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mercoledì 4 settembre 2013

Venezia 2013, l’aliena Scarlett Johansson presenta Under the Skin: «Fare questo film è stato come andare in terapia»


L’attrice è alla 70esima Mostra d’Arte cinematografica per presentare il nuovo film del regista britannico Jonathan Glazer, in cui interpreta una creatura extraterrestre incuriosita dagli uomini 

Scarlett Johansson in una scena del film

Biondissima e abbronzata, morbidamente fasciata in un abito a righe bianche e nere, Scarlett Johansson è sbarcata al Lido di Venezia per presentare Under the Skin, terzo film del regista britannico Jonathan Glazer (Birth – Io sono Sean) tratto dal romanzo di Michel Faber Sotto la pelle. Nel film la Johansson interpreta una creatura aliena che assume sembianze umane per confondersi tra gli esseri umani. Proprio l’idea di poter guardare gli uomini attraverso gli occhi di un’aliena ha spinto il regista a realizzare la pellicola, come ha affermato in prima persona durante la conferenza stampa del film: «L’idea di poter raccontare l’umanità attraverso gli occhi di una creatura aliena mi ha spinto a fare il film. Il punto di partenza del libro è perfetto per raccontare al cinema una storia, soprattutto dal punto di vista visivo. Il film parla di temi universali come amore, morte, vita, che emergono gradualmente, attraverso sensazioni e suggestioni. Non volevo affrontare degli argomenti particolari in maniera mirata, ma esprimerli attraverso un flusso emotivo». 

Scarlett Johansson e Jonathan Glazer a Venezia 70


Il ruolo è stato particolarmente impegnativo per l’attrice americana, ripresa attraverso otto telecamere diverse nascoste in scenari reali, per poterle dar modo di recitare in maniera più naturale possibile: «È stato un ruolo molto difficile. All’inizio il mio personaggio è quasi come una macchina che si accende e si spegne in base allo scopo che deve portare a termine. Poi pian piano si evolve. All’inizio non avevo un’idea precisa di come impostare il personaggio, poi dopo due o tre riprese ho capito quello che dovevo fare. Ci sono comunque volute due settimane per capire bene la strada da seguire e per far crescere il personaggio dentro di me. Mi ha aiutato molto il fatto di essere stata ripresa in mezzo a persone che non sapevano che stavamo girando il film. Solo dopo sei o otto riprese la gente si accorgeva che stavamo girando. Il bello è stato vedere le differenti reazioni: c’è una scena nel film in cui cado per strada e abbiamo visto ogni tipo di comportamento. Alcuni ti riprendevano senza aiutarti, altri facevano finta di niente, altri ancora si preoccupavano sul serio e venivano a darti una mano. Tutto questo ha portato a una performance molto genuina, nata da una distinzione non netta tra realtà e finzione. Questo modo di girare e di non sapere cosa sarebbe accaduto è stato bizzarro, ma stimolante. Mi ha spinto ad abbandonare ogni paura e a essere sempre ben presente. È stata quasi una terapia».


Pubblicato su BestMovie.

lunedì 2 settembre 2013

Venezia 2013, Tom Hardy presenta Locke dove interpreta un eroe quotidiano: «Mi piace questo personaggio umile e sobrio»


L’attore è alla 70esima Mostra d’Arte cinematografica per presentare il nuovo film di Steven Knight di cui è protagonista assoluto 

Tom Hardy in una scena del film

In questi ultimi anni ci ha abituato a ruoli estremi e molto fisici come in Bronson di Nicolas Winding Refn e Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno di Christopher Nolan: Tom Hardy, uno dei talenti più brillanti della nuova generazione di attori inglesi, torna a stupire pubblico e critica con un’interpretazione molto diversa dalle precedenti. In Locke, nuova opera di Steven Knight, sceneggiatore di La promessa dell’assassino di David Cronenberg, presentata alla 70esima Mostra d’Arte cinematografica, Hardy interpreta Ivan Locke, direttore dei lavori di un cantiere edilizio, che deve affrontare le conseguenze delle proprie scelte. Protagonista assoluto della pellicola, Hardy recita per tutto il film alla guida di un’automobile che, nel buio della notte, porta il suo personaggio attraverso quello che diventa un percorso quasi spirituale e una vera e propria presa di coscienza, in cui affronta fantasmi del passato e si prende piena responsabilità delle sue azioni. 

