sabato 31 maggio 2014

Maps to the Stars: Cronenberg, dalla mutazione della carne al virus della parola

Presentato in concorso a Cannes, dove Julianne Moore ha vinto il premio come miglior attrice, il nuovo film di David Cronenberg esplora il mondo freddo e surreale della Hollywood contemporanea. Nel cast anche Robert Pattinson e Mia Wasikowska 



“By the power of the word 
I regain my life 
I was born to know you 
And to name you 

LIBERTY” 

I versi di Paul Éluard, ossessivamente ripetuti da Agatha, il personaggio interpretato da Mia Wasikowska in Maps to the Stars, ultimo film di David Cronenberg presentato in concorso al 67esimo Festival di Cannes, risuonano potenti e virali nell’ultima fatica del regista canadese. Artista da sempre interessato alla percezione umana del mondo, Cronenberg ha compiuto negli ultimi dieci anni una vera e propria mutazione del suo cinema. Dai demoni sotto la pelle (Il demone sotto la pelle), gli uomini-mosca (La mosca) e gli uomini che si fondono con la tecnologia (Videodrome, Crash) delle sue prime pellicole, in cui il corpo fisico era il punto di partenza per conoscere e capire sia il mondo reale che quello creato dai fantasmi della mente, il cinema di Cronenberg è stato contagiato da un virus ancora più potente dei parassiti che corrodono la carne: la parola. 

Arrampicatasi subdolamente attraverso i gangli neurali del protagonista di Spider, un disturbato e disturbante Ralph Fiennes, la parola ha fatto sdoppiare l’identità del cinema cronenberghiano che, smarrito in A History of Violence e La promessa dell’assassino, dove il protagonista Viggo Mortensen vive in entrambi i casi una doppia realtà, ha fisiologicamente dovuto resettare se stesso per cercare un nuovo codice espressivo. 

Il punto zero del nuovo cinema di Cronenberg va ricercato in A Dangerous Method: nel film, con protagonisti Viggo Mortensen e Michael Fassbender, interpreti rispettivamente di Freud e Jung, c’è un chiaro passaggio di testimone: l’analisi freudiana, che spiega la realtà attraverso le esperienze fisiche e sessuali del corpo, è abbandonata per abbracciare il metodo psicoanalitico di Jung. Un ritorno alle origini che ha portato alla nuova era del cinema di Cronenberg: quella di Cosmopolis e di Maps to the Stars

A contagio ormai avvenuto, le ultime due pellicole di Cronenberg mostrano una netta distinzione con i precedenti film del regista: la violenza, prima predominante, è ora assopita, sempre presente ma meno sconvolgente, le mutazioni ibride della carne sono state sostituite da un fiume di parole vomitate dai protagonisti come prima invece era il sangue. Un passaggio da dionisiaco ad apollineo che ha fatto storcere il naso a non pochi. 

Il percorso compiuto da Cronenberg è però estremamente coerente: dopo la mutazione, il regista è tornato a modelli narrativi classici, strutturando Maps to the Stars come una vera e propria tragedia greca. A sostituire re e principesse desiderosi di potere e macchiati dall’incesto ci sono le star di Hollywood, veri e propri archetipi del mondo contemporaneo. La famiglia Weiss, protagonista del film presentato a Cannes, incarna da un lato la parte frivola e superficiale della celebrità, argomento già trattato da pellicole come The Canyons, The Bling Ring e Spring Breakers, dall’altra diventa una metafora surreale e inquietante del mondo contemporaneo. Abbiamo il Dr. Weiss (John Cusack), guru delle star dai singolari metodi psicoanalitici, il terribile e sconcertante Benjie Weiss, baby star con le ossessioni e le voglie del più corrotto degli adulti (la rivelazione Evan Bird), l’attrice ormai sul viale del tramonto Havana Segrand (una straordinaria Julianne Moore che si concede alla macchina da presa con una generosità coraggiosa e incredibile), l’aspirante attore Jerome (Robert Pattison, di nuovo con Croneneberg dopo Cosmopolis) e la piromane e indecifrabile Agatha Weiss (Mia Wasikowska). 

In Maps to the Stars la simbologia è potente: incesti, fuochi purificatori, fantasmi che emergono dal passato; simboli che fanno da pilastri alla vera protagonista del suo ultimo cinema: la parola, che sembra non fermarsi mai, iper stimolata e anestetizzante, cinica e grottesca, inquietante e superficiale. I tanti protagonisti di Maps to the Stars sono figurine sbiadite e vuote, riempite di pulsioni primordiali confuse mascherate da sentimenti in realtà freddi e anaffettivi: la realtà dell’ultimo Cronenberg è glaciale e livida, come vista attraverso un vetro o uno schermo perennemente luminoso e proprio per questo opprimente. In Maps to the Stars non c’è un punto di vista unico: lo sguardo è frammentato e tutti i protagonisti sono costantemente guardati, una condizione che rende la pellicola quasi surreale. 

In questo caos ordinato e ben tirato a lucido sono poche le costanti che permettono un appiglio: il volto di Robert Pattinson, che dal sedile posteriore della limousine di Cosmopolis passa al volante in Maps to the Stars, e il nome Agatha, in A Dangerous Method moglie di Jung e qui la ragazza piromane interpretata da Mia Wasikowsa. Pattinson nel ruolo dell’autista aspirante attore Jerome si fa carico del peso della celebrità moderna, fatta di volti e corpi spesso uguali e inespressivi, carne fredda consumata con voracità e indifferenza dalla massa, mentre il personaggio della Wasikowska porta su di sé i segni del cambiamento del cinema di Cronenberg: le sue bruciature sono la testimonianza del dionisiaco sepolto, sempre pronto a emergere sotto la coltre del fiume di parole. 

La poesia ossessivamente ripetuta da Agantha diventa dunque un mantra che sembra rispecchiare lo spirito di Cronenberg: in un mondo dove il punto di vista è ormai frammentato in milioni di notizie, dati, immagini e commenti che arrivano dalla rete, in cui il corpo in quanto entità fisica non è più il primo strumento per leggere la realtà, la parola è la massima forma di libertà e analisi del mondo. Un punto di arrivo forse per molti non attraente e interessante, ma senz’altro coerente con il percorso intrapreso dal regista canadese.



