andato in onda nel corso della trasmissione Ma anche no, condotta da Antonello Piroso, Macchia ha realizzato il suo primo lungometraggio, Italiano Medio, che racconta la storia di Giulio Verme, idealista vegano che si batte per l’ambiente ma non è preso sul serio da nessuno, nemmeno dalla fidanzata Franca (Lavinia Longhi), ed è costretto a fare un lavoro insoddisfacente. Tutto cambia quando il suo amico Alfonzo (Luigi Luciano) gli fa provare una pasticca che abbassa l’utilizzo del suo cervello dal 20 al 2%, trasformandolo in un cafone senza morale che pensa solo ai reality show, ai videogiochi e a rimorchiare donne. Implacabile, caustico e cattivo, Italiano Medio è una commedia amara, che colpisce in faccia lo spettatore, grazie a personaggi estremizzati ma paurosamente verosimili. 

Abbiamo parlato del film con il regista, sceneggiatore e attore Marcello Macchia e con gli attori Enrico Venti, anche produttore esecutivo, e Luigi Luciano, noto con il soprannome di Herbert Ballerina.





Pubblicato su CIAK.

sabato 31 gennaio 2015

ITALIANO MEDIO, VIDEOINTERVISTA CON MACCIO CAPATONDA

Abbiamo incontrato Marcello Macchia, in arte Maccio Capatonda, regista e protagonista di Italiano Medio, suo film d'esordio ispirato al corto omonimo del 2012, insieme agli attori Luigi Luciano alias Herbert Ballerina e Enrico Venti, ovvero Ivo Avido, anche produttore esecutivo del film. Nelle sale dal 29 gennaio. 



Scheggia impazzita del piccolo schermo dal 2005, anno in cui esordì con le sue caustiche pillole di cinema nello show All Music e poi nella trasmissione Mai Dire Lunedì, Marcello Macchia in arte Maccio Capatonda è stata la prima vera web star italiana: i suoi video, caricati successivamente su YouTube, hanno avuto un successo immediato e hanno spinto il regista, attore e sceneggiatore a concentrarsi sulla produzione per la rete. 

Grazie al sostegno dei suoi collaboratori storici Enrico Venti, con cui Macchia ha fondato la società di produzione Shotcut Productions, produttore esecutivo dei video e occasionalmente attore negli spregevoli panni di Ivo Avido, e Luigi Luciani, alias Herbert Ballerina, talento comico surreale, che non abbandona praticamente mai il personaggio quando si trova di fronte a una telecamera, Capatonda è diventato una vera e propria icona, consacrato dalla copertina del numero di Wired di novembre 2014, in cui è raffigurato come "il re in giallo" di tutti i videomaker italiani. 


Da webstar al grande schermo 

Dopo il successo di serie come Mario e la creazione di personaggi ormai entrati nell'immaginario collettivo, basti pensare a Mariottide, Padre Maronno e Billy Ballo, Capatonda ha tentato il grande salto: realizzare il suo primo lungometraggio, ispirato al corto del 2012 Italiano Medio, quello che, come ha rivelato il regista durante la conferenza stampa romana del film "era un'idea espandibile in un film di novanta minuti e adatta a costruire una storia vera e propria, non un semplice collage di gag". La sfida è notevole e le ambizioni sono alte: Giulio Verme, il protagonista del film, è un idealista che ha cura l'ambiente, ma quando assume una droga che fa crollare le sue capacità intellettuali, si trasforma in un tamarro schiavo della tv, del sesso e incapace di qualsiasi coscienza sociale. "Il protagonista del mio film è un eroe medio: a metà tra il classico eroe e lo scarto della società: un eroe furbo" ha detto Macchia sempre in conferenza stampa. 


