Per voi una interessante intervista esclusiva con il celebre documentarista americano che è stato appena insignito del Leone d'oro alla carriera alla 71. Mostra del cinema di Venezia.
Il documentarista americano, autore di opere incredibili come Titicut Follies, La Danse - Le Ballet de l'Opera de Paris e National Gallery, sua ultima fatica girata all'interno del famoso museo di Londra e presentata all'ultimo festival di Cannes, ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera alla 71esima Mostra del Cinema di Venezia. Lo abbiamo incontrato per parlare della sua idea di cinema e del suo ultimo lavoro.
Lo sguardo lucido e curioso di Frederick Wiseman è stato spesso definito "un tesoro americano": nella sua lunga e prolifica carriera di documentarista il regista ha visitato decine di luoghi al cui interno la vita quotidiana e l'ingegno umano si esprimono al meglio, microcosmi di cui svela i segreti e fa diventare metafora universale.
Grazie al suo punto di vista preciso e quasi invisibile, Wiseman è in grado di portare lo spettatore all'interno dei luoghi che esplora, facendo vivere allo spettatore le atmosfere e il respiro di quegli ambienti, come se fosse un'ape che osserva silenziosa un mondo rimasto misterioso fino a quel momento.
DALLA FOLLIA DELLA MENTE AI MISTERI DELLA NATIONAL GALLERY PASSANDO PER L'ARMONIA DELLA DANZA
Dopo aver dissezionato con la cura di un entomologo le stanze di un manicomio psichiatrico in Titicut Follies" (1969), osservato la flora e la fauna di Central Park nel film omonimo (1989), visto volteggiare le ballerine dell'American Ballet Theatre in Ballet (1995) e quelle dell'Opera di Parigi in La Dance (2009) ed essere tornato all'università in At Berkeley" (2013), Frederick Wiseman ha deciso di esplorare le stanze e svelare i segreti della National Gallery, il famoso museo di Londra. Il documentario, intitolato appunto National Gallery, è stato presentato quest'anno al Festival di Cannes, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs.
Artista prolifico (ha diretto 41 pellicole in quasi 50 anni), uomo di cultura (ha conseguito due lauree, una, nel 1951, in materie umanistiche al Williams College e l'altra, nel 1954, in economia alla Yale Law School) e membro di diverse associazioni culturali, come Les Amis du Cinéma du Réel Association e Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, Frederick Wiseman vedrà presto premiato il suo brillante percorso alla 71esima Mostra del Cinema di Venezia, dove riceverà il Leone d'oro alla carriera insieme a Thelma Schoonmaker, storica montatrice dei film di Martin Scorsese. Per Wiseman si tratta del coronamento di un rapporto fruttuoso: il regista ha infatti partecipato a otto edizioni della Mostra, l'ultima delle quali l'anno scorso, quando presentò fuori concorso il documentario "At Berkeley".
Abbiamo incontrato il futuro Leone d'oro a Cannes, dove ci ha parlato della sua idea di cinema, di come l'arte sia un valore assolutamente irrinunciabile e della sua ultima fatica, National Gallery, costatagli 14 mesi di lavoro, 12 settimane di riprese e 170 ore di girato per ottenere i 180 splendidi minuti finali. In Italia National Gallery è stato presentato in anteprima al Biografilm Festival di Bologna e sarà distribuito in autunno da I Wonder Pictures in collaborazione con Sky Arte.
FARSI TROVARE DALL'ARTE
Segue qualche regola particolare quando dirige un film?
No, l'unica regola che ho è cercare di capire se una scena è buona oppure no.
È lei a cercare l'argomento dei suoi film o sono i suoi film che trovano lei?
A volte li trovo per caso. Per esempio ho trovato National Gallery mentre stavo sciando in Svizzera: c'era una donna, un'amica di un mio amico, che lavora alla National Gallery e ha cominciato a parlarmene, abbiamo discusso e lei mi ha detto che avrei dovuto fare un film sulla galleria di Londra. Questa cosa mi è successa diverse volte, certo non sempre sciando in Svizzera! L'argomento mi ha colpito perché trovo che la pittura sia una forma diversa di racconto.
L'ARTE DI SCOMPARIRE IN MEZZO ALLA FOLLA
Per National Gallery ha girato molte scene tra la folla: è facile scomparire in mezzo alle persone con una macchina da presa?
In molti dei miei film mi trovo nella condizione di dover lavorare in mezzo alla folla, altre volte invece, come nel film in cui ho girato in un monastero dove in tutto c'erano solo 25 persone, l'atmosfera è più intima. Fondamentalmente cerco di comportarmi in maniera naturale, non provo mai nulla, e in genere le persone si abituano alla telecamera in tre secondi. Per questo film in particolare comunque all'ingresso del museo c'era un cartello che avvertiva i visitatori: quindi chi è stato ripreso lo sapeva e nessuno si è rifiutato di apparire nel film, credo per una combinazione di indifferenza e narcisismo.
L'ARTE COME VALORE IRRINUNCIABILE
Per la grande massa i musei sono considerati qualcosa di noioso e morto, invece dal suo film emerge che la National Gallery è un microcosmo vitale e pieno di energia in cui dietro ogni dipinto c'è una storia differente: cosa l'ha attratta di più di questo mondo così singolare?