La citazione: "Le persone non entrano per caso nella nostra vita: le chiamiamo"

Hearting/Cuorometro: ♥♥♥

Uscita italiana: 21 maggio 2014


Titolo originale: Maps to the Stars
Regia: David Cronenberg
Anno: 2014
Cast: Mia Wasikowska, Julianne Moore, Robert Pattinson, John Cusack, Evan Bird, Sarah Gadon, Olivia Williams
Colore: colore
Durata:  111 minuti
Genere: drammatico
Sceneggiatura: Bruce Wagner
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggi0: Ronald Sanders
Musica: Howard Shore
Paese di produzione: USA, Canada, Francia, Germania
Casa di produzione: Prospero Pictures
Distribuzione italiana: Adler Entertainment




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venerdì 30 maggio 2014

Alice e le sue "Meraviglie": l'Italia amata dai francesi

Dal 22 maggio è nelle sale italiane “Le meraviglie”, secondo film di Alice Rohrwacher, sorella dell’attrice Alba, che ha vinto il Grand Prix della giuria al Festival di Cannes 



Cannes le ha portato fortuna: dopo aver presentato il suo film d’esordio, Corpo celeste, al Festival nel 2011 nella sezione Quinzaine, Alice Rohrwacher ha visto la sua seconda fatica, Le meraviglie, vincere tre anni dopo il Gran Prix della giuria proprio al Festival di Cannes. Una vittoria che ha sorpreso molti e che fa della giovane Alice la prima regista donna italiana a vincere un premio a Cannes. Come per la collega Asia Argento, anche lei al Festival con il film Incompresa, la Croisette è diventato un luogo in cui mostrare scorci di un’infanzia ormai lontana, colma di sogni e speranze, di desiderio d’amore e voglia di essere ascoltati. 

Le meraviglie, ambientato nella campagna umbra degli anni 90, pesca a piene mani dalla storia personale della regista, figlia di apicoltori e di un padre tedesco, nel film rappresentato da Wolfgang (Sam Louwyck), capo famiglia severo e allo stesso tempo infantile nel suo desiderio di isolarsi in un alone incontaminato di purezza assoluta e utopica. Nel ruolo della madre c’è invece la sorella maggiore della regista, Alba. Protagonista della storia è Gelsomina, interpretata dalla giovane esordiente Maria Alexandra Lungu, primogenita di una coppia di agricoltori specializzati nella produzione di miele che vive a contatto con la natura rifiutando tutto ciò che è estraneo al suo mondo, che siano pesticidi o turisti. 

La più grande in una famiglia di sole figlie femmine, Gelsomina è la prediletta dal padre, che la educa come se fosse il figlio maschio che non ha mai avuto, insegnandole come portare avanti l’azienda di famiglia. La ragazza, ormai adolescente, non sogna solo api, che conosce come fossero sue amiche, facendosele uscire con grazia e senza paura dalla bocca, ma immagina un futuro diverso per se stessa. Per Gelsomina sono infatti dietro l’angolo grandi cambiamenti: quando all’azienda arriva Martin, giovane criminale muto, la ragazza vive i primi turbamenti amorosi e, con l’apparizione della fata televisiva Milly Catena, una sempre bellissima Monica Bellucci, i grandi spazi aperti cominciano a diventare improvvisamente stretti. 

Diviso tra una rappresentazione idealizzata e bucolica dell’infanzia e la realtà grottesca ma attraente della televisione e della mondanità, Le meraviglie mostra i suoi pregi e la delicata sensibilità della regista nelle parti ambientate in campagna, dove il passato da documentarista si fa prepotente e proietta lo spettatore in un mondo che spesso è raccontato in maniera stereotipata e idealizzata: qui, invece, assume il fascino di un luogo incantato dove l’infanzia è protetta. Il film funziona meno con il procedere della pellicola, quando trame e sottotrame poco sviluppate cercano di dare maggiore consistenza a una storia che fa affidamento soprattutto sulla forza delle immagini e dei simboli che mette in scena. 

Difficile non notare i punti di contatto con La grande bellezza: in entrambe le pellicole, presentate tutte e due al Festival di Cannes, si parla di bellezza e meraviglia, c’è un animale che nel finale assume su di sé il peso della poetica del film (qui un cammello, in Sorrentino una giraffa) e il percorso fatto dai protagonisti è speculare: in Le meraviglie una bambina sogna il mondo colorato della televisione mentre in La grande bellezza un uomo, ormai 65enne e re della mondanità, desidera tornare alla purezza della sua adolescenza. In entrambi i casi due cose non sono mancate: i premi internazionali e la critica, soprattutto nazionale, spaccata a metà.

Maria Alexandra Lungu


La citazione: "Babbo partecipiamo?"

Hearting/Cuorometro: ♥♥♥

Uscita italiana: 22 maggio 2014


Titolo originale: Le Meraviglie
Regia: Alice Rohrwacher
Anno: 2014
Cast: Maria Alexandra Lungu, Alba Rohrwacher, Sam Louwyck, Monica Bellucci
Colore: colore 
Durata: 110 minuti 
Genere: drammatico
Sceneggiatura: Alice Rohrwacher
Fotografia: Hélène Louvart
Montaggio: Marco Spoletini
Musica: Piero Crucitti
Paese di produzione: Italia, Svizzera, Germania
Casa di produzione: Tempesta, Rai Cinema
Distribuzione italiana: BIM Distribuzione




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Maleficent

Angelina Jolie è la cattiva (o quasi) più amata e temuta dell’universo Disney 
L’attrice premio Oscar è la protagonista assoluta della versione live action del classico Disney “La Bella addormentata nel bosco”, in cui è Malefica, la perfida strega che ha un passato oscuro quanto i suoi poteri




Labbra rosso fuoco, sguardo felino da cui guizza come una coda argentea un lampo inquietante, pelle diafana e voce profonda: fin dalle prime immagini diffuse in rete di "Maleficent" non c'è stato alcun dubbio, Angelina Jolie è nata per interpretare la cattiva più famosa e amata dell'universo Disney

In tempi di crisi finanziaria e di idee, il cinema pesca a piene mani da successi e cult intoccabili, ne è la prova l'orda di remake e reboot che stanno per arrivare nelle prossime stagioni, come il sequel dei "Goonies", quello dei "Gremlins", "Jurassic Park" e "Blade Runner": uno dei revival più gettonati del momento è la versione in live action dei classici Disney. Un'operazione che fa leva su dei veri e propri archetipi: i classici della casa del topo hanno infatti cresciuto non solo i genitori del pubblico giovane, ma anche i nonni e forse i loro bisnonni. Un processo che quindi ha una grande responsabilità: rievocare immagini e emozioni fortemente radicate nell'immaginario collettivo di chiunque. 