L'intervista 

Tra reality show, matrimoni lampo, terrorismo ambientale e un'estetica che caratterizza fortemente il film (colori spenti e sui toni del grigio quando vediamo il Giulio al 20% dell'uso del cervello e tinte sature e fluorescenti quando invece a rubare la scena è il Giulio al 2%), Italiano medio è una delle commedie italiane più interessanti degli ultimi anni. Abbiamo parlato del film con il regista e protagonista Marcello Macchia e con gli attori Luigi Luciano e Enrico Venti, anche produttore esecutivo.

sabato 17 gennaio 2015

“ITALO”: VIDEOINTERVISTA A MARCO BOCCI E AL CAST

Abbiamo incontrato la regista Alessia Scarso e gli attori Marco Bocci, Elena Radonicich e Barbara Tabita, protagonisti di Italo, da questa settimana al cinema. Il film è ispirato alla storia vera di un meticcio divenuto un cittadino ufficiale di Scicli, città in provincia di Ragusa 


Pelo color miele, sguardo intelligente e una spiccata propensione a socializzare: Italo Barocco non è una persona, ma per gli abitanti di Scicli, città in provincia di Ragusa, è diventato ben presto un cittadino ufficiale. Comparso dal nulla in paese intorno al 2009, il cane si è fatto subito notare, partecipando alle funzioni religiose in Chiesa, accompagnando a casa le ragazze la sera tardi, facendo da guida ai turisti e guardando i film al cinema come uno spettatore qualsiasi. Adottato dal comune e ribattezzato Italo Barocco, in onore del barocco siciliano, il cane ha ora attirato l’attenzione del cinema. 

A trasformare la storia di Italo in un film è la regista siciliana Alessia Scarso, qui al suo esordio, che ha portato sullo schermo i colori caldi della sua terra, aiutata da un cast composto soprattutto da bambini, dal cane-attore Tomak, addestrato da Massimo Parla, e dagli interpreti Marco Bocci, amato dal pubblico soprattutto grazie al ruolo di Domenico Calcaterra in Squadra Antimafia – Palermo oggi, al suo primo ruolo da protagonista in un film, Barbara Tabita e Elena Radonicich. Bocci è Antonio Blanco, sindaco di Scicli rimasto vedovo, che deve affrontare in campagna elettorale la candidata Luisa Nigro (Tabita), vistosa nei modi e negli abiti, dovendo contemporaneamente gestire la malinconia del figlio Meno e la sua attrazione per la nuova insegnante della scuola elementare, Elena (Radonicich). 

Abbiamo parlato del film con la regista Alessia Scarso e con i protagonisti Marco Bocci, Barbara Tabita e Elena Radonicich.





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mercoledì 14 gennaio 2015

“HUNGRY HEARTS”: VIDEOINTERVISTA A SAVERIO COSTANZO E ALBA ROHRWACHER

Abbiamo incontrato il regista Saverio Costanzo e Alba Rohrwacher, protagonista del film Hungry Hearts, tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso, che esce al cinema dal 15 gennaio già forte di due premi importanti: alla scorsa Mostra di Venezia sia Alba che il co-protagonista maschile Adam Driver hanno vinto la Coppa Volpi come migliori interpreti


Mina (Alba Rohrwacher) e Jude (Adam Driver) si incontrano a New York: protagonisti di un amore tenero e totalizzante, i due si sposano e hanno presto un figlio. Quello che doveva essere un lieto evento si trasforma ben presto in un incubo: Mina, vegana ossessionata dalla purezza e scettica verso la medicina tradizionale, crede che il suo bambino sia speciale e non vada contaminato con l’orrore della carne. La donna alimenta il piccolo solo con cibi di derivazione non animale, causandogli un ritardo nella crescita. Sconvolto dal cambiamento della moglie, Jude si trova nella difficile situazione di dover scegliere tra suo figlio e la donna che ama. 

Amore eccessivo, solitudine, ossessione, inadeguatezza di fronte a un compito difficile e delicato quale è essere genitore: al suo quarto film Saverio Costanzo decide di mettere in scena una storia complessa pronta a far sorgere diversi interrogativi nello spettatore. Per raccontare l’evoluzione di un amore che diventa ossessione, il regista sperimenta con le immagini, usando grandangoli e obiettivi particolari, che deformano i suoi protagonisti col procedere del loro isolamento psicologico. Alba Rohrwacher si lascia plasmare e mutare dall’occhio di Costanzo, con cui è alla seconda collaborazione dopo La solitudine dei numeri primi

Abbiamo parlato del film proprio con Costanzo e Rohrwacher, arrivati alla Casa del Cinema di Roma per presentare il film, nelle sale dal prossimo 15 gennaio.





