martedì 10 aprile 2012
sabato 25 dicembre 2010
Momento di Vero Godimento n. 77
mercoledì 5 agosto 2009
Il matrimonio di mia sorella

Può un film con protagonista Nicole Kidman affiancata da attori come John Turturro e Jack Black non venire distribuito in Italia?
A quanto pare si.
Misteri del folle mondo della distribuzione italiana.
La pellicola in questione è Il matrimonio di mia sorella, diretto da Noah Baumbach - lo stesso regista dell'acclamato Il calamaro e la balena - e uscito nel nostro paese solo recentemente in dvd.
Il regista di New York torna a parlare di quello che conosce meglio: la famiglia.
Per farlo si affida a due attrici di prima categoria: Nicole Kidman, nel ruolo della protagonista, Margot, una scrittrice di successo, e di Jennifer Jason Leigh, che nella vita reale è sua moglie.
Margot è dunque una famosa scrittrice, con alle spalle un matrimonio fallito, un figlio adolescente e un amante. Quando la sorella Pauline decide di sposarsi, Margot va a trovarla dopo anni nella loro casa d'infanzia per conoscere il futuro cognato Malcom (Jack Black).
Incapace di non sentenziare su tutto e tutti, Margot porta scompiglio nella vita dei futuri coniugi: giudicando Malcom un fallito e un incapace, cerca di convincere Pauline a non sposarlo e per farlo ricorre perfino a meschinità e bugie, il tutto sotto gli occhi attoniti del figlio Claude.

Nicole Kidman
La famiglia secondo Baumbach è la fonte principale di angosce e complessi che ognuno di noi si porta dietro: nel film il giovane Claude si trova compresso tra un padre assente e una madre troppo ingombrante, dalla quale non riesce a staccarsi e da cui allo stesso tempo vorrebbe rendersi autonomo. La saccente e colta Margot, a sua volta, da un lato vorrebbe la felicità del figlio e della sorella e dall'altro cova l'inconfessabile desiderio che i due non realizzino i loro sogni, perchè questo sottolineerebbe la sua infelicità. Pauline al contrario è la sorella cresciuta con il complesso di Margot, da un lato l'ha idealizzata e dall'altro la invidia, è quella che non è riuscita a staccarsi dal nido familiare, che vive ancora tra gli oggetti dei genitori nella casa in cui è cresciuta.
In questo clima teso si aggiunge l'incombente e primitiva ostilità dei vicini, visti quasi come creature misteriose, a simboleggiare la distanza che c'è tra il mondo esterno e il nucleo familiare.

Jennifer Jason Leigh e Jack Black
Baumbach descrive tutto questo in modo garbato e lucido, non cedendo a facili drammatizzazioni e dosando dialoghi e situazioni. Tutto nel film sembra accadere senza una particolare ragione, piccoli e, apparentemente, insignificanti dettagli si succedono l'un l'altro ricostruendo l'atmosfera di realismo e intimità che si respira nei film di Bergman e Rohmer.
In più il regista può contare su un grandissimo cast: la Kidman offre la migliore interpretazione degli ultimi anni, rendendo la sua Margot frustrata, nevrotica, prepotente, saccente e ironica, costruendo così un personaggio a tutto tondo; Jennifer Jason Leigh è la spalla ideale per l'attrice australiana, la sua Pauline è fragile e insicura e Jack Black, qui in uno dei suoi pochi ruoli drammatici, dimostra di essere un attore completo e si ritaglia con molta grazia e mastria un posto tra queste due splendide attrici. Da notare anche il cammeo, seppur brevissimo, di John Turturro.
Un film intelligente, colto, ben calibrato, ben scritto, assolutamente da recuperare e che rielabora il cinema intimista europeo secondo il gusto della produzione indipendente americana.
La citazione:
"- Mamma sei fatta?
- Solo un pò...
- Non mi piace."