Se alcune operazioni sono felici, almeno al botteghino, come "Alice in Wonderland" di Tim Burton e "Il grande e potente Oz" di Sam Raimi, non a caso pellicole in cui c'è comunque un grande autore al comando, altre si sono rivelate nefaste, come "Cappuccetto rosso sangue" e "Beastly", facendo spesso sorgere nel pubblico la fatidica domanda: "Perché?". Dubbi che però non fanno vacillare le major: sono infatti già in cantiere una nuova versione di "Cenerentola" diretta da Kenneth Branagh e una di "La Sirenetta" con regia di Sofia Coppola e Emma Watson nei panni squamati della protagonista. 

"Maleficent", che originariamente doveva essere diretto proprio da Tim Burton, rientra nel filone delle cattive alla ribalta, in cui la villain della favola assume il ruolo di fulcro della storia, come già accaduto in "Biancaneve e il Cacciatore", in cui Charlize Theron era una malvagia e bellissima  regina Grimilde, e nella serie tv "Once Upon a Time", dove a farla da padroni sono di nuovo la Regina Cattiva di "Biancaneve" e Tremotino.

La nuova Malefica ha il volto bello e allo stesso tempo inquietante di Angelina Jolie dicevamo, una scelta di casting quanto mai vincente: da sempre bad girl del cinema contemporaneo, la Jolie è l'incarnazione perfetta della bellezza un po' sinistra, esaltata da abiti in pelle nera e labbra rosso fuoco a sottolinearne il pericoloso fascino. La sua Malefica, nei pochi momenti in cui è male allo stato puro, è davvero impressionante e convincente: peccato però che le scene in cui Malefica diffonde terrore e dispensa perle di humor nero siano poche. 
La Disney ha infatti scelto di non abbracciare in toto il lato oscuro della protagonista, contrariamente a quanto i poster e il trailer, accompagnato dalla voce suadente di Lana Del Rey che rivisita in chiave dark la famosa opera di Tchaicovsky, facciano credere: in "Maleficent" la strega è in realtà una fata buona cui viene fatto un grave torto e che per questo abbraccia il lato oscuro. Una fata buona con quel nome? Ebbene sì.

Il film dell'esordiente Robert Stromberg mostra come dietro la facciata di impenetrabile malvagità di Malefica ci sia in realtà una donna ferita, cui un uomo subdolo ha strappato le fiere ali: affronto che costerà la vita della piccola e innocente Aurora, interpretata da Elle Fanning, la bimba prodigio di "Somewhere" e "Super 8", contro cui la fata/strega lancia la celebre maledizione. Nella scia della moda di "anche i cattivi piangono", "Maleficent" ci mostra come in realtà nessuno nasca realmente malvagio, ma lo diventi a causa dei torti subiti, salvo poi tornare sulla retta via e redimersi con un gesto finale di altruismo puro.
Una scelta che se da un lato rientra nella classica struttura del film per bambini, dall'altro fa rimpiangere di non aver potuto godere di una Malefica malvagia al cento per cento, che, grazie all'interpretazione perfetta della Jolie, avrebbe potuto essere indimenticabile. 

Se non ci sono più i cattivi di una volta, a fare veramente una pessima figura sono però i personaggi maschili: traditori, assetati di potere, principi fantocci il cui intervento è inutile e ridicolo: come già visto in "Ribelle" e "Frozen", le principesse ormai si salvano da sole, non hanno bisogno del cavaliere dalla corazza scintillante e sanno che "il vero amore" viene prima di tutto da se stesse e può avere diverse forme. I principi possono appendere l'abito azzurro al chiodo, ormai anche i corvi hanno più importanza di loro. 
È questo il maggior pregio di "Maleficent", quello di mostrare ai più piccoli delle donne moderne e forti: quando poi i villain avranno la libertà di essere cattivi solo per il gusto di esserlo, allora si che il cerchio sarà completo. 


Angelina Jolie


La citazione: "Bene, bene!"

Hearting/Cuorometro: ♥♥1/2

Uscita italiana: 28 maggio 2014


Titolo originale: Maleficent
Regia: Robert Stromberg
Anno: 2014
Cast: Angelina Jolie, Elle Fanning, Sam Riley, Sharlto Copley, Imelda Staunton, Lesley Manville, Juno Temple, Brenton Thwaites
Colore: colore, 3D
Durata: 97 minuti
Genere: fantasy
Sceneggiatura: Paul Dini, Linda Woolverton, John Lee Hancock
Fotografia: Dean Semler
Montaggi0: Chris Lebenzon, Richard Pearson
Musica: James Newton Howard
Paese di produzione: USA
Casa di produzione: Walt Disney Pictures
Distribuzione italiana: Walt Disney Pictures Italia





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sabato 24 maggio 2014

Grace di Monaco: polemiche reali

Il film sulla vita di Grace Kelly, con protagonista Nicole Kidman, ha aperto la 67esima edizione del Festival del Cinema di Cannes portando sulla Croisette glamour e polemiche 



Diva dall’elegante bellezza, musa e icona del maestro del cinema Alfred Hitchcock, che la definì “ghiaccio bollente”; premio Oscar a soli 26 anni, partner sullo schermo e nella vita di attori come Cary Grant e Clark Gable; icona di stile, tanto da meritarsi una borsa creata appositamente per lei dalla casa francese Hermès che ancora oggi porta il suo nome, infine sposa del principe Ranieri di Monaco, unione celebrata con un matrimonio definito “il matrimonio del secolo” che l’ha portata a divenire una principessa in carne e ossa: la vita di Grace Kelly è una di quelle che supera la finzione e che non può non far gola a chi vive di storie raccontate per immagini. 