Ripreso in sequenza e girato in uno spazio ristretto, il film ha dato la possibilità ad Hardy di sperimentare un tipo diverso di approccio al personaggio, come ha affermato in prima persona: «Questo è un bellissimo ruolo: c’è dramma ma poca azione. Mi ha dato la possibilità di approfondire il personaggio dal punto di vista psicologico e di infondergli integrità e umanità. Recitare in questo film è stato come affrontare un dramma radiofonico: la storia è seguita dal punto di vista del protagonista che però viene definito anche dal suo confronto con gli altri personaggi che si sentono solo come voci. Ho lavorato molto sulla caratterizzazione di Ivan Locke: mi sono fatto crescere la barba e ho addolcito la voce dolce. Mi piace questo personaggio così umile e sobrio». 

Tom Hardy e Steven Knight a Venezia 70


Per stessa ammissione di Hardy il ruolo è dunque ben lontano dal Bane visto nella trilogia di Nolan dedicata a Batman: «Questo è un ruolo molto diverso dai personaggi che si vedono nei film sui supereroi. La differenza c’è perché quello è un tipo di cinema fatto con lo scopo di incassare soldi. Personalmente credo che ci sia bisogno di film di maggiore qualità. Affrontare ruoli di questo tipo è stimolante: per Locke mi sono preparato con degli amici recitando il copione per una settimana, come si fa in teatro». La performance allo stesso tempo misurata e intensa di Tom Hardy è uno dei punti di forza della pellicola, come ha sottolineato il regista Steven Knight: «Il film è tutto basato sulla performance straordinaria di Tom. Il punto centrale del film è descrivere l’importanza e la necessità di assumersi la responsabilità delle proprie scelte. Tom ha saputo dare la giusta umanità a un uomo che cerca di essere migliore del proprio padre. Nel film anche cose che possono sembrare banali diventano centrali. Questa era la sfida maggiore: rendere interessanti cose che sembrano normali; magari a prima vista queste vicende sembrano di poca importanza, ma per le persone che le vivono sono vere e proprie tragedie. Tom ha saputo delineare il personaggio magnificamente e lo ha reso umano in modo da permettere al pubblico di identificarsi in lui».


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domenica 1 settembre 2013

Venezia 2013: Tom Welling presenta Parkland, film corale sull’omicidio di John Kennedy



La star di Smallville è a Venezia per promuovere il film esordio alla regia di Peter Landesman, in cui recita al fianco di Paul Giamatti, Billy Bob Thornton, Marcia Gay Harden e Zac Efron 

Paul Giamatti in una scena del film


Il 22 novembre di quest’anno sarà il cinquantesimo anniversario dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, una ferita che per gli americani ancora non si è cicatrizzata. Sull’argomento è stato scritto e detto di tutto e anche il cinema ha portato sullo schermo diverse teorie e speculazioni. A dare una nuova versione della vicenda arriva ora il film Parkland, esordio alla regia di Peter Landesman, giornalista e scrittore, ispirato al libro Reclaiming History: The Assassination of President John F. Kennedy di Vincent Bugliosi.