Voto: ♥♥♥♥
Pubblicato su MPnews.it
venerdì 1 agosto 2008
- 54 giorni!
giovedì 8 maggio 2008
L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford

In questi paesaggi rarefatti e dall’aria quasi mistica vediamo confrontarsi due personaggi entrati nella storia: il leggendario bandito Jesse James (Brad Pitt) e il suo codardo assassino Robert Ford (Casey Affleck). Due personaggi completamente opposti: James è diventato un mito, in tutta l’America arrivano voci delle sue gesta e come viene detto nella pellicola “In Europa sono due gli americani famosi: Mark Twain e Jesse James!”, Ford invece è un ragazzo cresciuto con il mito di Jesse, che conserva giornali e cimeli riguardanti il suo idolo e che, appena diciannovenne, fa di tutto per unirsi alla banda di James. Riuscito ad entrare nella banda insieme a suo fratello Charley (Sam Rockwell), Ford ha finalmente l’opportunità di poter stare vicino all’eroe della sua infanzia e di conoscere l’uomo dietro la leggenda. A poco a poco i due si studiano, si osservano, cercano di conoscersi e arrivano a capirsi ma questo rapporto è destinato a finire nel sangue.
Robert è un ragazzo qualunque, è sveglio ma rimane pur sempre un ragazzo di campagna inesperto, James invece è l’eroe del Sud, quello che ha impedito la costruzione della ferrovia in Missouri, che ha combattuto con i sudisti nella guerra di secessione, che rapina le banche e non si fa mai trovare; tra i due è Jesse quello che ha sempre l’ultima parola, è venerato come un dio ed ha la forza e il potere di fare tutto ciò che vuole. Il giovane Ford quindi non può far altro che ubbidirgli e cercare di carpire i suoi più intimi segreti osservandolo e standogli vicino: ben presto Robert diventa l’ombra di James, una specie di parassita che trama nell’ombra e la sua ammirazione si trasforma prima in gelida invidia e poi sfocia nell’odio più nero e rancoroso.
In una scena chiave del film James dice a Robert: “Non capisco, tu vuoi essere come me o vuoi essere me?”, a questo punto il giovane Ford ha maturato la consapevolezza di non poter essere come Jesse, né tanto meno di poter prendere il suo posto e quindi comincia ossessivamente a chiedersi: come posso fare a diventare una leggenda, ad unire per sempre il mio nome a quello di Jesse James? Uccidendo il suo mito Ford pensa di diventare parte della sua leggenda. In una delle scene più belle e meglio costruite del cinema contemporaneo vediamo James che, “ormai divenuto un problema per se stesso”, con calma e tranquillità dà le spalle a Ford per osservare un quadro raffigurante un cavallo, il ragazzo, con altrettanta calma, punta la pistola, una colt 45 regalatagli dello stesso Jesse, contro James e gli spara alle spalle.
Il mito è caduto e Robert Ford è diventato agli occhi della storia un codardo.
Uccidere una leggenda rende famoso chi commette il crimine ma nel modo sbagliato: disprezzo e rabbia sono la moneta che il giovane Ford si è guadagnato.
Così, tra saloon e squallide rappresentazioni teatrali del suo gesto, anche Ford trova l’eroe del momento disposto a farlo fuori, ma alla sua morte non ci sono celebrazioni, la gente non fa la fila per vedere il suo corpo privo di vita e ad appena trent’anni muore senza che nessuno voglia stargli vicino.
Il western di Andrew Dominik non è il tipico western fatto di cowboy temerari, rapine e saloon: fin dalle prime scene si capisce che il regista si è ispirato a pellicole come “I giorni del cielo” di Malick e che ha dato alla storia un’impronta intimista e quasi naturalistica.
La natura bellissima e silenziosa fa da sfondo a questo animale curioso che è l’uomo: i personaggi parlano pochissimo, ma i pochi dialoghi sono memorabili e le due figure protagoniste intrecciano un duello psicologico e non verbale che appassiona fino alla fine.
Il tempo dilatato della pellicola è funzionale al processo mentale dei due protagonisti, che maturano a poco a poco le loro posizioni, fino alla tragica decisione finale: James stanco di violenza, rapine e fughe, decide di farsi uccidere e Ford stufo di essere il ragazzino, quello che nessuno prende sul serio, vuole uccidere l’uomo più temuto in tutta l’America.