A 32 anni dalla tragica scomparsa della principessa, dopo decenni di tentativi e false voci, è il francese Olivier Dahan a portare sullo schermo il divino lucore di una delle icone dell’era moderna, scegliendo come fulcro della sua messa in scena un anno particolare nella vita di Grace Kelly, il 1964, anno in cui si trovò a un bivio cruciale: da un lato il suo mentore Alfred Hitchcock le offriva il ruolo della vita, ovvero la ladra bugiarda e frigida di Marnie, ruolo poi andato a Tippi Edren, e dall’altro la sua famiglia e il principato di Monaco rischiavano di perdere tutto a causa di difficoltà diplomatiche con la Francia. 

A interpretare Grace è Nicole Kidman, una delle poche attrici contemporanee in grado di far rivivere sullo schermo l’eleganza e la luminosità della Kelly, che per il ruolo si è immersa nella vita della principessa per ben cinque mesi studiandone ogni dettaglio, dalla postura al modo di parlare e camminare. Una prova apprezzabile quella della Kidman che, leggermente meno gonfia di botulino rispetto a quanto ci abbia abituati in anni recenti, riesce a portare con maestria gli sfavillanti abiti di Grace, perfetti e impeccabili così come la ricostruzione degli oggetti di scena e le splendide location, tra cui il Palazzo Reale di Genova. Ad affiancare la Kidman ci sono Tim Roth, nel ruolo di Ranieri, Paz Vega, che interpreta Maria Callas, e Frank Langella, chiamato a raffigurare Padre Tucker, prete americano confidente della principessa. 

Presentato in anteprima alla 67esima edizione del Festival del Cinema di Cannes come film d’apertura, Grace di Monaco, in uscita in Italia il 15 maggio, è stato anticipato da copiose polemiche, provenienti sia dal fronte produttivo che dalla famiglia Grimaldi: il produttore cinematografico Harvey Weinstein ha infatti definito la pellicola terribile, ordinando un secondo montaggio e minacciando di non far uscire il film in America, mentre i figli di Grace Kelly, dopo aver visionato il trailer, hanno giudicato la pellicola come un ritratto approssimativo e poco veritiero. 

In queste parole c’è della verità: nel film di Dahan, descritto come un film di finzione e non come un biopic, la vita già da romanzo di Grace Kelly viene trasformata in un thriller di spionaggio, in un film su colpi di stato e in un dramma domestico. La principessa sembra una figura a metà tra la Signora in giallo e una miss di un concorso di bellezza che grazie ai suoi discorsi sulla pace e sull’amore salva intere nazioni. Guardando Grace di Monaco si ha la sensazione di spiare Grace dal buco della serratura con la stessa voracità di chi legge riviste di pettegolezzi dal parrucchiere. La regia che indugia con insistenza, e spesso in maniera confusa, sul volto della Kidman, la fotografia “smarmellata” da fiction televisiva e la riduzione a semplici macchiette di figure storiche di spicco come Maria Callas, Alfred Hitchcock e Charles De Gaulle non aiutano la causa. I dubbi sollevati dai Grimaldi quindi sono legittimi, ma riguardano soprattutto l’aspetto artistico della pellicola, piuttosto che quello politico.

Tim Roth e Nicole Kidman


La citazione: "C'é chi si chiede perché io abbia lasciato Hollywood: ecco, l'ho lasciata perché...perché mi sono innamorata di un principe azzurro"

Hearting/Cuorometro: ♥♥

Uscita italiana: 15 maggio 2014


Titolo originale: Grace of Monaco
Regia: Olivier Dahan
Anno: 2014
Cast: Nicole Kidman, Tim Roth, Milo Ventimiglia, Paz Vega, Frank Langella, Parker Posey, Derek Jacobi
Colore: colore
Durata: 103 minuti
Genere: biopic
Sceneggiatura: Arash Amel
Fotografia: Eric Gautier
Montaggio: Olivier Gajan
Musica: Christopher Gunning
Paese di produzione: USA, Belgio, Italia, Francia
Casa di produzione: Stone Angels
Distribuzione italiana: Lucky Red




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Gabriel Garko a Cannes: ‘Sogno un ruolo come Charlize, diretto dai Coen’

L’attore più amato delle fiction tv è a Cannes per “Incompresa”, film di Asia Argento in concorso nella sezione Un Certain Regard. Respirando l’aria del cinema internazionale, ha rivelato di voler essere diretto dai fratelli Coen, magari imbruttendosi come Charlize Theron in “Monster” 




Il bello della tv italiana è sulla Croisette: grazie ad Asia Argento, che lo ha fortemente voluto nel suo terzo film Incompresa, Gabriel Garko ha potuto spogliarsi dei panni di re della fiction televisiva italiana e immergersi nel mondo del cinema, interpretando un ruolo molto diverso da quelli che il pubblico conosce. Nel film di Asia Argento Garko è una figura paterna particolare: un attore famoso, narcisista e superstizioso, che trascura la figlia più piccola, Aria, trattata come l’incarnazione fisica di tutti i fallimenti dei genitori, piccola dall’intelligenza viva e innocente che cerca disperatamente di farsi notare e di avere un po’ d’affetto. Un film che non è difficile riconoscere come autobiografico: figlia di genitori famosi e particolari come Dario Argento e Daria Nicolodi, la piccola Asia non deve aver vissuto un’infanzia facile, cosa che dal film emerge senza mezzi termini. Diventa fondamentale quindi il ruolo di Garko, chiamato a interpretare il ruolo cruciale del padre accanto a Charlotte Gainsbourg, una madre altrettanto disfunzionale. 

Entrambi a Cannes per presentare il film, i due artisti italiani si sono aperti alla stampa, rivelando esperienze personali e sogni nel cassetto. Asia ha spiegato molto chiaramente il perché del suo film: “Ho girato Incompresa per non sentirmi più incompresa. E’ una storia universale, tocca un subconscio collettivo. I bambini non vivono nel mondo di Candy Candy, sono molto più consapevoli di quanto i genitori non vogliano credere. Non credo ai falsi buonismi: non mi piace il cinema che proietta un’innocenza falsa sui bambini. I bambini ce l’hanno, ma non è quella che credono gli adulti”. 