Il film si concentra sulle persone comuni la cui vita è stata sconvolta da uno degli episodi più neri della storia americana, come Abrham Zapruder (Paul Giamatti), commerciante che ha ripreso da vicino l’omicidio, Jim Carrico (Zac Efron), giovane chirurgo che si è trovato sotto i ferri l’uomo più potente del mondo, Robert Lee Oswald (James Badge Dale), fratello dell’assassino di Kennedy e Roy Kellerman, guardia del corpo personale del presidente degli Stati Uniti interpretato da Tom Welling. Proprio la star di Smallville è arrivata al Lido di Venezia per presentare il film alla 70esima Mostra d’Arte Cinematografica insieme al regista. Landesman ha affermato di aver portato sul grande schermo un punto di vista inedito, quello delle persone comuni coinvolte in prima persona: «Il film vuole rappresentare il caos e la paura che colpiscono una persona normale di fronte alle grandi tragedie. Dieci anni fa mi trovavo a New York quando le Torri sono state abbattute e la sensazione di paura, angoscia e sgomento che ho provato è stata indescrivibile. Il giorno dell’assassinio di Kennedy il disorientamento e il panico sono stati uguali, volevo dunque portare al cinema la storia delle persone sconvolte da questi tragici eventi, come Robert Oswald, fratello dell’assassino di JFK, un uomo che scopre all’improvviso che suo fratello è il diavolo. E’ una visione quasi shakespeariana della vicenda. L’uomo che viene improvvisamente colpito da tragedie più grandi di lui». Chiamato a recitare in un film corale, Welling ha detto di aver imparato molto da colleghi come Billy Bob Thornton e Paul Giamatti: «E’ stata una bellissima esperienza lavorare con tutti questi grandi attori. Il clima era molto intenso. La cosa più strana è che eravamo costantemente ripresi dalle telecamere, anche quando non sapevamo dove fossero. Sono stato sempre in scena: un modo diverso e interessante di lavorare». 


Tom Welling a Venezia 70


Il titolo del film si riferisce al nome dell’ospedale di Austin, in Texas, dove sono morti sia Kennedy che Oswald, un luogo che diventa una metafora secondo Landesman: «Parkland è l’ospedale dove sono morti sia la vittima che l’assassino: un luogo che viene ad assumere un significato quasi spirituale. E’ una metafora della morte: arriva per tutti e di fronte a lei siamo uguali a prescindere da chi siamo. Nel mio film non si giudica: non c’è tempo per puntare il dito. Parkland è una metafora della vita». Interrogato sul perché nel film non sia affrontato il tema della cospirazione interna, come avviene invece nel film di Oliver Stone JFK, il regista ha così motivato la sua scelta: «Ci sono poche prove in ogni direzione. Quindi come artista ho deciso di raccontare l’unica verità certa: la tragedia delle persone comuni coinvolte. Volevo raccontare la parte più emozionale della storia». 

Il film verrà presentato nei prossimi giorni anche al festival di Toronto, mentre in America uscirà in sala il 22 novembre, data in cui sarà trasmesso anche in Italia in televisione da Rai3.


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sabato 31 agosto 2013

Venezia 2013, James Franco presenta il suo Child of God: «La solitudine e l’isolamento sono temi che mi affascinano»



In concorso alla 70esima Mostra d’Arte Cinematografica la sua nuova prova da regista tratta dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy 

Scott Haze in una scena del film


Con quella sua aria di chi si è appena alzato dal letto e il sorriso da spot pubblicitario, James Franco non sembra il tipo d’attore in grado di realizzare un’opera che possa sconvolgere lo spettatore. Invece il poliedrico artista nato a Palo Alto possiede un ricco background artistico e culturale, che lo ha portato ad adattare per il grande schermo Child of God, uno dei romanzi più duri e inquietanti di Cormac McCarthy, il leggendario scrittore americano autore di capolavori come Non è un paese per vecchi e La strada, libro sulla vita del serial killer Lester Ballard, ispirato a Ed Gein, lo stesso assassino da cui hanno preso spunto i film Psycho e Non aprite quella porta

Presentato alla alla 70esima Mostra d’Arte Cinematografica, Child of God ha scosso la stampa internazionale con la sua rappresentazione asciutta di situazioni molto crude. Interrogato sul perché abbia voluto mettere in scena una storia così scabrosa, James Franco ha risposto: «La cosa che più mi ha colpito del romanzo è la descrizione della solitudine. La solitudine, l’alienazione e l’isolamento dalla società sono temi che mi affascinano. Quando hai a che fare con l’arte a volte capita di essere letteralmente fulminato da qualcosa che vedi o leggi e che magari ti colpisce senza che tu sappia perché. Sono un grande ammiratore dell’opera di McCarthy e volevo realizzare questo film già sette, otto anni fa». L’amore di Franco per la letteratura è ormai un fatto noto, amore che, come ha ammesso in prima persona, fa migliorare le sue prestazioni: «Amo usare libri dei miei autori preferiti per le mie opere: McCarthy e Faulkner sono tra le mie maggiori fonti di ispirazione. Portare sullo schermo un’opera di questi scrittori alza il livello del mio lavoro perché voglio rendere giustizia alla grandezza dell’opera. In un certo senso si instaura una forma di collaborazione tra me e loro, e io collaborando do il meglio di me. Se sono ispirato da un autore che rispetto do tutto me stesso». 

