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martedì 3 novembre 2009

Scarpe da Festival

E pure quest'anno, anche se con un pò di ritardo, ecco il mega-post album fotografico sulle scarpe che hanno solcato il red carpet alla quarta edizione del Festival del film di Roma. Un punto di vista particolare, terra terra, ma che comunque fa colore (soprattutto in alcuni casi!).
Perchè è inutile negarlo: dalle scarpe si capiscono molte cose!

Per esempio: guardate la foto dei fratelli Coen. Incredibile ma vero, sono coordinati pure nelle scarpe e persino nella posizione delle gambe! Segno di una sintonia tale che secondo me questi vanno pure al bagno insieme...

Oppure: ho scoperto con mia grande sorpresa che la divina Meryl è umana. L'unico difetto che le si può attribuire infatti è l'assenza totale di gusto nel vestire. Per non parlare delle scarpe!

O anche: che Gilliam sia un pazzo furioso, ammaliato dall'eccesso, dal colore e dal kitsch lo si può vedere non solo dai suoi film ma anche dalle scarpe. Anche se bastava guardare la camicia hawaiana con cui si è presentato...

E ancora: per gli inglesi lo stile è un concetto relativo. La rossa Lily - faccia d'alieno - Cole, modella da anni, con tutta quell'aria di glamour che ha respirato negli ambienti dell'alta moda avrebbe dovuto acquisire una certa eleganza e gusto nel vestire. Invece si è presentata con degli orrendi stivaletti con borchie e pelo... Decisamente bocciata!

Quando la scarpa ti tradisce: la super-snob radical-chic Valeria Bruni Tedeschi, da brava figlia dell'alta borghesia che però vuole fare l'artista, si è presentata come un clichè vivente. Capelli scompigliati e trucco acqua e sapone della serie: sono venuta così come sono scesa dal letto perchè io sono un'artista, maglioncino sgualcito e jeans strappati. E poi ai piedi delle super-scarpe da diva. Ma a chi la vuole dare a bere?!

E poi quelli che vogliono fare i ggggiòvani: Silvio Muccino in Converse nere "Perchè io sono Muccino quello ggggiòvane!". E quelli che se ne fregano della moda: Diritti, Reitman, Calopresti e Panatta.

Nel complesso quest'anno, incredibile ma vero, mi sono piaciute molto di più le scarpe degli uomini. Anche perchè alcune scarpe delle signore erano veramente oscene! Su tutte quelle di Paz Vega e quelle della Cole.

Ho adorato i mocassini con i gommini sulla suola di Ivory, le sneakers coloratissime e matte di Diuric e Gilliam e le scarpe da rapper-pappone di Bright (se pensate che ha solo 16 anni!).
Diciamo che queste avevano molta personalità, mentre le donne si sono affidate quasi tutte a scarpe esagerate ma non nel modo giusto. Troppe zeppe, troppe borchie, poco gusto.

Si dice che il diavolo sta nei dettagli, forse è vero, forse no, ma se anche il dottor House fa le diagnosi guardando le scarpe forse un fondo di verità c'è. E a giudicare da certe scarpe che si vedono in giro forse uno zampino demoniaco c'è davvero!


Danis Tanovic


Christopher Lee



Paz Vega



Branko Diuric



Maria Grazia Cucinotta



Valeria Solarino



Isabella Ragonese



Gianna Nannini



James Ivory



Alexandra Maria Lara



George Clooney e Jason Reitman



Silvio Muccino



Carolina Crescentini



Terry Gilliam



Lily Cole



Cedric Kahn



Valeria Bruni Tedeschi



Giorgio Diritti



Maya Sansa e Alba Rohrwacher



Meryl Streep



Joel e Ethan Coen



Michael Stuhlbarg



Mimmo Calopresti



Paolo Villaggio



Adriano Panatta



Charlie Bewley



Jamie Campbell Bower



Cameron Bright

domenica 1 novembre 2009

Vision



Margarethe Von Trotta è una combattente.