Riguardo alla scelta di Garko, la Argento lo ha definito “l’unico attore italiano dotato del fascino internazionale che avevano gli uomini di un tempo”. L’attore ha rivelato: “Un giorno Asia è venuta da me e mi ha detto: o fai questo ruolo o ti ammazzo! Qualche anno fa Asia mi disse che stava scrivendo un ruolo per me in un film: quando lessi il copione rimasi molto soddisfatto, non mi aspettavo un ruolo del genere e decisi subito di partecipare. Abbiamo lavorato insieme per costruire il personaggio negli spazi di tempo al di fuori dalle fiction che ho interpretato. È stato un ruolo molto difficile e impegnativo, ma sono contento di averlo fatto. Sono molto curioso di vedere come reagirà il pubblico”. 



Il Festival di Cannes è una tappa importante nella carriera di un attore, soprattutto per la visibilità internazionale che porta: Garko ha ammesso che non gli dispiacerebbe recitare in film fuori dall’Italia: “Mi piacerebbe moltissimo recitare in un film dei fratelli Coen: li adoro perché fanno dei film completamente fuori di testa! Inoltre mi piacerebbe avere la possibilità di cambiare completamente il mio aspetto. Vorrei fare un percorso simile a quello compiuto da Charlize Theron in Monster”. 

Il personaggio interpretato da Garko è molto scaramantico: anche l’attore ha rivelato di avere alcune manie: “Ho diverse manie che però preferisco tenere per me. Una cosa che faccio però posso dirla: se mi cade il copione per terra, poi lo sbatto tre volte per scaramanzia”. 

Nel film, ambientato negli anni ’80, Garko è un padre di tre figlie: l’attore ha espresso delle riflessioni sull’essere bambini oggi: “La mia infanzia è stata molto tranquilla, avevo dei genitori normalissimi. Certo qualche momento in cui ci si sente incompresi capita a tutti, ma non posso lamentarmi. Oggi essere piccoli è molto diverso dall’esperienza che ho avuto io: quando ero un bambino non c’era internet, non c’erano i telefonini e quindi la comunicazione è diversa. Poi anche il modo di socializzare è cambiato: quando ero piccolo io si giocava all’aperto, tutti insieme, fisicamente, invece oggi i bambini giocano su internet, stanno sempre con un telefonino in mano, una cosa che mi spaventa un po’”. 

Il film “Incompresa”, uscirà nelle sale italiane il prossimo 5 giugno.


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Cannes67: Christina Hendricks e Matt Smith nel film di Ryan Gosling

Cannes67: Christina Hendricks e Matt Smith nel film di Ryan Gosling La rossa Christina Hendricks di Mad Men e Matt Smith, il Dottore uscente di Doctor Who, sono al Festival di Cannes per presentare Lost River, film d’esordio dietro la macchina da presa di Ryan Gosling 

photocall di Lost River a Cannes 67


Ryan Gosling deve essere un grande appassionato di televisione: per Lost River, il suo film d’esordio dietro la macchina da presa, l’attore ora anche regista ha scelto molti colleghi provenienti da famose serie tv. Protagonisti del film, presentato al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, sono infatti la rossa Christina Hendricks, Joan in Mad Men, che interpreta Billy, una madre single che cerca di sopravvivere con ogni mezzo in una periferia di Detroit avvolta da un’atmosfera a metà tra incubo e realtà, Matt Smith, il Dottore uscente di Doctor Who, che, abbandonati farfallino e capelli lunghi si è trasformato nel criminale sadico Bully, e Iain De Caestecker, Leo in Agents of S.H.I.E.L.D., che nel film di Gosling dà volto a Bones, il figlio maggiore della protagonista. Nel cast figurano anche Eva Mendes, Saoirse Ronan e Ben Mendelsohn

Il ricco cast di protagonisti ha presentato il film a Cannes insieme a Ryan Gosling, rendendosi protagonista di uno degli eventi più attesi e ricercati del festival. 

Christina Hendricks e Ryan Gosling


Visibilmente emozionato, Ryan Gosling ha spiegato che i suoi attori sono stati fondamentali per la realizzazione del film: “È un’idea che ha avuto vita propria nel momento in cui l’ho avuta: ho cominciato subito a scriverla, ho coinvolto altre persone, abbiamo cominciato a girare…e ora siamo a Cannes! È successo tutto molto più in fretta di quanto non pensassi. Il film è e non è quello che avevo in mente: mentre stavo girando sono stato influenzato dai miei attori, dall’ambiente… Ho trovato una collaborazione incredibile: gli attori hanno un’energia tale che mi hanno fatto scoprire ogni volta qualcosa di nuovo”. 

Christina Hendricks e Gosling si sono conosciuti sul set di “Drive”, film di Nicolas Winding Refn presentato proprio a Cannes due anni fa, e già da allora l’attore ha cominciato a coinvolgere la collega nel suo progetto: “Con Ryan ci siamo conosciuti sul set di Drive, abbiamo fatto amicizia, e, tra un ciak e l’altro, mi disse che un giorno avrebbe voluto dirigermi. All’epoca pensai che fosse stato molto carino a dire una cosa del genere” ha rivelato l’attrice, che ha continuato: “Invece non stava scherzando: un anno dopo mi ha mandato la sceneggiatura del suo film chiedendomi cosa ne pensassi e l’ho adorata. Ryan è stato molto collaborativo e mi ha coinvolto ancora prima di arrivare sul set: abbiamo passato due settimane a Detroit con tutto il cast e così abbiamo avuto la possibilità di conoscerci e provare. Ryan ha reso possibile questa cosa meravigliosa: è un lusso, non si ha molto spesso la possibilità di avere il tempo di provare”. La Hendricks ha inoltre confessato che il film rispecchia il suo gusto personale: “Il film è pieno di cose paurose! Adoro qualsiasi cosa che contenga elementi surreali e di fantasia. Amo guardare pellicole di questo tipo, quindi sono stata molto felice di prendere parte a questo film, è un’esperienza che non avevo mai affrontato prima”. 

Christina Hendricks


L’attrice, ancora impegnata sul set della settima, e ultima, stagione di “Mad Men”, ha detto di essere contenta di aver cambiato look, discostandosi dal suo personaggio televisivo, Joan: “Adoro il mio look in Mad Men e sono affezionata alla collana con la penna, penso che Mad Men sia unico nel suo genere. Il film di Ryan però è tutta un’altra cosa, ha un’atmosfera diversa e per me è un’occasione di cimentarmi in qualcosa di completamente differente”. 