Scott Haze e James Franco a Venezia 70


Nel difficile ruolo del protagonista c’è Scott Haze, attore poco conosciuto che ha saputo dare una fisicità sorprendente al personaggio sottoponendosi a modificazioni fisiche drastiche, come ha rivelato durante la conferenza stampa: «Per prepararmi al ruolo sono stato in isolamento in un bosco del Tennesse per tre mesi: ho perfino dormito in una grotta. Per rendere il deperimento mentale e fisico del protagonista ho perso quasi venti chili: è stata un’esperienza difficile. Il mio approccio a un personaggio così estremo è stato quello di guardarlo con compassione, in modo da potermici relazionare. Lester è un personaggio complesso: non è il solito maniaco, è vero, è un assassino, ma è anche una persona profondamente sola e incapace di inserirsi nella società. Per rappresentarlo mi sono ispirato al Joker di Heath Ledger e a Robert DeNiro in Taxi Driver». Haze ha inoltre rivelato che Franco è stato un ottimo regista, proprio perché nasce come attore: «Con James non c’è stato un momento in cui sono stato preoccupato: è stata la mia migliore esperienza lavorativa come attore. Siccome anche lui è un attore, James sa cosa vuol dire affrontare un ruolo così difficile: per aiutarmi mi ha dato completa libertà».


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giovedì 29 agosto 2013

Venezia 2013, l’esordio di Emma Dante al cinema: «Un western a colpi di clacson, con citazioni di Sergio Leone»



L’attrice, regista e scrittrice siciliana ha presentato alla 70esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia “Via Castellana Bandiera”, suo esordio dietro la macchina da presa, tratto dall’omonimo libro scritto dalla stessa autrice e pubblicato nel 2008 

Il poster del film


Occhi scuri che scrutano con curiosità, una passionalità difficile da nascondere e una particolare predisposizione per tutto ciò che è vitale e carnale: la regista teatrale, attrice e scrittrice Emma Dante è una delle figure artistiche più interessanti presenti nel panorama culturale italiano contemporaneo. Nata a Palermo e profondamente influenzata dalle contraddizioni e dai contrasti della sua terra d’origine, la Dante sono anni che, insieme alla sua compagnia teatrale, la Sud Costa Occidentale, porta in scena il sudore, la polvere e la forza delle strade siciliane. Talento poliedrico, Emma Dante ama sperimentare: passando dalla drammaturgia classica a linguaggi a volte quasi astratti, l’artista siciliana fonde il suo bagaglio culturale ai classici del passato, come ha dimostrato con la sua originale versione della Carmen di Bizet rappresentata al Teatro Alla Scala di Milano nel 2009. Non stupisce quindi che il suo desiderio di provare sempre nuovi mezzi narrativi l’abbia spinta anche dietro la macchina da presa. Un passaggio che lei stessa ha definito estremamente naturale: “Questa storia mi sembrava molto adatta per il cinema: avevo bisogno della strada, della polvere, della carnalità delle persone. Non avrei potuto farlo a teatro“. Presentato alla 70esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, l’esordio cinematografico di Emma Dante, tratto dal suo omonimo libro Via Castellana Bandiera, pubblicato nel 2009 e vincitore del Premio Vittorini, racconta la storia di tre donne ostinate che instaurano un duello psicologico a colpi di clacson occupando una piccola strada di Palermo. Il film ha sorpreso la stampa, che l’ha subito definito un “western del Sud Italia”, definizione che l’autrice ha apprezzato: “Ho sempre sognato di fare un western: chi non vorrebbe? Quindi mi sembra una definizione pertinente“, non nascondendo una sua personale passione per l’opera di Sergio Leone: “Il cinema di Leone mi ispira molto, è un grande regista e per questo film ho approfondito il mio studio su di lui. Nel film infatti ho inserito delle citazioni al suo lavoro“. 