Una che affascinata dai film di Antonioni, Begman e Hitchcock negli anni '60 voleva fare la regista.
Ma visto che una regista donna allora - non che adesso le cose siano tanto migliorate - non era vista di buon occhio, pensa bene di entrare nel mondo del cinema come attrice. Diventata musa di registi del calibro di Fassbinder e Schlondorff fa il salto di qualità: quest'ultimo le permette di scrivere la sceneggiatura di tre suoi film (L'improvvisa ricchezza della povera gente di Kombach, La morale di Ruth Halbfass e Fuoco di paglia). E finalmente con Il caso di Katharina Blum approda alla regia sempre aiutando l'amico Schlondorf.

Da qui comincia la sua tanto sognata carriera di regista: Il secondo risveglio di Christa Klages, Sorelle o l'equilibrio della felicità, Lucida Follia, fino al capolavoro Anni di piombo che arriva a definire un intero periodo storico e vince il Leone d'oro a Venezia.
Regista simbolo del Nuovo Cinema Tedesco, attenta sia alla struttura che all'estetica del film, colta nei riferimenti, attenta agli attori, che sa dirigere con grande estro essendo stata essa stessa attrice, e autrice di un cinema d'autore allo stesso tempo attuale e di ispirazione letteraria la Von Trotta è una grande artista.

Barbara Sukowa


Il suo nuovo film Vision quindi doveva essere uno dei pezzi forti della quarta edizione del Festival del Film di Roma se non un vero e proprio evento.

Invece la pellicola è passata in sordina durante la manifestazione, ignorata e snobbata dai più che hanno preferito il glamour patinato del film di Clooney e simili.

Un vero peccato perchè Vision è una delle migliori pellicole viste al Festival, un interessante approfondimento di un tipo di religiosità spesso taciuto e soprattutto un ulteriore ed intelligente stratagemma per analizzare il ruolo della donna nella storia durante i secoli.

La Von Trotta, sempre attenta a storie di donne dalla vita difficile e sofferta, questa volta parla della storia di Hildegard von Bingen, suora che aveva delle visioni mistiche, che descrisse in diversi volumi. La preghiera, la rigidità della dottrina, l'ambiente austero del convento, le punizioni corporali, la passione per la medicina e le proprietà curative delle piante e delle pietre: la Von Trotta delinea a tutto tondo questa donna straordinaria che si fece strada, spesso con metodi ritenuti sconvenienti e sacrileghi perchè da donna per così dire "emancipata", e ottenne grande potere ed influenza in un ambiente se possibile ancora più maschilista del solito.

Barbara Sukowa


Regia solida e quasi invisibile, fotografia azzeccata, musica ridotta al minimo per ricreare l'assordante silenzio tipico dei monasteri e una splendida attrice come protagonista - Barbara Sukowa avrebbe meritato il premio di miglior attrice - rendono Vision una pellicolla affascinante e colta, forse difficile e non per tutti ma dallo straordianario impatto.

La vecchia leonessa è sempre in ottima forma.


La citazione: "Poter decidere del proprio destino è un diritto divino".

Voto: ♥♥♥♥

Bancs Publics


Piccola premessa: ho avuto la fortuna di assistere alla proiezione di questo film con il regista presente in sala. E vabbè direte voi. E sì dico io! Perchè Bruno Podalydès non solo ha scritto, diretto e interpretato questa brillante e divertentissima commedia, ma l'ha anche presentata in modo sorprendente al Festival del Cinema di Roma.

Aneddoti, battute, interazione con il pubblico: questo Bruno è davvero un grande!

Un grande perchè oltre a scrivere una sceneggiatura frizzante e ben calibrata, a dirigere in modo sobrio e garbato e a recitare in maniera perfettamente credibile e brillante è riuscito a mettere su un cast di ben 80 dei maggiori attori francesi!