Anche Matt Smith, undicesimo, e molto amato, Dottore in “Doctor Who”, ha rivelato che il film di Gosling è stato allo stesso tempo liberatorio e doloroso: “Ho avuto la fortuna di poter partecipare a due splendide serie tv che mi hanno fatto da trampolino di lancio, sono molto fiero del lavoro che ho fatto in tv, ma allo stesso tempo mi è piaciuto cambiare completamente genere grazie al film di Ryan. Lasciare Doctor Who è stata dura, come lasciarsi con una fidanzata. Lavori anche 14 ore al giorno per anni su quel set, alla fine sei come sposato con quella serie e quindi cambiare vita è difficile. L’atmosfera sul set di Ryan era diversa e straordinaria: è quella sensazione che si prova quando ti stai prendendo dei rischi. Tutto era creativo e libero: per un attore è una cosa meravigliosa”. 

Matt Smith


Ha rincarato la dose anche Iain De Caestecker, che ha rivelato di essersi sentito molto più libero sul set di “Lost River”: “In televisione i tempi sono più serrati e tutto è programmato al millimetro, mentre sul set del film di Ryan mi sono sentito molto più libero, ho potuto esplorare emozioni molto differenti e mettermi alla prova”.


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mercoledì 21 maggio 2014

Cannes67: Eva Longoria sul red carpet del Festival di Cannes

L’ex casalinga disperata Eva Longoria è apparsa abbagliante sul red carpet del Festival di Cannes, cui partecipa in qualità di testimonial della casa cosmetica L’Oreal, partner dell’evento 




Anche ai tempi di “Desperate Housewives” era la casalinga più alla moda: Eva Longoria in questi giorni è al Festival di Cannes in qualità di testimonial della casa cosmetica L’Oreal, partner ufficiale dell’evento. 

Sempre impeccabile anche quando cammina per la croisette o sorseggia un caffé sulla terrazza del suo hotel, l’attrice texana ha dato il suo meglio sul red carpet, su cui si è mostrata raggiante in ben due occasioni. 

La prima apparizione ufficiale della diva è stata durante il red carpet della première del film “Saint Laurent”, in cui la Longoria ha indossato un abito bianco a sirena senza spalline con corpetto tempestato di perle e cristalli Swarovski della stilista Gabriela Cadena

La seconda invece è stata la première del film “Foxcatcher: l’attrice ha indossato un abito nude di della collezione autunno 2014 Vionnet. Questo secondo outfit, con ampio spacco sul seno e piega morbida sulla pancia, ha subito fatto nascere indiscrezioni: gravidanza in arrivo?




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Cannes67: Michael C. Hall e Don Johnson star tv prestate al cinema “Cold in July”

Michael C. Hall e Don Johnson, protagonisti di “Cold in July”, film tratto dal romanzo omonimo dello scrittore di culto Joe R. Lansdale, hanno presentato la pellicola a Cannes. Nel futuro, la serie tv prodotta dal Sundance Channel “Hap and Leonard”, sempre tratta da Lansdale 




Una serie tv di straordinario successo può essere la tomba di una carriera d’attore. Ma Michael C. Hall, volto ormai iconico della televisione moderna grazie al personaggio Dexter Morgan, dopo aver dato volto al serial killer ematologo per la polizia di Miami per ben otto anni in “Dexter”, dopo la conclusione della sua avventura televisiva, si è buttato a capofitto in molti progetti. 

Uno di questi è “Cold in July, film di Jim Mickle tratto dal romanzo “Freddo a luglio”, dello scrittore di culto Joe R. Lansdale. Presentato nella sezione Quinzaine della 67esima edizione del Festival di Cannes, il film è una storia di vendetta ambientata nel Texas di fine anni ’80, in cui un uomo dalla vita ordinaria, Richard (Hall), viene coinvolto in una folle caccia all’uomo. 

Nonostante “Dexter” sia ormai lontano, Michael C. Hall non riesce a stare alla larga dal sangue, come gli facciamo notare: “È vero, ho sempre a che fare con il sangue: in un modo o nell’altro spunta sempre fuori! Giuro però che all’inizio della mia carriera non avevo programmato di ritrovarmi sempre ricoperto di sangue. In questo momento però sto interpretando uno spettacolo a New York e nessuno sanguina! Però forse è meglio che controlli…” scherza l’attore. 

Nonostante il sangue sia comunque presente, il ruolo che Hall interpreta in “Cold in July” è molto diverso da quello di Dexter: “È stato molto interessante per me diventare Richard: un uomo semplice, che ha una famiglia e un lavoro ordinario, che non ha abilità particolari ma che si trova a dover affrontare una situazione fuori dal comune. Mi ha permesso di lavorare con una gamma di emozioni completamente diversa da quella del mio ruolo precedente”.

Nel film Michael C. Hall ha un look molto diverso da quello sfoggiato in “Dexter”: l’attore porta i baffi e ha una pettinatura in stile anni ’80, con una sorta di codino, uno stile che non passa inosservato: “Ho un rapporto strano con le mie acconciature: durante l’episodio finale di “Dexter” hanno dovuto applicarmi una folta barba perché non avevo fatto in tempo a farla crescere e sul set di “Cold in July”, sul quale sono arrivato due settimane dopo la fine della serie, dovevo avere i capelli più lunghi ma non c’era tempo per farli crescere. Ne abbiano discusso con Jim, il regista, e alla fine mi hanno applicato una sorta di codino attaccato sui miei veri capelli. Ho dato al parrucchino il nome del personaggio, Richard Dane: sarei stato perso senza”. 