Il regista ha saputo creare un film dal fascino insolito e misterioso, che penetra direttamente nella coscienza profonda dello spettatore, che assiste ad una sorta di seduta di psicanalisi nel bel mezzo della verde prateria americana; il tutto è supportato da una splendida fotografia, a metà tra quella dei film di Malick e di Paul Thomas Anderson, che dà al film una bellezza rarefatta e inafferrabile.
Ottimo il cast: Brad Pitt convince sempre di più in ruoli drammatici e sofferti - tanto da aver ricevuto per questo ruolo la Coppa Volpi a Venezia -, il suo Jesse James è un uomo stanco, sfibrato dalla sua stessa leggenda, che a soli trentaquattro anni vorrebbe lasciarsi alle spalle il suo passato per dedicarsi soltanto alla sua famiglia, un uomo dolente, consapevole di quello che i suoi compari pensano e tramano ma deciso a liberarsi dal peso di questa vita troppo pressante che non lo fa nemmeno più dormire. Casey Affleck è la rivelazione del film, il suo Robert Ford è perfetto: viscido, invidioso, un Giuda con la pistola, brutale nella sua freddezza quando uccide James e allo stesso tempo ingenuo e infantile tanto da suscitare pena quando si rende conto che il suo gesto non ha spinto la gente ad applaudirlo; in fondo è solo un ragazzino con un disperato desiderio di attenzione, che non ha capito la gravità dell’azione che stava per compiere. I co-protagonisti sono uno più bravo dell’altro, a cominciare da Sam Rockwell, che nel ruolo di Charley è stato stupefacente: ha saputo dare la giusta voce all’evoluzione del personaggio, che da simpatico spaccone si tramuta in un uomo braccato dal suo stesso terrore e poi corroso dal senso di colpa, tanto da auto-distruggersi. Bravi anche Jeremy Renner nel ruolo di Wood Hite, il cugino di Jesse, e Paul Schneider nei panni di Dick Liddl, uno dei componenti della banda. Sullo sfondo ci sono le figure della moglie di James, Zee, e di suo fratello Frank, interpretati rispettivamente da Mary Louise Parker e Sam Shepard: la prima ha poche scene e rimane quasi sempre in secondo piano, ma quando c’è lascia un segno forte e il suo urlo di dolore quando vede il corpo insanguinato del marito rimane a lungo nelle orecchie dello spettatore, il secondo anche ha pochissime scene ma con il suo volto, che pare scolpito nella pietra, dà alla vicenda un tono drammatico e solenne.
Altra nota di merito va alla colonna sonora di Nick Cave (che compare nel finale del film nei panni del suonatore del saloon): cupa, malinconica e discreta dà il giusto accompagnamento alle bellissime immagini, lasciando un senso di nostalgia per qualcosa che non si è compreso fino in fondo.
Insomma un film che lascia allo spettatore qualcosa di indefinito e nostalgico, che fa riflettere, che ha il pregio di far parlare le immagini più che i personaggi, creando un impatto emotivo immediato.
L’ unico punto su cui si può fare un appunto al regista è l’eccessiva lunghezza: due ore e quaranta di film sono veramente molte e forse un pubblico meno appassionato di cinema può trovare la pellicola eccessivamente lunga e noiosa. Ma i cinefili più attenti capiranno che il fascino della pellicola sta anche in questa sua eccessiva lunghezza, in questi silenzi esagerati che stressano ancora di più il rapporto tra i due protagonisti, finendo per sottolineare maggiormente il loro confronto psicologico e far accrescere ancora di più la tensione in chi guarda.
L’inizio è lentissimo, i tempi sono molto dilatati e il dialogo è ridotto al minimo, in modo da preparare alla seconda parte più ritmata e al bellissimo finale, in cui si è talmente coinvolti da sentire una morsa allo stomaco. Se ci si lascia trasportare dalla mano sicura e suadente del regista, il film può donare momenti veramente intensi e poetici.
Un prodotto sicuramente non facile, ma dall’indiscutibile bellezza.
"- Hai mai pensato al suicidio?
- No, c'era sempre qualcos' altro che volevo fare."
Voto: ♥♥♥♥
Pubblicato su Meltin' Pot.