venerdì 26 dicembre 2008

Citazione cinematografica n. 43

"Io non sono Olivier, anche se mi farebbe piacere... e poi lo vorrei vedere sul quadrato recitare se con Sugar si misurasse chissà quante ne pigliasse. Per cui datemi un'arena, Jack il Toro si scatena perché oltre al pugilato sono attore raffinato."

da: Toro Scatenato


Robert De Niro

Titolo originale: Raging Bull
Regia: Martin Scorsese
Anno: 1980
Cast: Robert De Niro, Cathy Moriarty, Joe Pesci, Frank Vincent, Nicholas Colasanto

Buon Natale!!!

venerdì 19 dicembre 2008

Citazione cinematografica n. 42

Zucchero: Ho un debole per i suonatori di sassofono, specialmente sax tenore!
Joe/Josephine: Davvero?!
Zucchero: Non so che cosa sia, ma mi fanno impazzire! Non hanno che da suonare 8 battute di “Mia malinconica bambina” e la mia spina dorsale si affloscia, mi viene la pelle d’oca e gli casco fra le braccia!
Joe/Josephine: Davvero?!
Zucchero: Se te lo dico!
Joe/Josephine: Lo sai, io suono il sax tenore!
Zucchero: Ma tu sei una donna grazie al cielo!
Joe/Josephine: Già…
Zucchero: Ecco perché sto in questa orchestra: farei qualunque cosa pur di evitare quei farabutti!
Joe/Josephine: Già…
Zucchero: Non sai come sono fatti…Ti innamori, li ami davvero, pensi che sia l’idillio più bello dopo quello di Giulietta e Romeo e sai che ti succede? Si fanno prestare i soldi per poi spenderli con altre donne o per scommetterli alle corse!
Joe/Josephine: Ma che mi dici?
Zucchero: Poi una mattina ti svegli, lui se n’è andato e il sassofono con lui e non c’è rimasto che un paio di calzini vecchi e un tubetto di dentifricio tutto strizzato! Tu provi a tirarti su fino a che non trovi un altro lavoro e un altro sassofonista e si ripete la stessa storia. Adesso hai capito? Non sono furba!
Joe/Josephine: La furbizia non è tutto!

da: A qualcuno piace caldo

Marilyn Monroe


Titolo originale: Some like it hot
Regia: Billy Wilder
Anno: 1959
Cast: Marilyn Monroe, Tony Curtis, Jack Lemmon, George Raft, Pat O'Brien, Joe E. Brown

giovedì 18 dicembre 2008

Un americano a Londra

La svolta europea di Woody Allen

Dopo tante variazioni sul tema Manhattan, Woody Allen sceglie Londra come sua città adottiva e crea una delle trilogie più interessanti degli ultimi anni: “la trilogia londinese” - composta da “Match Point”, “Scoop” e “Sogni e Delitti” - seguita dalla vacanza spagnola “Vicky Cristina Barcelona”.

Woody Allen

Heywood Allen Stewart Konigsberg, alias Woody Alenn, a quindici anni già scriveva pezzi comici per cabarettisti di New York.
A diciassette scriveva per pezzi grossi della tv americana, a diciannove aveva già sperimentato il matrimonio e il divorzio e a ventisei debuttava come one-man-show al Greenwich Village.
Autore, regista, attore, musicista, scrittore, comico e intellettuale, Woody Allen è uno dei talenti più poliedrici e inossidabili del ‘900, che ha saputo creare un suo stile inconfondibile e che da quarant’anni fa discutere e appassionare.

Dagli esordi agli anni ’90.

Alla stregua di un vero artista, come un pittore o un musicista, Allen ha avuto diversi “periodi” in cui è stato influenzato da temi differenti: abbiamo lo spirito da cabarettista dei primi film, le nevrosi e i rapporti di coppia delle commedie anni ’70, la maggiore introspezione dei film degli ’80, fino al lavoro discontinuo e non sempre ispirato degli anni ’90.
Il suo periodo d’oro è costituito dai decenni ’70/’80 segnato da capolavori come “Io e Annie”, “Manhattan”, “Zelig”, “La rosa purpurea del Cairo”, “Hannah e le sue sorelle”, “Crimini e misfatti”. Gli anni ’90 invece, nonostante qualche ottima pellicola come “Mariti e mogli”, “Pallottole su Broadway” e “Accordi e disaccordi”, sono quelli forse meno ispirati del regista americano, che ha pagato il prezzo di voler fare un film all’anno dopo una carriera in cui sembrava aver già detto e fatto tutto.

Scarlett Johansson

I primi anni del 2000 e la svolta con “Match Point”.

I primi anni del 2000 sembravano confermare la piega presa da Allen negli ultimi anni ’90: a cominciare dal tiepido “Criminali da strapazzo” fino al decisamente poco convincente “Melinda e Melinda”.
Ma nel 2005 arriva la svolta: Woody si sposta a Londra, trova, dopo Diane Keaton e Mia Farrow, una nuova musa ispiratrice, che ha le curve generose di Scarlett Johansson, e gira un dramma decisamente nero. E’ uno shock: l’umorismo ha lasciato il posto all’imprevedibilità del caso, la risata è sostituita dall’amarezza per le ingiustizie che rimangono impunite e tutto è pervaso da un senso tragico di morte.
E’ una rinascita.
Il film convince pubblico e critica e Allen trova una nuova fonte d’ispirazione.

La trilogia londinese.

In “Match Point” un arrampicatore sociale senza scrupoli fa di tutto per entrare nell’alta borghesia a costo di sacrificare persone innocenti. Tutto ruota intorno alla crudeltà del caso: nel giro di un istante un uomo può essere salvato o rovinato, indipendentemente dalla sua volontà. Alcune persone reagiscono con dignità a questa condizione, altre non se ne rendono conto e altre ancora, come il protagonista del film, cercano di manipolare il caso a proprio vantaggio, con ogni mezzo.
L’Allen intellettuale, appassionato di letteratura russa e di Bergman, trova finalmente sfogo, regalando una pellicola complessa e matura, importante spunto di riflessione sulla società di oggi, così frenetica e a volte disumana.

Hugh Jackman, Scarlett Johansson e Woody Allen

Segue “Scoop” sempre con Scarlett Johansson come protagonista e con Allen anche davanti alla macchina da presa. Allen riprende lo stesso tema di “Match Point” analizzandolo in chiave comica.
Divertente ma mai superficiale, pervaso anzi da un senso perenne di morte - che compare anche fisicamente sullo schermo -, Allen crea una commedia dallo humor nero, in cui questa volta è l’aristocratico a celare segreti inquietanti.
Non si salva nessuno insomma: non è la ricchezza o la povertà a spingere l’uomo, quanto il suo desiderio di auto-affermazione e la spinta istintiva e brutale al possesso e alla violenza.