Emma Dante a Venezia 70


Un western del sud, dicevamo: alla domanda sul perché parli costantemente della Sicilia nelle sue opere, l’autrice ha affermato: “Io in realtà volevo ambientare la storia a Begamo… No, sto scherzando. Io sono palermitana e parto sempre dalle mie radici, dalla mia storia, dalla mia lingua. Non so esattamente cosa vuol dire “raccontare il sud”: il film parla di una comunità, di un paese, di uno stato dell’essere, racconta l’Italia ma potrebbe essere anche un altro luogo. Ho voluto rappresentare uno stato particolare che caratterizza la nostra epoca: alla fine del film (SPOILER) non abbiamo voluto far vedere il precipizio e far vedere o sentire la macchina che cade per un motivo ben preciso: volevo dire che oggi noi non riusciamo a cadere, non percepiamo il precipizio, c’è una situazione stallo nella società (FINE SPOILER)". 

Protagonista della pellicola è una coppia al femminile che si reca in Sicilia per un matrimonio e durante il viaggio vede messo a dura prova il proprio rapporto sentimentale; l’autrice, interrogata sull’argomento, non ha voluto sottolineare il fatto che si tratti di una coppia dello stesso sesso: “La vera strada di Via Castellana Bandiera per me è quella del finale, non quella bloccata che si vede nel film: noi oggi spesso occupiamo uno spazio e lo definiamo come nostro escludendo gli altri. Per me c’è spazio per tutti. Sono stanca di parlare di “storie di omosessuali”: per me le protagoniste sono due persone che si amano, punto. Perché dobbiamo parlare di “amore diverso” o trovare modi diversi per raccontarlo? Il personaggio più positivo del film infatti, il ragazzino, non giudica: è un personaggio illuminato, è uno che parla un’altra lingua rispetto alla famiglia di origine, è una piccola luce, una fiammella che porta speranza“. 


Alba Rohrwacher a Venezia 70


Le co-protagoniste femminili, Alba Rohrwacher, che interpreta Clara, la compagna della protagonista, Rosa (la stessa Emma Dante), ed Elena Cotta, che dà volto a Samira, la granitica donna che si mette letteralmente sulla loro strada, hanno dichiarato di aver amato i propri personaggi e di essere molto felici di aver avuto la possibilità di lavorare con la Dante: “Uno dei miei desideri come attrice è sempre stato quello di poter recitare un ruolo fatto solo di sguardi“, ha detto la Cotta “e questa è stata l’occasione. Ringrazio Emma per questo. Con ruoli di questo tipo devi rinunciare agli artifici della recitazione, devi asciugare tutto per diventare semplicemente un viso. È un’esperienza irripetibile: una sfida, bellissima e forte. Ho lavorato bene in un clima straordinario, cosa che mi ha aiutato molto. Sono stata molto felice di lavorare a questo film“. Dello stesso entusiasmo Alba Rohrwacher: “Emma è una regista bravissima, è la regista del mio cuore, mi ha insegnato quasi tutto quello che provo a fare. Il “metodo Emma Dante” credo funzioni molto bene: lei fa un lavoro molto duro, in cui sei portato all’estremo e che ti fa dare molto, ma alla fine sei guidata da mani esperte. Lavorare a teatro con Emma è qualcosa di irripetibile: lei dagli attori tira fuori dei fantasmi. È capace di evocare dei fantasmi che io non sapevo di avere dentro. Lavorare con Emma è sorprendente“. 


Elena Cotta a Venezia 70


A fine conferenza stampa la regista ha rivelato di essere molto affascinata dai personaggi che rivelano una mostruosità latente: “Non so come si può definire il carattere di queste donne: all’inizio sono ottuse, tenaci, ma poi cominciano a fare il punto della propria vita. Sono come il Minotauro che si guarda allo specchio e riconosce il mostro. Se non ci interroghiamo mai su noi stessi, non riusciamo mai a tirare fuori la verità, mentre se ci fermiamo di fronte a un altro che è diverso da noi la mostruosità può venire a galla. Loro sono mostruose alla fine del film: e questo mi piace. La loro mostruosità è la loro verità, è quello che non sono riuscite a dirsi fino ad ora. Nella loro mostruosità sono molto umane“.


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