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martedì 23 dicembre 2014

“UN NATALE STUPEFACENTE”: VIDEOINTERVISTA A LILLO E GREG

Abbiamo incontrato i protagonisti di Un Natale Stupefacente, 31esimo film di Natale prodotto dalla Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, Lillo e Greg e Ambra Angiolini, insieme al regista e sceneggiatore Volfango De Biasi. 

Fare un cinepanettone diverso è possibile? Il duo comico formato da Lillo e Greg e il regista e sceneggiatore Volfango De Biasi, che hanno già lavorato insieme agli ultimi due “cinepanettoni classici”, ovvero Colpi di Fulmine e Colpi di Fortuna, pensano di sì e questo Natale, che segna il 31esimo anniversario dei film delle feste prodotti dalla Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, si sono imbarcati in una sfida: rinnovare un genere amato quanto criticato. Abbandonata la struttura a episodi e le gag più “corporali” dell’era Boldi e De Sica, il trio si è concentrato su una storia fluida, in cui i diversi protagonisti interagiscono costantemente l’un l’altro.





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sabato 25 ottobre 2014

The Jackal: ‘Saviano adora le Vrenzole’

Abbiamo incontrato gli sciacalli Francesco Ebbasta e Ciro Priello, rispettivamente regista e attore del collettivo di videomaker “The Jackal”, che ci hanno parlato del loro rapporto con Roberto Saviano, guest star d’eccezione del loro nuovo episodio di “Gli effetti di Gomorra sulla gente”, terzo, e forse ultimo, capitolo della loro “Trilogia della Frittura” 

Ciro Priello e Francesco Ebbasta


Ospiti del Wired Next Cinema del Festival del Film di Roma, il collettivo di video maker napoletani The Jackal ha incontrato il pubblico insieme a Salvatore Esposito, star di “Gomorra – La serie”, evento televisivo italiano dell’anno. La forza della produzione Sky è talmente dirompente da aver conquistato i The Jackal, fan della serie fin dalla prima messa in onda, al punto di dedicarle una parodia: “Gli effetti di Gomorra sulla gente”. Il primo e secondo episodio hanno totalizzato cinque milioni di visualizzazioni su You Tube, potendo contare anche sulla partecipazione straordinaria proprio di Salvatore Esposito. 

Per il capitolo conclusivo di quella che i The Jackal hanno battezzato la “Trilogia della Frittura”, gli sciacalli del web hanno fatto il salto estremo: coinvolgere Roberto Saviano, l’uomo da cui tutto è nato, autore del romanzo “Gomorra” e creatore della serie insieme al regista Stefano Sollima. 

Abbiamo incontrato Francesco Ebbasta e Ciro Priello, rispettivamente regista e attore dei The Jackal, alla fine dell’incontro con il pubblico: ecco cosa ci hanno detto i ragazzi che sono riusciti a far dire “sta’ senza pensier” a Saviano. 


Qui al Maxxi il pubblico ha potuto rivedere alcuni dei vostri video: che effetto vi fa sentire dal vivo le risate del pubblico quando li vede? In genere vedete semplicemente un numero su YouTube, invece qui avete sentito il calore del pubblico. 

Ciro Priello: “È sempre molto bello e piacevole: personalmente mi fa ridere ancora di più”.  
Durante l’incontro avete detto che il terzo episodio di “Gli effetti di Gomorra sulla gente” sarà l’ultimo. Pensate sia la degna conclusione alla vostra “Trilogia della Frittura”? 

Francesco Ebbasta: “È la degna conclusione. Con questo video romperemo internet”.

Qual è il vostro rapporto con Roberto Saviano? 

FE: “È una persona molto gentile: confesso che non me l’aspettavo, è anche molto simpatico. Si presenta in veste più seria invece conoscendolo abbiamo scoperto che è fan dei nostri video e in particolare di Vrenzole, cosa che ci ha fatto molto piacere. È una persona anche molto umile secondo me”. 

Siete in trattative per realizzare progetti importanti come film e serie tv: quale sarà il vostro primo passo? 