Ewan McGregor e Colin Farrell

A concludere il trittico arriva “Sogni e delitti”, il più nero dei tre capitoli: questa volta è la famiglia ad uscirne a pezzi. Due fratelli vengono assoldati dallo zio per uccidere un uomo in cambio di un ingente prestito. Allen snocciola definitivamente il suo punto di vista: l’umanità oggi più che mai è vanesia, corrotta e pronta a qualsiasi cosa pur di avere successo. Qualsiasi cosa. Anche ad uccidere.
E la cosa terrificante è che, secondo Allen, ormai stiamo superando dei confini da cui difficilmente potremo tornare indietro e, anche se i più storceranno il naso di fronte a queste riflessioni, la verità è proprio questa: siamo pronti a sacrificare qualsiasi cosa, anche altri esseri umani, persino il nostro stesso sangue, e la prospettiva peggiore è che lo facciamo con un certo distacco, come se fosse naturale.

In questa trilogia Allen ha colto un aspetto importante del clima attuale: ormai non ci si può fidare di nessuno, specialmente di quei bravi ragazzi con la faccia pulita e la camicia ben stirata che sono gentili soltanto all’apparenza ma che in realtà sono pronti a qualsiasi cosa pur di raggiungere i propri obbiettivi. Anche la famiglia non è più il porto sicuro in cui trovare conforto: siccome tutto è diventato merce e gli altri sono solo pedine da manovrare non c’è posto per i legami sinceri, perfino per quelli di sangue.
Protagonista importante e onnipresente di tutte le tre pellicole è Londra, silenzioso palcoscenico delle miserie umane: livida e decadente nel primo e terzo capitolo e appena più soleggiata nel secondo.

Un lavoro importante e interessante, attuale e universale: tre film da tenere in considerazione e da rivedere per rendersi conto delle tante sfumature che contengono.

Penelope Cruz

La vacanza spagnola.

E poi tutto cambia di nuovo: dopo aver ammutolito e fatto disperare il pubblico per tre anni di fila, il ragazzaccio che è in Woody ha fatto l’ennesimo colpo di teatro.
Messa da parte Londra e i toni tragici, Allen si sposta nella caliente Barcelona, recupera la Johansson, che aveva lasciato in America in “Sogni e delitti”, e dirige un quartetto amoroso in cui un pittore spagnolo si barcamena tra tele e tre donne diverse.
Più spensierato e decisamente meno impegnato delle pellicole londinesi, con questo film Allen sembra essersi preso una vacanza dopo tutto quel senso di morte e di riflessione sul caso, ritornando a temi già trattati in passato: il rapporto di coppia, la riflessione sull’arte e la figura dell’artista.
Un lavoro sicuramente ben confezionato e con un ottimo cast, su tutte la straripante Penelope Cruz, ma forse meno interessante rispetto alla trilogia londinese, capolavoro degli anni 2000 di Allen.

Dopo tanta Europa, che l’ha sempre amato e venerato, pare che Allen abbia intenzione di tornare a girare in America, nella sua New York, che, a pensarci bene, non ha mai lasciato, nemmeno nella sua parentesi europea, anche quando la città era un’altra.

Dian Keaton e Woody Allen in "Io e Annie"

I magnifici 10 di Woody Allen.

1969 - Prendi i soldi e scappa

Esordio cinematografico di Allen che sconvolge il modo di fare satira e umorismo: parodia dei film carcerari americani, è costruito come un documentario – con tanto di interviste – ed è pieno dell’umorismo feroce che ha reso Allen celebre. Memorabile la gag della rapina al negozio di animali.

1977 - Io e Annie

Il capolavoro di Allen. New York, coppie, crisi di coppie, psicanalisi e nevrosi: Diane Keaton, allora compagna del regista, diventa una star e Allen vince quattro Oscar (film, regia, sceneggiatura, migliore attrice protagonista). Il monologo finale sull’ovetto fresco è da storia del cinema.

1978 - Interiors

La vera svolta drammatica di Woody Allen: dopo l’enorme successo ottenuto con il precedente film, “Io e Annie”, Allen cambia registro, per la prima volta non compare come attore in un suo film, e parla di una famiglia americana agiata e intellettuale sull’orlo di una crisi di nervi.

1979 - Manhattan

Secondo capolavoro di Allen dopo “Io e Annie”. Le vicende sentimentali e nevrotiche del protagonista accompagnate dalla musica di Gershwin sono la scusa per fare una vera e propria dichiarazione d’amore all’unica grande passione del regista americano: Manhattan.

1983 - Zelig

Finto documentario sulla vita di un uomo degli anni ’30 che assume l’aspetto e la psicologia di chi gli sta accanto. Metacinema, filosofia, morale, riflessione sull’arte, sulla religione, condita con il caratteristico humor di Allen.

1984 - Broadway Danny Rose

Storia di un agente teatrale e della sua scalcinata compagnia d’attori. Grande riflessione sullo spettacolo – soprattutto su quello che succede “dietro le quinte” – e sulla religione.

1985 - La rosa purpurea del Cairo

Cecilia, una fantastica Mia Farrow, vede sempre lo stesso film al cinema e intraprende una relazione con l’attore protagonista del film che, letteralmente, esce dallo schermo.
Una delle più grandi dichiarazioni d’amore all’arte cinematografica.

1986 - Hannah e le sue sorelle

Due anni della vita di tre sorelle, Hannah, Lee e Holly e dei personaggi che sono loro accanto.
Primo vero e proprio racconto cinematografico di Allen, con una struttura compatta e conclusa, ottimo cast e sempre Manhattan sullo sfondo. Per la seconda volta pioggia di Oscar: sceneggiatura e attori non protagonisti (Michael Cane e Dianne Wiest).

1994 - Pallottole su Broadway

Commedia fintamente leggera ambientata negli anni ’20. Gangster, spettacolo e riflessioni sulla creatività artistica. Uno dei migliori film dell’Allen anni ’90.

2005 - Match Point

Primo capitolo della “trilogia londinese” e rinascita di Allen dopo il lavoro sottotono svolto tra la fine degli anni ’90 e i primi del 2000.
Svolta in tutti i campi: non più Manhattan ma Londra a fare da sfondo, niente ironia – nemmeno velata – ma temi tragici e attuali. Allen dopo la Keaton e la Farrow trova la sua nuova musa ispiratrice, la biondina tutta curve Scarlett Johansson.

martedì 16 dicembre 2008

Un matrimonio all'inglese (Easy Virtue)




Anni ’30: una tenuta inglese immersa nel verde, un’antica magione polverosa e cupa, una famiglia sull’orlo di una crisi di nervi tenuta insieme dalla ferrea padrona di casa, Mrs. Whittaker (Kristin Scott Thomas), e messa in discussione da un capofamiglia, Mr. Whittaker (Colin Firth), tornato cambiato dalla guerra. Niente sembra portare scompiglio nella grigia esistenza di questa antica dinastia in decadenza, fino a quando arriva lei, Larissa (Jessica Biel): bella, biondissima e americana.
Il rampollo di casa infatti, John (Ben Barnes), partito per un viaggio in America, torna in Inghilterra con una nuova abbagliante conquista: Larissa, una giovane vedova con l’hobby delle corse automobilistiche, spigliata, sicura di sé e molto, molto sensuale.
Larissa conquista da subito le attenzioni di tutti gli uomini della famiglia, ispira simpatia alla più piccola di casa, Hilda (Kimberly Nixon), mentre è apertamente osteggiata dalla madre di John, che fa di tutto pur di farla sentire fuori luogo.
L’ironia al vetriolo inglese si scontra con l’inossidabile ottimismo americano. E sono scintille.