Nel film Don Johnson, il leggendario detective James Crockett di “Miami Vice”, interpreta Jim Bob, un detective molto particolare che guida una Cadillac rosso fuoco ribattezzata “The Red Bitch”, ha un allevamento di maiali ed è un fenomeno con la pistola, un personaggio ricorrente nei romanzi di Joe R. Lansdale, che compare anche nella saga letteraria di “Hap e Leonard, ciclo di romanzi da cui Sundance Channel sta per trarre una serie tv scritta proprio da Nick Damici e Jim Mickle, la stessa coppia che ha realizzato “Cold in July”. Abbiamo chiesto dunque a Johnson se anche lui farà parte della serie: “Lei non lavora per Sundance Channell, vero? Scherzo, ma le cose sono ancora in corso, la produzione è appena cominciata. Mi sono divertito molto a interpretare Jim Bob: mi piacerebbe molto riprendere questo personaggio anche nella serie, ne ho parlato con la produzione e sono in corso trattative. Dipenderà tutto dai miei impegni”.


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Cannes67: Mads Mikkelsen, un cannibale sulla croisette

L’attore danese Mads Mikkelsen è al Festival di Cannes per presentare, fuori concorso, la pellicola western “The Salvation”, in cui recita al fianco di Eva Green e di un cattivissimo Jeffrey Dean Morgan 




Volto inconfondibile, zigomi scolpiti e il taglio d’occhi quasi orientale, Mads Mikkelsen è una faccia nata per il cinema e in particolare perfetta per interpretare ruoli ambigui. 

Al cinema è stato protagonista di tante avventure del suo pigmalione Nicolas Winding Refn e l’avversario di James Bond in Casinò Royale, ma è grazie al ruolo di Hannibal Lecter nella serie tv Hannibal che l’attore danese ha ottenuto la consacrazione definitiva. 

Ospite noto al Festival di Cannes, cui ha partecipato nel 2009 per presentare il film Coco Chanel e Igor Stravinsky e lo scorso anno con Il Sospetto di Thomas Vitenberg, pellicola per cui ha vinto il premio come miglior attore, Mikkelsen ha partecipato anche quest’anno all’evento francese, portando sulla Croisette The Salvation, western del regista danese Kristian Levring

Nel film Mikkelsen interpreta Jon, un immigrato danese nell’America del 1870 che si scontra con il fuorilegge locale, Delarue, un cattivissimo Jeffrey Dean Morgan, volto noto per gli appassionati di serie tv: è stato Denny Duquette in Grey’s Anatomy, John Winchester in Supernatural e Ike Evans in Magic City. Nel cast c’é anche la bella e tenebrosa Eva Green



Contrariamente a quanto si possa pensare, il cannibale televisivo, da piccolo, non sognava di essere un cowboy: “Al contrario di Kristian (Levring) non sono un grande fan del genere western e nella Danimarca degli anni ’70 essere un cowboy non era un sogno: dovevi essere l’indiano, era più politicamente corretto. Guardo i western, mi piacciono, ma il mio genere è più quello dei film d’azione di Hong Kong e quelli con protagonista Bruce Lee. In fondo sono un po’ western anche quelli: la mitologia è simile, c’è un buono, un cattivo e qualcuno che mette a posto le cose. Certo il fatto che un regista danese volesse fare un western mi ha colpito e mi ha convinto a partecipare al film”. 

Secondo l’attore il western è un genere che, contrariamente a quanto si possa pensare, appartiene alla cultura europea: “Credo che l’Europa abbia il diritto di fare film western: moltissimi immigrati europei sono andati nel vecchio west. Alla fine dell”800 in America c’era un milione di accenti: immigrati francesi, svedesi… Anche i cinesi! Quindi in un certo senso abbiamo quasi più diritto di farli rispetto agli americani. Una volta accettato questo, l’idea che un regista danese faccia un western non è più così strana”. 

In passato l’attore danese è stato un ginnasta e un ballerino, abilità che lo aiutano ancora oggi: “Le capacità sono ancora tutte qui da qualche parte. Sono stato un ginnasta per molti anni prima di diventare un ballerino ed è un tipo di esercizio che mi aiuta molto quando bisogna fare scene d’azione. Credo che ancora oggi potrei fare salti e piroette senza farmi male. La fisicità di un ruolo però dipende dalla personalità del personaggio: volteggiare in aria è qualcosa che faccio solo se mi viene chiesto”. 

Sul set di “The Salvation” l’attore ha subito un brutto incidente: “Capita spesso di farsi male quando si girano film d’azione, ma sul set di questo film ho subito il mio peggiore incidente: ed è stata tutta colpa mia! Abbiamo girato in Sud Africa e ho comprato un bellissimo coltello: è piuttosto pesante e mentre lo maneggiavo mi sono tagliato seriamente un dito della mano. Siccome stavamo girando un film in costume non potevamo far vedere la medicazione così ci siamo inventati di tutto per nascondere il mio dito, che nel frattempo si è infettato ed è diventato enorme. I dottori stavano anche pensando di amputarmelo! Per fortuna mi sono imbottito di medicinali ed è andato tutto bene”. 

Nonostante i diversi impegni cinematografici, Mikkelsen riesce a interpretare egregiamente il dottor Hannibal Lecter in tv: “Abbiamo appena finito di girare la seconda stagione a Toronto. Per realizzare una stagione giriamo tra i 6 e i 7 mesi, quindi ormai richiede gran parte del mio impegno. È una produzione interessantissima e insolita con cui lavorare: credo che facciamo cose che nessun altro ha mai mostrato in televisione. Credo che stiamo attraversando dei confini che prima era più difficile superare”. 

Nel film Jeffrey Dean Morgan è il cattivo della situazione, il fuorilegge Delarue, e l’attore ha ammesso di non aver avuto difficoltà a entrare nel personaggio: “In realtà non lo vedo come un cattivo. Secondo me è giustificato nel 99% delle malefatte che compie. Anzi per me è uno a posto! In fondo è un uomo che vendica la morte del fratello: forse da un punto di vista danese questo è sbagliato, ma non nel mio mondo. Inoltre appena mi hanno messo una pistola al fianco mi sono sentito giustificato a interpretare qualsiasi nefandezza”.