Praticamente ha riunito tutto il cinema francese!
Vediamo così il mito vivente Catherine Deneuve assieme a Benoit Poelvoorde, Mathieu Amalric e Chiara Mastroianni e tanti altri ancora.

Florence Muller

Filo conduttore della storia è il personaggio di Lucie, segretaria che vede dalla finestra un misterioso striscione appeso al balcone del palazzo di fronte con la scritta "Uomo solo".
Tutti sono incuriositi da questo insolito evento e nella ricerca della verità si susseguono diversi episodi con personaggi strampalati e divertentissimi.

Le scene comiche, a metà tra il surreale e la realtà quotidiana, rivelano il grande talento dissacratore del regista, in grado di individuare i piccoli e grandi tic delle persone.

Divertente, intelligente, mai grottesco o volgare, il film è una vera chicca della comicità: assolutamente da non perdere!

Già epiche le scene del criceto e del pallone a elio nel negozio di articoli per la casa.

Denis Podalydès e Bruno Podalydès

E qui sorge spontanea la domanda: ma perchè anche noi - noi che abbiamo inventato la Commedia all'italiana! - non facciamo più film del genere?
Perchè i nostri film comici ad episodi sono così beceri, volgari, trucidi e spesso ridicoli?
Perchè non riusciamo a fare un film come questo dove non c'è bisogno di dialetti, di emissioni di gas e tette rifatte per far ridere?

Forse non voglio sapere la risposta.

Nella speranza che in Italia non venga deturpato con un doppiaggio dagli improbabili accenti, il film è una vera bomba. Consigliatissimo!

La citazione: "Quella non è una cialda da caffè!"

Voto: ♥♥♥

Liberi Nantes Football Club


Questo è un film che molto probabilmente non vedrete mai.
Ed è un vero peccato!

Presentato al Festival del Cinema di Roma nella sezione Extra, Liberi Nantes Football Club è la storia di un gruppo di persone corraggiose e ammirevoli.
Grazie al Centro Astalli, con l'aiuto della Fondazione Don Luigi Di Liegro e dell’UISP di Roma, è nata la Liberi Nantes A.S.D.: la prima squadra di calcio composta interamente da rifugiati politici. 25 atleti, tutti non professionisti, scappati dal loro paese d'origine: eritrei, afgani, nigeriani, iracheni tutti insieme nello stesso spogliatoio, sullo stesso campo da gioco.

Il documentario fa vedere la preparazione, l'allenamento, le partite della squadra e soprattutto la storia di questi uomini costretti a scappare dal paese natale per salvarsi la vita.

La magia dello sport e del gioco di squadra come mezzo e metafora di integrazione, grazie alla condivisione di una realtà quotidiana.
Le difficoltà della piccola squadra senza mezzi, senza scarpini, senza un preparatore atletico professionista fanno sorridere e allo stesso tempo danno forza all'impresa: nonostante le difficoltà lo sport è capace di unire le persone. Ed è questo il calcio vero, quello che ci piace: altro che campionati truccati dove atleti superpagati giocano per professione e non più per passione.

Cult la scena in cui l'allenatore-pasticcere spiega il 4-3-3 con le paste alla crema e cioccolato.

Un piccolo documentario divertente e importante, da vedere assolutamente se riuscite a recuperarlo.

La citazione: "Zeman aiutaci tu!"

Voto: ♥♥♥

mercoledì 28 ottobre 2009

Dear Lemon Lima


C'è un certo tipo di cinema americano semi-indipendente, semi-fuori dagli schemi che in questi ultimi anni si è fatto spazio tra le grandi produzioni.

Basti pensare a pellicole come Donnie Darko e Little Miss Sunshine, che parlano di ragazzi giovani e giovanissimi alle prese con un sistema scolastico e una società che li vuole tutti omologati, tutti uguali e fedeli al sogno americano.

Che poi questo sogno americano ormai non si capisce più bene che cosa sia.