Jessica Biel e Ben Barnes

La pellicola di Stephan Elliot già sulla carta è un evento imperdibile: il regista - autore della pellicola di culto Priscilla, la regina del deserto - è da quasi dieci anni assente dalle sale cinematografiche e quindi l’alto interesse per il suo nuovo film è giustificato, in più l’opera offre per la prima volta un ruolo da protagonista, e per di più brillante, alla sexy star Jessica Biel.
E la ragazza, oltre alle curve generose e al sorriso splendente, ha talento da vendere: smessi i panni della femme fatale tutte pose e tutine attillate, la Biel dimostra di possedere tempi comici e senso dell’umorismo, orchestrando un personaggio accattivante e mai sopra le righe.
Attorno a lei un cast di grande livello: il premio Oscar Kristine Scott Thomas, ormai spesso nel ruolo della madre, dà una lezione a tutti interpretando alla perfezione una suocera crudele, meschina ma con maniere impeccabili; Colin Firth gigioneggia e Ben Barnes – divenuto famoso quest’anno nel ruolo del Principe Caspian del secondo capitolo della serie di Narnia – si rivela un buon attore, auto-ironico e fresco.
Ne risulta così una pellicola dal forte gusto retrò, una commedia brillante e sofisticata come non se ne facevano da anni, che ricorda i film degli anni ’50.
Tra una gag e l’altra lo spettatore ha la possibilità di ridere di gusto per tutta la durata del film, per una volta leggero senza però mai svilirsi con scene di cattivo gusto.
Se vi sembra poco!

La citazione:
"
Venere di Milo, ti presento la Venere di Detroit!"

Voto: ♥♥♥

Uscita italiana: 9 gennaio 2009

Pubblicato su Cinema4stelle.it

venerdì 12 dicembre 2008

Citazione cinematografica n. 41

"Io e mia sorella Veronica facevamo un numero di varietà insieme e mio marito Charlie viaggiava con noi. Nell’ ultima parte del nostro numero facevamo 20 esercizi acrobatici: 1, 2, 3, 4, 5, spaccata, aquila ad ali spiegate, salto mortale, flip-flap, uno dietro l’altro. Allora una sera prima dello spettacolo, eravamo all’ Hotel Cicero, solo noi tre a sbevazzare e farci qualche risata e restiamo senza ghiaccio, così io vado a prenderne un po’. Ritorno in camera, apro la porta e ti trovo Veronica e Charlie che fanno il numero 17: l’aquila ad ali spiegate. Beh, si vede che sono talmente in stato di shock che vado completamente in tilt e dimentico tutto. E’ stato soltanto dopo, mentre mi lavavo via il sangue dalle mani che ho capito che erano morti!"

da: Chicago

Catherine Zeta-Jones


Titolo originale: Id.
Regia: Rob Marshall
Anno: 2002
Cast: Renée Zelwegger, Catherine Zeta-Jones, Richard Gere, John C. Reilly, Queen Latifah, Christine Baranski, Lucy Liu

giovedì 11 dicembre 2008

Come Dio Comanda


Esiste un amore più forte di quello tra padre e figlio?
E può un amore così grande essere sbagliato?
Non esiste un tipo di amore sbagliato, ma solo un modo sbagliato di amare.
Rino Zena (Filippo Timi) è un lavoratore precario del Friuli che deve crescere da solo il figlio quattordicenne Cristiano (Alvaro Caleca). Neonazista, violento e con una visione tutta personale del significato di libertà e amor di patria, Rino insegna al figlio che l’unico modo per sopravvivere è la violenza e che per quelli come loro la libertà è rappresentata da una pistola.
Insieme ai due c’è Quattro Formaggi (Elio Germano), un operaio divenuto malato di mente in seguito ad un incidente sul lavoro, che vive in estrema solitudine in un suo mondo infantile rappresentato da un gigantesco presepe.
Abbandonati al loro destino dallo Stato e dai ceti sociali più elevati, che provano per loro un misto di paura e disprezzo, controllati da un assistente sociale piuttosto superficiale (Fabio De Luigi), Rino e Cristiano si vedono coinvolti in un dramma che sfocia nel sangue, che rivela il marcio nascosto nelle persone apparentemente più insospettabili.

Filippo Timi e Alvaro Caleca

Dopo “Io non ho paura”, Salvatores torna a lavorare con lo scrittore Niccolò Ammaniti, trasportando sullo schermo il suo omonimo romanzo vincitore del Premio Strega 2007.
Riducendo all’osso la trama del libro, troppo complessa e ricca di personaggi per poterne fare un film, il regista punta tutta l’attenzione su questo rapporto padre-figlio così pieno d’amore nonostante la violenza dello stile di vita dei personaggi.
Paradossalmente, Rino è molto più presente come padre di quei genitori più ricchi e istruiti appartenenti ad un ceto sociale superiore; per questo, nonostante la violenza che lo contraddistingue, non si può non provare tenerezza di fronte ad un rapporto così forte e sincero. D’altra parte personaggi come Rino e Quattro Formaggi sono il risultato di quell’odio che nasce dall’indifferenza generale, odio di cui si fanno complici non solo i politici e le istituzioni, ma anche tutte le persone “per bene” che li additano come mostri lasciandoli al loro destino.

Elio Germano

Testimone silente e dura è una natura mai così matrigna sullo schermo, che con la sua pioggia incessante e violenta non purifica i suoi figli ma li trascina ancora di più nel vortice del peccato, oscurando e infangando ogni briciola di umanità rimasta.
Un film duro e dal forte impatto emotivo, costruito come una tragedia greca: diviso in tre momenti – presentazione dei personaggi, disgrazia ed epilogo – la pellicola perde un po’ di mordente nella parte centrale e nel finale, soprattutto per problemi di sceneggiatura, ma conserva quel senso di disperazione e oppressione simboleggiato dalla perdita di fede in un Dio che sembra assente e troppo lontano dalle miserie umane.
Grandissima prova d’attore per Filippo Timi, finalmente in un ruolo da protagonista, e ottimo esordio per il giovane Alvaro Caleca, che ha occhi che bucano lo schermo. Troppo sopra le righe invece Elio Germano, che nel ruolo del malato di mente ha esagerato risultando spesso fastidioso, e non adatto alla parte Fabio De Luigi, che non è riuscito a scrollarsi di dosso la sua inconfondibile maschera di attore comico.
Nonostante questi difetti, ne esce fuori una pellicola molto interessante, dura e anticonformista, accompagnata da una colonna sonora perfetta e girata con grande maestria da Salvatores, che con la macchina a mano segue i suoi personaggi da vicino senza però stargli addosso o giudicarli. Mostrando che spesso la cattiveria nasce dalla mancanza di una figura femminile: che sia simboleggiata da una madre, un’amante o una figlia, senza la tenerezza - che spesso le donne sono più inclini a donare - l’umanità delle persone fa fatica ad emergere.


La citazione: "Tu credi ancora alla favola che chi fa le arti marziali sa fare a botte? Lo sai che ci vuole per fare a botte? La cattiveria!"

Voto: ♥♥♥

Uscita italiana: 12 dicembre 2008

Pubblicato su Meltin'Pot.