FE: “Forse il primo film dei The Jackal sarà una commedia: ci piacerebbe che fosse una meta-commedia, in grado di prendere in giro e mescolare tutti i generi che abbiamo affrontato fino a ora”. 

Ciro, lei è anche il casting director della società: com’è da attore selezionare altri attori? 

CP: “Mi piace, sono molto cattivo. Scelgo gli attori insieme al regista, che sia Francesco o Giuseppe (Tuccillo), cerchiamo di trovare l’attore migliore per quel determinato ruolo. È un lavoro che mi affascina parecchio: mi piace cercare le caratteristiche che ho in mente per un determinato personaggio”. 

Avete mai litigato per una scelta su cui non eravate d’accordo? 

CP: “No, magari a volte abbiamo pareri diversi e discutiamo, ma non abbiamo mai litigato”. 

A Giffoni, da uno spunto di Alfredo Felco, uno dei vostri “maghi della post-produzione”, era uscita fuori l’idea di realizzare una serie intitolata “Space Mockeys travelling in time”: ci state lavorando? 

FE: “Quella è veramente una bomba, grazie per avermelo ricordato. Magari faremo direttamente il due”.


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venerdì 24 ottobre 2014

Salvatore Esposito: ‘Così i Jackal colgono nel segno’

A margine dell’incontro organizzato al Maxxi nella sezione Wired Next Film Festivale abbiamo incontrato Salvatore Esposito. Nei panni di Genny è stato uno dei protagonisti più apprezzati e premiati della serie Gomorra, diretta da Stefano Sollima per Sky. Spiazzando tutti e rivelando una insospettabile vena comica, si è divertito a diventare una delle guiest star nella webserie “Gli effetti di Gomorra sulla gente. 

Savatore Esposito


Salvatore, grazie a questo incontro hai potuto vedere gli effetti della tua performance sul pubblico dal vivo, come se fossi a teatro: che sensazione ti ha dato? 

Salvatore Esposito: “È stato bellissimo: vuol dire che il video ha colto nel segno, è riuscito a rendere omaggio a quella che è stata la serie evento dell’anno, cercando di togliere la pesantezza di critiche stupide sorte a priori e dandogli quella verve comica tipica dei The Jackal”. 

Ti piacerebbe quindi far ridere il pubblico con un ruolo comico? Magari in una commedia al cinema? 

SE: “Dipende: se è un progetto valido assolutamente si. Non pongo mai limiti a nulla, ma deve valerne la pena: deve essere un progetto serio, interessante e ben strutturato”. 

Quando ti ho incontrato questa estate al Giffoni Film Festival ti ho chiesto qual è il tuo rapporto con i social: allora mi hai detto che poter parlare con il tuo pubblico ti piaceva, oggi invece nel corso dell’incontro hai detto che a volte le critiche ti hanno esasperato: hai cambiato idea sul mezzo o pensi che il problema sia solo di alcune persone? 

SE: “Penso la stessa cosa: i social network sono la chiave pubblicitaria e di comunicazione del futuro, puoi creare un contatto diretto con le persone che ti seguono ma credo che ci sia bisogno di un limite a quello che le persone si sentono in diritto di dire. Spesso pur di attirare l’attenzione si dicono cose cattive: c’è bisogno di razionalità in quello che si fa, purtroppo i social network tolgono la possibilità di conoscere di persona il tuo interlocutore e permettono di dire qualsiasi cosa e questo non mi sembra corretto”. 

Il successo del tuo Genny è stato incredibile, il pubblico ti adora e al Roma Fiction Fest hai vinto addirittura due premi: che effetto ti fanno tutti questi riconoscimenti? Ti sei montato un po’ la testa o sei sempre il ragazzo che sognava di fare l’attore fin da bambino? 

SE: “No assolutamente. Ho fatto così tanti sacrifici per iniziare a fare quello che ho sempre sognato fin da bambino che è lungi da me il montarmi la testa. Ho una famiglia solida alle spalle, ho delle persone che mi sono vicino che mi tengono con i piedi per terra, quindi sicuramente non c’è questo rischio”.


Pubblicato su TvZap.
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