In Dear Lemon Lima la protagonista è Vanessa, una quattordicenne mezzo americana e mezzo eschimese: ebbene sì - non ci credevo nemmeno io - la pellicola è ambientata in Alaska!

Savanah Wiltfong e Shayne Topp


Una scelta curiosa, credo infatti che sia uno dei pochissimi film ambientati in questo stato U.S.A. E dopo pochi minuti capiamo subito perchè. La scuola di Vanessa è un istituto super conservatore, in cui i "diversi" sono accettati solo formalmente e le tradizioni degli eschimesi sono ridicolizzate a mera attività ricreativa.

Vanessa si ritrova presto confinata nel gruppo dei "FUBAR" (Fucked up beyond all recognition), sorta di nerd scarsi dal punto di vista sportivo e per questo emarginati socialmente.
Guardando il film si capisce benissimo da dove arriva il macchiettistico personaggio di Sara Palin, fissata con fucili, tradizioni, sport e concorsi di bellezza.

Come in ogni commedia finto ingenua che si rispetti il gruppo di sfigati avrà il suo riscatto ma a duro prezzo. Alla fine Vanessa capirà che essere integrati non vale la perdita della propria individualità e che la diversità spesso è una ricchezza piuttosto che uno svantaggio.



Carino, garbato, colorato, semplice e ben scritto: bellissimi i titoli di testa che prendono vita dalle pagine del diario della protagonista e azzeccati tutti i giovanissimi interpreti.

Un piccolo film gradevole e simpatico che dà una bella lezione di classe ed eleganza ai nostrani film su quattordicenni & co. di mocciana memoria.

La citazione: "Caro Lemon Lima, oggi è il primo degli ultimi giorni della mia vita"

Voto: ♥♥♥

Hachiko


Preparate i fazzoletti.
Sì proprio così.
Anche se siete dei duri, anche se avete le braccia piene di tatuaggi, a Natale vi rifiutate di andare al cenone di famiglia e le budella mostrate nei film splatter non vi impressionano nemmeno un pò, qui i lucciconi li avrete per forza.

Stiamo parlando di Hachiko, film tratto da una storia realmente accaduta nel Giappone degli anni '20 e qui spostata in America ai giorni nostri.

Richard Gere


Il regista strappalacrime Lasse Hallstrom non si smentisce: chiama Richard Gere, la faccia da buono per eccellenza, nel ruolo del padrone di Hachi, il cagnolino di razza purissima che trova smarrito alla stazione di treni, e li mette vicini per un mix attentatore.

Tra il musetto dolce del cane e quello di Gere - tra i due non si sa chi è più cane - l'effetto lacrima è assicurato.

Non stiamo qui a svelarvi il colpo di scena, ma posso assicurarvi che nonostante l'indice di glicemia altissimo, i buoni sentimenti sparati a mille manco fossimo in un cartoon Disney, il film ha un suo perchè.

Sarà merito del cane che è troppo carino (vi lascio immaginare gli "ooooh" e gli "uuuuh" che sentirete in sala durante la proiezione quando si vede il cane...), sarà merito della musica sdolcinata ma la pellicola scorre facilmente, fa ridere e intenerire, insomma alla fine è perfetto per tutti: bambini, famiglie, fidanzatini, anziani, amanti dei cani...

E non stupitevi se a film finito, riaccese le luci, vedrete un sacco di occhi lucidi!


La citazione: "Good boy!"

Voto: ♥♥♥


martedì 27 ottobre 2009

Viola di mare


Tratto dal romanzo "Minchia di re", Viola di mare è un film pieno di difetti ma che voglio sostenere.

Primo perchè è una storia coraggiosa per l'Italia: due ragazze lesbiche che cercano di amarsi a tutti i costi nella Sicilia dell' '800 andando contro le convenzioni sociali, affermando il loro diritto di sposarsi solo per amore, slegandosi dalle imposizioni della Chiesa e ribadendo la loro individualità come donne e come persone. Roba fantascientifica per i tempi che corrono nel nostro paese!