Conferenza stampa Come Dio Comanda

Gabriele Salvatores insieme allo scrittore Niccolò Ammaniti e al cast parlano alla stampa romana di “Come Dio Comanda”.

Il nuovo film di Gabriele Salvatores è un evento che in molti aspettavano con trepidazione: a riprova di ciò, la sala del cinema Quattro Fontane di Roma stracolma di giornalisti e addetti ai lavori corsi in massa per l’occasione.
Il regista napoletano insieme a Niccolò Ammaniti, Filippo Timi, Elio Germano, Alvaro Caleca e Angelica Leo hanno parlato alla stampa di “Come Dio Comanda”.

Gabriele Salvatores

Salvatores e Ammaniti di nuovo insieme

Salvatores e Ammaniti hanno di nuovo unito le loro forze a cinque anni da “Io non ho paura”. Il regista ha spiegato il perché di questa fruttuosa collaborazione artistica: “Io e Niccolò è un po’ che ci si conosce e abbiamo un rapporto di amicizia. Quando lui ha cominciato a pensare a “Come Dio comanda” mi ha fatto sapere qualcosa: mi ha parlato di questo padre cattivissimo che insegna l’odio con tanto amore. Ci ha messo un po’ a scriverlo, quando è uscito io ero in Australia e c’era tanto materiale da poter fare due film. Quindi insieme abbiamo deciso di concentrarci su questa storia in particolare”. Ammaniti ha aggiunto: “Nel libro volevo inserire tanti personaggi perché mi piace gestirne tanti in un romanzo, ma per il cinema era meglio puntare sul rapporto padre-figlio e sono stato male per aver dovuto togliere tanti personaggi, soprattutto quello di Danilo, che Diego Abatantuono voleva interpretare. Volevo un finale in cui si intuisce che il bambino vuole qualcosa di più ma allo stesso tempo non volevo che fosse troppo ottimista”.

Una figura paterna particolare

Filippo Timi interpreta Rino, un neonazista violento che insegna l’odio al figlio ma che paradossalmente è molto presente come genitore. Salvatores si è detto estremamente affascinato da questo personaggio: “Questo aspetto mi interessava molto. Per un ragazzo è importante sentirsi dire che una cosa è bianca o nera perché poi semmai si può contestare. Dire “vediamo insieme cosa è giusto o sbagliato” può essere controproducente. La cosa più importante comunque è dare l’esempio e essere coerenti: l’80% dei delitti avviene in famiglia e bisogna vedere perché. Citando De Andrè questi sono tre personaggi che hanno preso la cattiva strada”. Anche l’attore Filippo Timi ha molto amato questo personaggio: “Per un attore è bello interpretare un personaggio border-line perché vivono le loro emozioni in maniera estrema. A me è piaciuto il fatto che si vede che nessuno è totalmente innocente. Tutti siamo animali feriti, alcuni a morte altri no. Il problema è che se la ferita è ancora aperta poi muori. Io nella vita poi non riesco a amare, odiare, urlare fino in fondo. E per questo interpretare un personaggio così è interessante”.

Filippo Timi

Il matto e i ragazzi

Oltre al personaggio di Rino, molto importanti per la storia sono suo figlio Cristiano, Quattro Formaggi e Fabiana. Elio Germano del suo personaggio ha detto: “I personaggi sono di una bellezza incredibile. Per quanto mi riguarda è il personaggio più bello che mi sia capitato. Sono personaggi totali: amano in maniera totale, sono shakespeariani, teatrali, una cosa difficile per il cinema. Noi abbiamo lavorato così, provando molto, abbiamo costruito i personaggi come a teatro. Quattro Formaggi è un personaggio talmente bello che vorrei poterlo reinterpretare altre sessanta volte! Non ha tempo, è universale”. Alvaro Caleca invece ha affermato: “Io mi sento molto diverso da Cristiano. E forse questo è un bene: ognuno di noi ha tanti personaggi chiusi dentro di sé, con lui ho sfogato quella parte di me che non esce mai fuori”. Angelica Leo ha detto di Fabiana: “Il mio personaggio non è cupo, si trova invischiato nella vicenda per caso. Lei in realtà è una ragazza normale. Una delle cose più difficili per me è stata la scena nel fango: impegnativa anche fisicamente e forte perché ero talmente coinvolta che anche quando arrivava lo stop continuavo a essere dentro quella situazione e in questo caso la pioggia mi ha aiutato molto”.


Pubblicato su Meltin'Pot.

mercoledì 10 dicembre 2008

La Duchessa



Inghilterra, 1774: la bella Georgiana Spencer (Keira Knightly) sposa, appena diciassettenne, il potente Duca del Devonshire (Ralph Fiennes).
Convinta che il matrimonio le porterà amore e stabilità Georgiana accetta di buon grado la proposta del Duca, ma ben presto deve scontrarsi con un’infelice realtà: il Duca non la ama affatto, preferendole addirittura i suoi cani da caccia, e tutto quello che vuole da lei è un erede maschio.
Senza tenerezza e senza affetto, Georgiana si tuffa disperatamente nella vita mondana: gioca d’azzardo, va a balli e a teatro, si intrattiene con esponenti politici del partito de Whig e dà sfogo alla sua creatività disegnando abiti sfavillanti che lanciano l’ultima moda.
Ad un ballo incontra Bess Foster (Hayley Atwell), anche lei maltrattata dal marito, con cui diventa subito amica: finalmente un raggio di sole in un’esistenza piuttosto grigia.
Ma presto le cose precipitano: il Duca fa di Bess la sua amante e costringe Georgiana a sopportare l’umiliazione di vivere sotto lo stesso tetto con loro.
Georgiana allora intraprende una relazione con Charles Gray (Dominc Cooper), il promettente pupillo del partito dei Whig: la loro passione è travolgente e finalmente la Duchessa scopre cosa vuol dire amare. Ma l’etichetta dell’aristocrazia è più forte dei sentimenti e Georgiana presto deve fare una scelta: o l’amore o i figli.

Keira Knightly

Tratto dal romanzo di Amanda Foreman, “Georgiana”, “La Duchessa” ha fatto molto parlare di sé per le somiglianze tra la vita della protagonista e quella di Lady D, discendente di Georgiana Spencer. Il film di Saul Dibb però racconta molto di più: nonostante sia ambientato in un’epoca così lontana dai giorni nostri, i temi trattati sono ancora attuali. Alle donne spesso viene chiesto di rinunciare a una parte importante della loro vita, che sia l’amore, i figli o la carriera, e spesso non sono così amate dai loro mariti. La violenza sulle donne è ancora molto presente ed è sia fisica che psicologica e spesso è presente ad ogni livello sociale, anche quello considerato più rispettabile.
Inoltre nella vita di Georgiana si può trovare una malinconia tipicamente romantica: la felicità del singolo viene sacrificata per il bene comune, la moltitudine prima dell’individuo, condizione a cui la Duchessa si oppone con tutte le forze, incarnando la perfetta eroina tragica.
Il film, dalla fotografia impeccabile, i costumi dalla bellezza mozzafiato e girato con garbo e pulizia, è soprattutto straordinariamente interpretato: Keira Knightly carica sulle proprie spalle il peso dell’intera pellicola ed è perfetta, mostrando un talento sempre più in crescita, Ralph Fiennes, anche se in un ruolo secondario, è bravissimo (non sarebbe una sorpresa se ricevesse una nomination all’Oscar) nel ruolo ostinatamente crudele del Duca e i giovani Hayley Atwell e Dominic Cooper (visti rispettivamente in “Sogni e dellitti” e “Mamma Mia!”) confermano di essere dei bravi attori.
Un buon film, ben fatto, piacevole e, se ci si lascia coinvolgere dalla storia, anche appassionante.