Quando ho cominciato a fare il film pensavo che la cosa più attraente fossero le opere d'arte esposte al museo e invece ho presto scoperto che tutto ciò che c'è dietro le quinte è forse ancora più interessante. Il dipartimento di restauro mi ha affascinato moltissimo: poter vedere cosa c'è al di sotto di un Rembrandt grazie ai raggi X è stata un'esperienza eccezionale, ho potuto vedere sia il dipinto reale che quello originale. Inoltre i restauratori sono delle figure che mi affascinano: devono essere grandi pittori a loro volta, sono tecnicamente impeccabili ma non hanno la fantasia o quel quid che porti alla creazione di un'opera d'arte unica e quindi mettono al servizio del genio la loro tecnica.
L'arte oggi non è considerata molto attraente, mentre nel film vediamo che nella National Gallery ci sono visite guidate organizzate appositamente per i bambini e per le persone cieche: per lei è stato importante diffondere l'idea che studiare arte e ammirare delle opere sia ancora fondamentale?
È terribile pensare che ci siano persone che la pensano così, ma in effetti anche nel film parliamo di un aspetto fondamentale nella vita del museo: ovvero come attirare un pubblico. Le persone che pensano che l'arte non sia "cool" si privano di una grande ricchezza: di ogni periodo storico quello che durerà nel tempo è la grande arte, in qualsiasi forma si presenti. Del Medioevo quello che è rimasto vitale sono le grandi chiese, le statue e i dipinti, mentre di quello che è considerato "cool" oggi non si ricorderà nessuno.
Ha provato un piacere particolare nel poter girare liberamente nella National Gallery?
È stato un grande privilegio poter girare da solo nel museo quando non c'era nessuno. C'erano comunque delle guardie, forse nel caso impazzissi e rubassi un Rembrandt. Comunque è meraviglioso essere da solo in una galleria vuota: stimola la tua immaginazione.
Da persona che crea storie, la affascina il fatto che un dipinto racconti una storia con una sola immagine?
Questo è proprio uno dei punti centrali del film: mettere a confronto varie forme espressive. Un film, un dipinto, una scultura, una coreografia raccontano tutti una storia in modi differenti. I dipinti mi affascinano perché è come se si trattasse di una serie di fotogrammi che raccontano una storia tutti insieme contemporaneamente.
TUTTA QUESTIONE DI RITMO, EQUILIBRIO E SGUARDO
Lei gira sempre molto materiale: come sceglie cosa mettere nel film definitivo?
Nel caso di National Gallery avevo materiale per almeno sei ore di film. Ogni volta che giro una scena prendo degli appunti e così facendo già seleziono la metà del materiale. Al momento del montaggio poi effettuo un'ulteriore scrematura e, una volta che ho sotto mano tutte le scene montate candidabili per il montaggio finale, decido quale sarà la struttura del film. Il risultato finale dipende molto da come stanno le scene una accanto all'altra. Quindi non so bene come sarà il film fino a che non mi metto a lavorarci, inizialmente sono sicuro solo dell'idea e delle sensazioni che voglio affrontare. Il montaggio somiglia molto al lavoro dello scrittore: lo scrittore trasmette la sua immaginazione attraverso le parole, io uso il materiale girato.
Lei attraverso i suoi film riesce a trasmettere il ritmo dei palazzi e degli ambienti: come fa?
Il ritmo è una cosa che si trova ogni giorno: per esempio mentre si cammina il ritmo dei passi sulla terra scandisce la tua giornata. La stessa cosa succede nei film: al momento del montaggio cerco di trovare un ritmo, accostando determinate sequenze ad altre. C'è anche un ritmo astratto: non si può accostare una scena emotiva con un'altra scena emotiva, c'è un equilibrio da mantenere.
Nel film si dice che quando rivediamo un'opera questa cambia ogni volta perché muta il nostro sguardo: capita anche a lei rivedendo i suoi film?
Ogni film è sempre diverso sì, anche se tendenzialmente evito di riguardare i miei vecchi film perché li conosco molto bene: per esempio non credo che dopo Cannes rivedrò National Gallery, l'ho visto talmente tante volte al montaggio, poi una volta finito, poi al festival... Per me è un capitolo chiuso.
Che cosa l'ha sorpresa di più della National Gallery? C'era qualcosa che non si aspettava?
Non sapevo cosa aspettarmi, prima ero stato un semplice visitatore, ma credo di aver imparato molto su come si legge un dipinto: ascoltando tutte le storie dietro a ogni quadro, ora so come guardare un'opera. Prima sapevo come leggere un romanzo o una poesia, ora so molto di più sull'arte. Per esempio guardando il ritratto che Cézanne ha fatto a suo padre, se non sai che quello è il padre del pittore vedi soltanto il ritratto di un uomo anziano e ti perdi tutto l'affetto che Cézanne ci ha messo nel dipingerlo. Ogni quadro nasconde storie e aneddoti che se non li conosci riducono la tua comprensione dell'opera.
Parliamo della lunghezza dei suoi film: crede che le tre ore di "National Gallery" possano spaventare il pubblico?
Non decido a monte quanto durerà un mio film: la forma definitiva dipende dal materiale che ho girato. Possiamo dire che in un certo senso è il film stesso che decide la sua durata. Credo che ogni opera abbia la sua giusta lunghezza: per quanto riguarda me mi sento quasi obbligato, nei confronti di chi mi ha dato la possibilità di affrontare un determinato argomento, a parlare nella maniera più esaustiva possibile di quel soggetto.
Pubblicato su Movieplayer.
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