Poi perchè sembra che al cinema ci sia una discriminazione nella discriminazione: se l'omosessualità maschile è stata ampiamente trattata sul grande schermo, lo stesso non si può dire di quella femminile. Si è parlato di cawboy gay, transessuali, ermafroditi, bisessuali, libertini di vario tipo ma di donne che amano le donne quasi mai. Come se non esistessero anche le lesbiche!

Isabella Ragonese e Valeria Solarino

Poi c'è l'aspetto interessante di come viene rappresentata la donna: nel film non c'è solo il rivendicare il diritto di amare chi si vuole, ma anche quello ad essere rispettate in quanto donne. Il padre padrone non sopporta la figlia principalmente perchè non è un maschio piuttosto che perchè omosessuale.

La storia è presto detta: come una Lady Oscar siciliana, Angela è odiata dal padre che voleva un figlio per mandare avanti l'azienda di famiglia. La ragazza non è sottomessa come le altre donne del paese e non capisce perchè non può decidere liberamente del proprio destino. In più si innamora di Sara, dolce e remissiva, ricambiata.

Il film ha dei momenti buoni: i bei paesaggi dell'isola siciliana, l'innamoramento molto dolce e quasi poetico tra le due, la musica rock di Gianna Nannini (che si sarebbe potuto sfruttare di più) e l'interpretazione sorprendente della Solarino che è perfettamente credibile nel ruolo. Purtroppo però nella parte centrale e soprattutto nel finale si perde, troppa carne al fuoco e troppa fretta di mandare avanti la storia. Anche la regia si perde a questo punto, rovinando qualche buona idea dell'inizio.

Valeria Solarino

In sostanza quando sono entrata nella sala pensavo che avrei visto una pellicola inguardabile e invece non è così: se ci fosse stato un pò più di coraggio però - e per coraggio non intendo le scene d'amore tra le due che anzi sono ampiamente sdoganate - si sarebbe potuto realizzare una pellicola veramente sconvolgente ed importante.

Ma forse, visti i tanti temi scottanti messi in ballo, era chiedere veramente troppo per un film italiano.


La citazione: "Per volersi bene c'è solo un modo"

Voto: ♥♥

Tra le nuvole


Ryan Bingham (George Clooney) fa un lavoro infame: è assunto per licenziare altre persone.

Parte, prende un aereo, si siede alla scrivania e dice ad un perfetto sconosciuto che deve liberare per sempre la sua postazione di lavoro. Un compito ingrato e per stomaci forti visto che spesso il neo-disoccupato dà di matto o si dispera.

Ci sono però alcuni vantaggi: alberghi di lusso, ristoranti all'ultima moda e tanti, tanti voli in aereo. Talmente tanti che Ryan sta per diventare uno dei pochissimi privilegiati ad aver accesso ad una carta speciale che dà diritto ad avere il proprio nome sulla fiancata di un aereo.

Ma a rovinare tutto arriva Natalie (Anna Kendrick), una 23enne di primo pelo che vorrebbe rendere telematico il lavoro dei "licenziatori di professione": non più contatto umano ma un brutale congedo tramite videochat.


Anna Kendrick e George Clooney

Nel frattempo Ryan incontra Alex (Vera Farminga), una femme fatale che potrebbe far vacillare la sua granitica opposizione alle relazioni serie.

Una riflessione dolce-amara sulla crisi che ha colpito il mondo in questo ultimo anno e sull'aspetto sempre più cinico e spietato dei rapporti interpersonali sul lavoro. Non più una comunità fatta di e da persone ma una serie di numeri e cognomi piazzati dietro un'anonima scrivania, pronti a susseguirsi l'un l'altro come in uno sterminato formicaio. Rapporti difficili non solo sul lavoro: anche nel privato, Ryan si costruisce un guscio duro per non impegnarsi e non soffrire e chissà se è davvero il suo l'atteggiamento sbagliato. Alla fine a rimetterci sono l'intimità e il rispetto: due valori fondamentali che sembrano non avere più peso nella società globale e consumistica di cui facciamo parte.