Ralph Fiennes

La citazione:

"- In che modo voi dimostrate di amarmi?!
- Io vi amo nel modo in cui posso capire l'amore"

Voto: ♥♥♥

Uscita italiana: 24 dicembre 2008

Pubblicato su Cinema4stelle.it

Bellezza

lunedì 8 dicembre 2008

Conferenza stampa Australia

Dopo sette anni di assenza dalle sale cinematografiche Baz Luhrmann torna con un nuovo film e insieme ai protagonisti Nicole Kidman e Hugh Jackman ne parla alla stampa romana

Nel 2001 Baz Luhrmann completò con “Moulin Rouge!” la sua “Red Curtain Trilogy” portando a casa due Oscar e la consapevolezza di aver rilanciato e reinventato con successo un genere, il musical, che sembrava ormai morto e superato.
Dopo i fasti del suo capolavoro, Luhrmann si è dedicato al teatro con una sua versione di “La Bohème” di Puccini e ha tentato di fare nel 2004 un film su Alessandro Magno a cui ha dovuto rinunciare a causa dell’uscita dell’ omonimo film di Oliver Stone.
Per oltre due anni ha lavorato alla sua nuova fatica “Australia”, annunciato come il nuovo “Via col vento” in versione australiana.
A Roma, all’ambasciata di Australia, il regista, insieme alla moglie e costumista di tutti i suoi film, Catherine Martin, e ai protagonisti Nicole Kidman e Hugh Jackman, ha parlato del suo nuovo lavoro.

Un film di più generi

“Australia” è un film che non può essere classificato in nessun genere cinematografico preciso perché comprende più generi: western, commedia romantica, musical, guerra, azione tutti mescolati in un’opera di quasi tre ore dall’immagine ricercata e patinata e dal forte gusto epico.
Interrogato sull’argomento e sull’impostazione shakespeariana del film Luhrmann ha detto: “La forma strutturale della sceneggiatura può sicuramente essere ricondotta a Shakespeare. Parto da Shakespeare quando trasporto in forma cinematografica una storia perché lo stile delle sue storie è molto cinematografico e consente di costruire una commedia che definisco “generica”: storia d’amore, azione, dramma tutto in un unico contenitore. E’ importante che io parli molto di questo perché nell’attuale linguaggio cinematografico questo stile non è usato comunemente. Il cinema di oggi funziona così: tu fai una commedia e cerchi di destinarla a un target che ami il genere e a cui si possa vendere e così è per i film d’azione o i film romantici o quelli drammatici, senza che tutti questi generi vengano mai mescolati, perché è troppo difficile vendere un film che contenga tutto questo. E quindi il racconto alla Shakespeare e questo vecchio modo di raccontare storie al cinema per me è molto interessante perché permette di fare un film che possa piacere a un bambino di sette anni così come a una donna di una certa età, un film che tutta la famiglia possa apprezzare. Forse è sciocco voler realizzare un film del genere, ma è una sfida che mi interessa molto. Questo film per me è come un mosaico di amore per il cinema, immagini che appaiono nella mia memoria, segni e simboli tratti dalla vita ”.

Baz Luhrmann (foto di Valentina Ariete)


Una dichiarazione d’amore per l’Australia


Con questo film il regista ha cercato di omaggiare il suo paese d’origine: “Nel realizzare questo film sin dall’inizio, anche se eravamo australiani, abbiamo preso la nostra terra e l’abbiamo usata come una tela per dipingere una terra molto, molto remota e quasi magica anche se tutto quello che è raccontato nel film si basa su avvenimenti storici. Il tutto è visto dal punto di vista di Lady Sarah Ashley, interpretata magnificamente da Nicole, e da quello del bambino aborigeno che vede l’Australia come “il suo mondo mistico”: due modi diversi di vedere il nostro paese e che ho voluto raccontare”.

Catherine Martin (foto di Valentina Ariete)


Una lavorazione tormentata


La moglie di Luhrmann, Catherine Martin, costumista e scenografa di tutti i film del marito, ha raccontato come sia difficile lavorare ai film di Luhrmann e in particolare come sia stata travagliata la realizzazione di “Australia”: “Ogni volta che leggo una storia di Baz mi innamoro letteralmente dei personaggi, ma sono sempre storie così ricche di costumi e ambientazioni che ogni volta è un’impresa assurda realizzarle! Inoltre per questo film siamo stati perseguitati dalle catastrofi naturali: la casa di “Far Away Down” è stata sommersa dall’acqua a causa di una pioggia caduta in un posto dove per otto mesi all’anno non piove mai…Poi dovevamo girare delle scene con i cavalli ma non abbiamo potuto trasferirli sul set perché nel posto dove stavano a Sydney si erano presi un’influenza equina. Così abbiamo dovuto trovare le controfigure per i cavalli! Ci sono stati dei contrattempi e ci abbiamo lavorato tanto e a lungo ma è stata un’impresa molto bella da realizzare”.

Hugh Jackman (foto di Valentina Ariete)


Il lavoro degli attori


Nicole Kidman e Hugh Jackman hanno dovuto imparare ad andare a cavallo e per la Kidman in particolare il lavoro è stato più faticoso perché doveva cavalcare in scomodi costumi: “Lavorare di nuovo con Baz e Catherine è stato fantastico perché ti permettono di costruire il personaggio con i costumi, il set, con tutto quello che ti circonda, ti permettono di creare il personaggio sia dall’esterno che dall’interno. I costumi seguono l’evoluzione del personaggio: le scarpe e le gonne all’inizio del film sono così strette che è difficile muoversi, mentre alla fine il mio personaggio assume un aspetto da maschiaccio che ho amato molto. Anche per cavalcare è stato così: all’inizio ho un atteggiamento molto inglese, mentre alla fine sono in grado di governare una mandria e Baz e Cathrine mi hanno aiutato in questo processo”.
A Hugh Jackman è stato fatto notare che nel film ha una smagliante forma fisica e con molta auto-ironia l’attore ha risposto così: “Gli uomini australiani sono tutti così! Venite in Australia!” e poi ha ribattuto: “Adesso vi dico perché non è così: non tutti gli uomini australiani sono posizionati, inquadrati, illuminati e truccati come nei film di Baz Luhrmann. Ed è per questo che voglio annunciare il mio ritiro: questa è la mia ultima apparizione pubblica. Grazie!”.