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martedì 20 maggio 2014

Grace di Monaco: la principessa delle polemiche

Il film sulla vita di Grace Kelly ha aperto a Cannes, portando con sé le polemiche dei Grimaldi 



Una delle dive più belle nella storia del cinema, vincitrice, a 26 anni, del premio Oscar alla migliore attrice per la sua performance nel film La ragazza di campagna, pellicola di George Seaton presentata in concorso proprio all'ottavo festival di Cannes, che incontra, sul set del film di Hitchcok Caccia al ladro, girato proprio in Costa Azzurra, il principe Ranieri di Monaco e lo sposa, dopo un fidanzamento lampo, con un matrimonio definito “il matrimonio del secolo”, trasformandosi da stella del cinema in una principessa in carne e ossa: la vita di Grace Kelly è una storia che supera di gran lunga la fantasia e un'occasione troppo ghiotta per non farne un film. 

Dopo anni di voci e tentativi, a portare sul grande schermo l'eleganza raffinata di Grace Kelly è il regista francese Olivier Dahan, che ha scelto come sua musa il premio Oscar Nicole Kidman, una delle poche attrici contemporanee in grado di poter far rivivere il fascino e l'eleganza della divina Kelly. A interpretare invece il principe Ranieri è Tim Roth, di ritorno al cinema dopo gli impegni televisivi in Lie To me e Klondike; nel cast figurano anche Paz Vega, che interpreta un'altra divina, la cantante lirica Maria Callas, e Frank Langella

Sulla carta Grace di Monaco era quindi il candidato ideale per aprire la 67esima edizione del Festival del Cinema di Cannes: con la forza di due dive fuse in una stessa idea di eleganza e bellezza, il film di Dehan ha aperto ufficialmente, lo scorso 14 maggio, l'edizione 2014 del festival, portando glamour sulla Croisette. Non solo luccichii e splendore però: il film, già prima di essere presentato a Cannes, è stato al centro di diverse polemiche, sollevate sia dal produttore Harvey Weinstein, che ha definito il film terribile e ne ha realizzato un secondo montaggio, annunciando poi che il film non sarà distribuito in America, sia dalla famiglia della principessa, che, guardando il trailer ha giudicato la pellicola come un ritratto non veritiero e approssimativo della vita di Grace e Ranieri.

Per quanto riguarda la questione montaggio, il regista Dehan, durante la presentazione ufficiale del film, ha affermato: «Quando ti trovi di fronte a un produttore americano del calibro di Harvey Weinstein non puoi fare molto: o fai quello che vuole o subisci dei ricatti. Al momento esistono due versioni del film: la mia e la sua, che trovo catastrofica». Sul fatto della distribuzione in America, Dehan ha rivelato proprio in conferenza stampa che il film uscirà nelle sale statunitensi in una versione che soddisfi entrambi: «Stiamo collaborando in maniera amichevole: realizzeremo una sola versione del film con qualche ritocco qua e là». 

Sullo scontro con i figli della principessa Grace è abilmente intervenuta Nicole Kidman, interrogata sulla questione accentuata dall'assenza dei Grimaldi all'anteprima del film: «La cosa mi intristisce anche perché penso che il film non mostri nessun sentimento negativo nei loro confronti, né tantomeno verso le figure di Grace e Ranieri. Questo film è una versione romanzata dei fatti, non è un biopic e per questo ci sono molte licenze artistiche. Ovviamente capisco la loro posizione perché si tratta della vita dei loro genitori e comprendo il loro desiderio di proteggere la propria privacy. Ma il film è pieno di rispetto per queste persone e la mia performance è stata fatta con amore. Sono convinta che se i Grimaldi vedessero il film capirebbero che è stato fatto con grande affetto». 

Da Grace la Kidman ha senz'altro preso l'eleganza e l'abilità nel presentarsi al pubblico, come ha dimostrato non alimentando ulteriormente le polemiche, anche grazie alla lunga preparazione che il ruolo ha richiesto: l'attrice ha infatti studiato la postura, il modo di muoversi e parlare della principessa per ben cinque mesi, come ha ricordato lei stessa: «Ho cercato di entrare gentilmente nella sua pelle: ascoltandola, guardandola e assorbendo ogni sua caratteristica e dettaglio». Un'immersione così profonda nel personaggio da far ammettere a Kidman che anche lei, se messa nella condizione di dover scegliere tra famiglia e carriera, avrebbe appoggiato la scelta di Grace: «Grace ha deciso di lasciarsi il mondo del cinema alle spalle per la sua famiglia: è una scelta che comprendo» e ha poi ribattuto: «Certo io non ho sposato un principe. Diciamo che ho sposato un principe del country!». 

Alla luce delle parole serene di Nicole Kidman ci si domanda dunque se i dubbi sollevati dalla famiglia Grimaldi siano fondati: a pellicola terminata bisogna ammettere che il lavoro fatto su costumi, gioielli e ambientazioni è impeccabile, il mondo materiale di Grace è perfetto e da favola come ci si aspetta. Per quanto riguarda la storia invece si ha la sensazione di guardare la vita di Grace Kelly dal buco della serratura, spiandone i segreti e i drammi quotidiani con la voracità di chi sfoglia riviste di gossip dal parrucchiere, quel tipo di riviste che ingigantisce i fatti: nel film di Dehan, Grace Kelly è infatti sia attrice che principessa, poi detective, poi eminenza grigia in questioni politiche di importanza vitale, il tutto rappresentato con l'enfasi di un fotoromanzo. Un insieme che rende tutto una favola da fiction televisiva, relegando al ruolo di macchiette personaggi storici come Maria Callas, Alfred Hitchcock e Charles DeGaulle. I dubbi dei Grimaldi sono quindi comprensibili, anche se le perplessità riguardano più l'aspetto artistico del film che non quello politico.

Nicole Kidman


La citazione: "C'é chi si chiede perché io abbia lasciato Hollywood: ecco, l'ho lasciata perché...perché mi sono innamorata di un principe azzurro"

Hearting/Cuorometro: ♥♥

Uscita italiana: 15 maggio 2014


Titolo originale: Grace of Monaco
Regia: Olivier Dahan
Anno: 2014
Cast: Nicole Kidman, Tim Roth, Milo Ventimiglia, Paz Vega, Frank Langella, Parker Posey, Derek Jacobi
Colore: colore
Durata: 103 minuti
Genere: biopic
Sceneggiatura: Arash Amel
Fotografia: Eric Gautier
Montaggio: Olivier Gajan
Musica: Christopher Gunning
Paese di produzione: USA, Belgio, Italia, Francia
Casa di produzione: Stone Angels
Distribuzione italiana: Lucky Red




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