George Clooney e Vera Farminga

Jason Reitman dopo Thank you for smoking e Juno, torna a parlare di temi sociali con l'uso intelligente dell'ironia e del registro comico: George Clooney è quindi l'interprete ideale per questo ruolo, con quel suo sorriso marpione e lo sguardo di chi la sa lunga.

Ben scritto, ben diretto, ben recitato: un buon film, forse anche troppo lindo e pinto, perfettino e dalla parte del pubblico, ma comunque piacevole e ben strutturato.

Un pò di cattiveria in più basterebbe a fare di Reitman un ottimo autore, ma il ragazzo è ancora giovanissimo e gli diamo fiducia sperando che diventi più incisivo.

Per il momento i suoi film sono degli amabili passatempi spesso molto divertenti.


La citazione: "Metteranno la mia faccia sulla fiancata di un aereo!"

Voto: ♥♥♥ 1/2

A Serious Man


Parlare della nuova fatica - che poi fatica non credo proprio, visto che i due terribili fratelli si divertono un mondo a fare i loro film - dei Coen è difficile.

E' difficile perchè non siamo di fronte a un film strutturato come gli altri.

Intanto si comincia con una sorta di "cortometraggio" nel film, un prologo - spettacolare tra l'altro - ambientato nella vecchia Russia, parlato in Yiddish, dove una coppia di contadini entra in contatto con un corpo posseduto dal demonio. Divertentissimo.

Si passa poi all'improvviso all' epoca contemporanea, anni 60-70 per la precisione, non ci sono nè computer nè cellulari, ma comunque c'è già la tv. Che si rompe sempre.


Michael Stuhlbarg


Il nostro "uomo serio" è Larry Gopnik, un professore ebreo di matematica onesto e coscienzioso, che cerca di fare tutto con il massimo della precisione e della correttezza. E per questo tutto gli va male! La moglie vuole divorziare, i figli sono dei piccoli mostri insopportabili, il fratello è mezzo suonato, la vicina di casa è disinibita e gli passa droghe leggere, i vicini goy sono assassini muniti di fucili e i suoi studenti cercano di corromperlo.
Come se non bastasse il sostegno religioso di cui avrebbe tanto bisogno è al limite del ridicolo: la serie di rabbini che il povero Larry incontra per un consiglio sono delle macchiette comiche leggendarie.

Un film che ha una storia esile, in fondo si tratta semplicemnte delle disavventure quotidiane di un professore ebreo di provincia, ma la rappresentazione è davvero geniale.

I Coen allestiscono una serie di scene che vanno dal surreale al grottesco, dal comico al drammatico. Sembra che abbiano unito lo stile assurdo di Bunuel alle gag dei fratelli Marx. Un mix insolito, nero, geniale: l'ironia dei due fratelli prende in giro tutti, anche il pubblico!


Richard Kind


Dopo il capolavoro Non è un paese per vecchi e il, a torto, sottovalutatissimo Burn after reading i Coen tornano a disorientarci e sorprenderci allo stesso tempo. Ad essere sbeffeggiate questa volta sono soprattutto le manie della comunità ebraica, ma i vicini non ebrei fanno una figura altrettando ridicola. Per non parlare dello studente coreano. Insomma i Coen non risparmiano nessuno: dall'alto della loro intelligenza si divertono a ironizzare su tutto e tutti, anche su se stessi.

Menzione di merito al grande protagonista Michael Stuhlbarg che farà sicuramente strada.

Questa volta i terribili fratelli non hanno risparmiato proprio nessuno: con una risata hanno seppellito proprio tutti.


La citazione: "When the truth is found to be lies, and all the joy within you dies..."

Voto: ♥♥♥♥

Uscita italiana 5 dicembre 2009
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