Nicole Kidman (foto di Valentina Ariete)


Un importante messaggio politico


Nel film oltre alla storia d’amore e ai paesaggi da sogno c’è anche un importante messaggio politico e una testimonianza delle “generazioni rubate”: i bambini figli di bianchi e aborigeni venivano strappati alle proprie famiglie e rinchiusi in comunità separate. A tal proposito Luhrmann ha detto: “Quello delle “generazioni rubate” rappresenta un capitolo molto, molto buio della nostra storia. Per darvi un’idea è come se il neoeletto presidente degli Stati Uniti, Obama, fosse stato preso e chiuso in una missione per il fatto di avere i genitori di colori diversi. Magari gli avrebbero potuto far credere che i suoi genitori erano morti e gli avrebbero cambiato nome. Quindi pensate a quanto grave è questo fatto storico per noi. E purtroppo in Australia è ancora difficile parlare di queste cose: si sono fatti film sull’argomento ma sono sempre stati indirizzati e visti da persone che già erano a conoscenza di questi fatti e se ne interessavano. Con il mio film invece ho reso la questione nota a livello mondiale e spero di contribuire anche in minima parte a far parlare di questi argomenti. Per me la più grande soddisfazione è stata che all’inizio di quest’anno il Primo Ministro australiano ha invitato alcuni aborigeni in Parlamento e ha chiesto scusa a tutto il popolo aborigeno”.


Pubblicato su Meltin' Pot.

domenica 7 dicembre 2008

Conferenza stampa Stella

Nella spettacolare cornice di Palazzo Farnese che ospita l’ambasciata di Francia la regista Sylvie Verheyde e la giovanissima Léora Barbara parlano del film “Stella”.


Il film “Stella” della regista francese Silvie Verheyde presentato al Festival di Venezia è piaciuto a molti e ha trovato un illustre e accanito sostenitore nel nostro Nanni Moretti che ha voluto fortemente la distribuzione italiana della pellicola d’oltralpe.

All’anteprima romana del film, nella spettacolare cornice di Palazzo Farnese che ospita l’ambasciata di Francia, la regista Sylvie Verheyde e la giovanissima protagonista Léora Barbara hanno parlato alla stampa del film.

La regista non nasconde la soddisfazione per l’accoglienza che il pubblico francese ha riservato al suo film: “Il film in Francia è stato accolto molto bene sia dalla critica che dal pubblico. Ho incontrato il pubblico in vari festival e tutti mi hanno detto che in qualche modo ci si ritrovavano. Spero che anche i giovani si riconoscano in questa storia”.


Sylvie Verheyde (foto di Valentina Ariete)


Inevitabile il confronto con un capolavoro francese su un argomento simile, “I 400 colpi” di Truffaut: “Non ho pensato a “I 400 colpi”. L’idea del film mi è venuta per motivi personali. Quando mio figlio è entrato in prima media ho ripensato a me in quel periodo e a quanto è stato importante per me: la letteratura e i libri mi hanno cambiato la vita e resa quello che sono”.

Un altro confronto spontaneo è quello con il film vincitore del Festival di Cannes “La classe” di Cantent ma la regista, molto candidamente, ha detto a riguardo: “Non ho visto il film! E purtroppo non posso commentare..”.

Il film è ambientato negli anni ’70 ed è molto autobiografico come spiega l’autrice: “L’idea di ambientare il film in quell’epoca era per conservare l’autenticità della storia e poi era utile per far vedere le differenze tra la scuola di oggi e quella di quegli anni, soprattutto perché in Francia si discute molto sulla scuola adesso: ci sono classi miste e si parla addirittura di separare di nuovo i maschi dalle femmine…Per me invece è importante mescolare i vari ceti sociali e la cosa più importante in assoluto è la cultura perché può essere un’opportunità per tutti”.

Nel film compare in un piccolo ruolo anche Guillaume Depardieu, recentemente scomparso e Sylvie lo ricorda così: “Guillaume è morto quando il film era già finito ed era stato montato. Ho proposto a lui il ruolo del principe azzurro perché lo era realmente: tutti noi del set siamo rimasti tutti colpiti dalla sua morte e sono contenta che le sue ultime immagini sullo schermo siano positive e luminose”.

La giovanissima protagonista Léora è perfetta per il ruolo e ha dimostrato un grande talento; la regista parla di come è stata scelta per la parte: “L’ho scelta tramite un casting, era importantissimo trovare la persona giusta. Ho visto Léora la prima settimana di casting e ho pensato subito che fosse perfetta: era diversa da tutte le altre ragazzine, non si atteggiava da attrice ed era molto determinata. Poi però la mamma ha letto la sceneggiatura e non voleva darle il permesso. Per fortuna poi ha cambiato idea dopo che ne abbiamo parlato! Io cercavo qualcuno che capisse la storia e fosse cosciente di quello che stava facendo”.


Lèora Barbara (foto di Valentina Ariete)


La giovanissima protagonista, molto spigliata sullo schermo, alla conferenza si è mostrata timida e sul suo personaggio ha detto: “Come Stella anche io vado a scuola, ma mi sento molto diversa da lei soprattutto se parliamo di certe cose…”; sulla scuola invece ha dichiarato: “I miei insegnanti non sono così severi, anzi sono cool! Quando la materia è interessante io e i miei compagni ci comportiamo bene, se invece non ci interessa non siamo proprio bravi…Vedere dei professori così violenti sullo schermo mi ha fatto ridere”.

Nel film Stella ama Balzac e alla regista e a Léora sono state chieste le loro preferenze in campo letterario: “La letteratura è stata la mia prima amica” dice Sylvie “E i miei amici erano i personaggi di Balzac. Amo molto anche “Una diga sul pacifico” di Marguerite Duras che spesso viene considerata una scrittrice troppo intellettuale, a me invece quel libro ha dato sensazioni epidermiche”. Anche Léora ha parlato dei suoi gusti: “Mi piacciono Maupassant, Moliere e anche Shakespeare” mentre le sue attrici preferite sono Angelina Jolie e Scarlett Johansson.

Pubblicato su Cineforme.

venerdì 5 dicembre 2008

Citazione cinematografica n. 40

"- Lei non faccia il tunnel!
- Cosa?
- Lei mi sta scavando sotto, mi toglie la panna. La castagna da sola sopra non ha senso! Il Mont-Blanc non è come un cannolo alla siciliana che c'è tutto dentro e come uno zaino lei se lo porta appresso per un mese e sta sicuro. Il Mont-Blanc si regge su un equilibrio delicato, non è come la Sacher Torte...
- Cosa?
- La Sacher Torte...
- Cos'è?
- Cioé lei non ha mai assaggiato la Sacher Torte?!
- No.
- Vabbè continuiamo così, facciamoci del male!"


da: Bianca

Nanni Moretti


Titolo originale: Id.
Regia: Nanni Moretti
Anno: 1984
Cast: Nanni Moretti, Laura Morante, Remo Remotti, Roberto Vezzosi

Un attimo sospesi


Un commerciante con la paura del contatto umano, la sua coinquilina (Ana Caterina Morariu) che cerca di stabilire un rapporto con lui, il suo psicologo (Nino Frassica) costretto a riceverlo in macchina, una ragazza madre, una cantante un po’ zingara (Farida) che vive in una roulotte, un vecchio professore di astronomia (Paolo Bonacelli) rinchiuso in casa da anni: sullo sfondo una tragedia di proporzioni mondiali sconvolge il pianeta.
Quello che interessa qui però non è la catastrofe globale, ma il dramma personale di questi personaggi che in un punto sconosciuto del loro passato sono stati colpiti da qualcuno o da qualcosa e per questo sono rimasti sospesi in un limbo tra la vita normale e il dramma privato.
Le loro storie vengono raccontate una alla volta per poi incrociasi in più punti come in un mosaico in cui ogni tessera ne chiama necessariamente un’altra.
La scena di questo dramma domestico è l’elegante quartiere Prati di Roma.


Ana Caterina Morariu


Il giovane regista Peter Marcias, autore di interessanti documentari come "Ma la Spagna non era cattolica?", costruisce una storia dalla struttura narrativa simile ai lavori di Inarritu: tanti personaggi con la loro particolare storia personale, che, per un motivo o per l’altro, si intrecciano tra loro.
Quello che colpisce della pellicola è l’atmosfera onirica e magica che si respira: come pianeti nel freddo spazio i personaggi non riescono a comunicare con il mondo esterno, limitandosi ad orbitare uno accanto all’altro, senza mai toccarsi veramente; quando però c’è un piccolo passo in avanti verso l’altro, la tenerezza invade il grigiore della paura.
Un film difficile da definire ma non privo di fascino: alla fine, nonostante i personaggi siano uno più stralunato dell’altro e sul filo della follia, ci si affeziona alle loro storie così bizzarre eppure così normali, come se in effetti la normalità al giorno d’oggi fosse più un miraggio che la realtà quotidiana.
L’incomunicabilità di questo mondo frenetico viene poi espressa con un finale criptico e fortemente simbolico anch’esso “in sospeso”.
Un lavoro interessante, diverso dal cinema italiano contemporaneo e dal fascino magico e misterioso.

La citazione: "Io ho bisogno di quel terrazzo!"

Voto: ♥♥1/2

Pubblicato su Cinema4stelle

Stella

L'insostenibile leggerezza del crescere


In un caffè alla periferia di Parigi frequentato dalla classe operaia vive con i suoi sgangherati genitori Stella (Léora Barbara), una ragazzina di undici anni dall’aria trasognata e dolce.
Al caffè c’è una varia fauna: operai alcolizzati, pittori di strada, prostitute, giocatori d’azzardo e piccoli criminali. Un mondo sotterraneo e malinconico in cui la bambina è cresciuta e in cui non ha imparato le basi fondamentali della cultura e del vivere civile.
Per questo quando, per un puro caso, Stella viene ammessa in una scuola media frequentata da figli di gente benestante ed istruita la sua identità va in crisi.
I professori parlano di cose incomprensibili, i compagni la prendono in giro, tutto sembra noioso e senza senso.
Poi il piccolo miracolo: la più brava della classe diventa sua amica e pian piano la inizia alla letteratura, le fa scoprire Balzac e capire che la scuola in fondo non è così male.
Grazie ai suoi amici letterari Stella si rende conto che l’opportunità di frequentare una buona scuola per lei è irripetibile e fondamentale: se non si impegna finirà i suoi giorni nel caffè di famiglia tra una partita a flipper e un avventore ubriaco.


Melissa Rodriguez e Lèora Barbara


Il film di Silvie Verheyde, acclamato al Festival di Venezia e amatissimo da Nanni Moretti che ha voluto fortemente distribuirlo in Italia, è un affresco delicato e sognante di quel momento particolare che è la fase di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, punto cruciale nella vita di una persona in cui comincia la vera e più importante formazione dell’individuo.
I cambiamenti del corpo, i primi amori, i rapporti con gli altri che diventano improvvisamente più difficili e una scuola che sembra più una prigione che un’occasione importante per il futuro sono tutte tappe che Stella deve affrontare.


Lèora Barbara e Guillaume Depardieu


La pellicola, fortemente autobiografica, si regge tutta sull’interpretazione fresca e convincente della piccola Léonora Barbara: gli occhi un po’ tristi e il sorriso ironico, l’aria svelta e delicata è lei il motore e la magia della pellicola, una piccola stella che con garbo ci porta per mano nella Parigi del 1977, tra violenza e desiderio di riscatto, amore per le storie e le persone e voglia di crescere senza fretta. Da segnalare anche Guillaume Depardieu, scomparso da poco, qui alla sua ultima interpretazione nel ruolo di un principe azzurro non convenzionale e a suo modo romantico.
Tranne qualche momento di stanca, il film scorre piacevolmente e fa riflettere su un tema attuale come quello della scuola oggi più che mai mortificata e deprezzata invece che finanziata ed esaltata come punto d’incontro con la cultura e l’educazione e base di partenza per la ricerca di un proprio posto nel mondo.

La citazione:
"- I tuoi non dicono niente?
- Se ne fregano. E i tuoi?
- I miei se ne strafregano!"

Voto: ♥♥♥

Pubblicato su Cineforme.

mercoledì 3 dicembre 2008

Finalmente stasera!!!!!!!!!!!!!

Stasera vedrò in anteprima AUSTRALIA!!!!!!!!!!!!!
NON STO PIU' NELLA PELLEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!
SONO 7 ANNI CHE ASPETTOOOOOOOO!!!!!!!


lunedì 1 dicembre 2008

Io non ci casco

Un piccolo film che, nonostante i difetti evidenti, merita di essere preso in considerazione



Nella piccola e bella Cava De’ Tirreni si snodano le vicende di un gruppo di amici all’ultimo anno di liceo. I ragazzi stanno organizzando una festa evento per la fine della scuola e Marco (Paolo Albano) ha il sogno di far suonare il suo DJ preferito: Claudio Coccoluto.
Quando un pirata della strada investe Marco, che guida il motorino con il casco slacciato, procurandogli un grave trauma cranico che lo porta in stato comatoso, i suoi amici si fanno in quattro per portare a termine l’organizzazione della festa e si recano ogni giorno al capezzale dell’amico come se lui fosse ancora cosciente.
Il film scritto, diretto e interpretato da Pasquale Falcone è interessante soprattutto per la storia che sta dietro le quinte: il film ha atteso quasi tre anni per essere realizzato e ha visto la luce grazie a finanziamenti indipendenti e al contributo artistico di noti nomi del panorama italiano come Maria Grazia Cucinotta, Ornella Muti, Maurizio Casagrande e Claudio Coccoluto che hanno accettato di comparire nella pellicola senza compenso. Inoltre i dodici ragazzi protagonisti del film, tutti esordienti, sono attori non professionisti presi dal liceo e scelti personalmente dal regista: per quasi due anni il cast si è incontrato ogni venerdì per provare insieme diventando in questo modo una piccola famiglia.


Maria Grazia Cucinotta, Pasquale Falcone e Rosaria De Cicco


Per questo nonostante i difetti evidenti - scene a volte non ben amalgamate tra loro, stacchi un po’ bruschi tra una scena e l’altra, troppa carne al fuoco (pirati della strada, incauto uso del casco, eutanasia, aborto, tentativi di suicidio, abusi domestici, divorzio sono veramente un po’ troppo per una sola pellicola) – il film ha un suo fascino per il calore che traspare dal rapporto tra questi ragazzi finalmente non stereotipati sul modello Mocciano “modaioli-superficiali-innamorati da Baci Perugina-tre metri sopra il cielo” ma impegnati a scrivere poesie, interessati a problemi etici e morali come l’eutanasia, ad interrogarsi su cosa c’è dopo la morte, ad affrontare problemi da adulti e a cercare sempre e comunque l’amicizia e la verità.
Inoltre può essere molto più istruttivo un film del genere che non tutti gli spot della protezione civile per indurre i giovani a riflettere sulla guida sicura e la responsabilità al volante.
Pellicole come questa andrebbero sostenute e pubblicizzate perché quando alla base c’è un’idea forte e una passione vera per il cinema il prodotto è sicuramente di valore a prescindere dal risultato finale.
“Un piccolo miracolo” che speriamo riesca a trovare un suo spazio nel panorama cinematografico italiano.

La citazione: "Il vostro amore può essere la cura migliore"

Voto: ♥♥ 1/2

Uscita italiana: 5 dicembre 2008

Pubblicato su Meltin'Pot.

Conferenza stampa "Io non ci casco"

Alla Casa del Cinema di Roma parla il cast di “Io non ci casco”


Il regista Pasquale Falcone, impegnato anche nel ruolo del padre di Marco, ha spiegato subito come la gestazione del film sia stata lunga e travagliata: “Il progetto è nato quasi tre anni e mezzo fa. Per il mio film volevo ragazzi delle scuole, non attori emergenti o comunque professionisti. Abbiamo fatto quindi seicento provini da cui abbiamo selezionato quaranta ragazzi e ogni venerdì ci riunivamo per provare i personaggi. Visto che poi non arrivavano i finanziamenti per fare il film, l’estate ci vedevamo per fare uno stage in un villaggio turistico, per non interrompere il lavoro. Poi ho letto sul giornale che Maria Grazia Cucinotta voleva fare la produttrice. Ho proposto il mio lavoro al suo staff e hanno accettato. Per me è stato un miracolo! E poi è un miracolo che questi attori importanti abbiano voluto prendere parte al progetto: ringrazio Maurizio Casagrande che non è qui perché si trova in Kenya a girare con Boldi. Per me che ho esordito come regista a più di quarant’anni con “Amore con la S maiuscola” grazie a un’inserzione pubblicata su Ciak questo è un vero miracolo”.
Il film verrà distribuito da Medusa in sessanta/settanta copie.
Alla domanda se questo film nasce da un’esperienza personale il regista ha commentato: “Sì deriva da esperienze personali. Da giovane sono stato in coma e ho avuto esperienze extrasensoriali, poi quando mi sono ripreso mi dicevano “Pasquale tiene un cucchiaio di cervello in meno” perché mi hanno operato alla testa. Un amico di mio figlio poi a sedici anni è stato in coma per dodici giorni e allora mi sono deciso a parlare di questi argomenti. Per quanto riguarda il finale del film è aperto perché la vita è aperta. Non voglio esprimermi in maniera netta sull’eutanasia. Mio suocero ha avuto un ictus che lo ha costretto su una sedia a rotelle e noi volevamo che la sua vita finisse perché soffriva troppo, ma questo è un argomento che non si può affrontare con leggerezza, soprattutto quando la persona in questione ti appartiene”.

Maria Grazia Cucinotta


Alla stessa domanda Maria Grazia Cucinotta ha risposto: “Non si può rispondere a un problema che non ti appartiene in prima persona. Nel film c’è la speranza: finchè c’è un cuore che batte la vita va avanti. Noi volevamo far vedere i ragazzi di oggi. Nessuno li ascolta e noi volevamo farli vedere per come sono realmente”.
Il film tratta anche l’importante e attuale tema dei pirati della strada e Rosaria De Cicco, nel film la madre di Marco, a tal proposito ha detto: “Questi argomenti come il coma e l’eutanasia sono diventati di moda mentre giravamo e abbiamo sentito la responsabilità di affrontare questi temi. Nel film la cosa interessante è lo scontro generazionale, come le due generazioni dei genitori e dei figli affrontano la cosa: e noi ne usciamo fuori veramente peggiori! I ragazzi ci sorprendono sempre. Sono i ragazzi a decidere che Marco deve andare avanti. Io poi recitando il ruolo della madre avevo uno responsabilità enorme e anche lei è una grande presenza e dà speranza”.
Al regista è stato poi chiesto perché ha preparato i ragazzi per due anni e ha risposto: “Perché ci sono voluti due anni per trovare i produttori! Ormai questi ragazzi sono tutti miei figli. Li ho scelti personalmente e per ogni ruolo c’erano circa sei-sette conocorrenti. Solo per Marco abbiamo fatto una scelta sull’aspetto fisico. Ho scelto le persone che erano più simili al personaggio”.
A tal proposito è intervenuto ironicamente anche il DJ Claudio Coccoluto: “Pasquale è stato così scrupoloso che anche io ho dovuto concorrere con altri quattro-cinque aspiranti Coccoluto per fare me stesso!”.


Maria Grazia Cucinotta e Pasquale Falcone


Alla Cucinotta è stato chiesto se dopo questo film comprerà il motorino a sua figlia e l’attrice ha risposto: “No! Mia figlia ha solo sette anni ma so già che non le comprerò il motorino! Questa cosa di non allacciare il casco poi è grave soprattutto perché i ragazzi la vedono come una sfida al sistema degli adulti, ma è una sfida stupida perché si rischia sempre la propria vita. Il problema poi in realtà spesso non è la guida dei ragazzi, ma quella degli altri”.
Interrogato su quale genere cinematografico preferisce e sul suo rapporto con la tecnologia il regista ha dichiarato: “Il genere che mi appartiene di più è la commedia brillante. Ma questo film aveva bisogno di un tono diverso. A me poi interessava far vedere come i ragazzi oggi parlino con le dita: mandano SMS, sono connessi 24 ore su 24 a Messenger…Quando ero giovane io solo telefonare alla ragazza era un problema! La tecnologia è importante ma a me appartiene poco. Ho comprato un iPhone per moda e so fare solo le foto! I ragazzi poi a volte non si rendono conto degli SMS che scrivono e spesso si lasciano per un SMS! Oppure a volte scrivono cose che non avrebbero il coraggio di dire a voce”.
Alla Cucinotta è stato chiesto di parlare dei suoi progetti futuri: “Ho sei pellicole in uscita ma ve ne parlerò poi perché qui ci sono dodici ragazzi con il loro sogno e questo è il loro momento. Quando riesci a realizzare il sogno di un ragazzo e soprattutto di un ragazzo del sud, perché al sud c’è poco da sognare, ti senti un eroe. Sul set c’era questa magia, quest’emozione. L’ultimo giorno si piangeva tutti. Il vero cinema è questo. Ora gli attori sono viziati, non vogliono fare pubblicità ai film, invece la recitazione di questi ragazzi non sarà perfetta ma sono veri. Un film può costare 100 o 1000, se poi è di qualità dipende dall’intenzione del gruppo. Qui c’era la volontà di tutto il cast di trasmettere un’emozione forte e un’emozione non costa, c’è solo quando la vuoi far trasparire”.
A questo punto hanno parlato anche i ragazzi e Fabio Massa, Davide nel film, ha detto: “Arrivavamo sul set con una Panda dell’ ’84 a cui non entra la terza…Questo per noi è veramente un sogno. Speriamo che il film vada bene e che non sia l’ultima esperienza”.

Pubblicato su Meltin'Pot.
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