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venerdì 20 settembre 2013

Diari di Venezia70 PARTE 2: il festival "pieno di piscio e vento". E cervi morti



Ed eccoci alla seconda ed ultima parte dei miei Diari Veneziani: se nel primo capitolo mi sono concentrata sulle cose più frivole e pratiche, ora non avrò alcuna pietà. 
Adesso si fa sul serio: si parla del concorso, dei film, delle conferenze stampa
Della ciccia insomma.
Per parlare dei film e dei temi di Venezia 70 utilizzerò la suddivisione in capitoli che, chi è stato al festival lo sa, è stata una della costanti della Mostra. 
Cercherò di usarne meno di 59, non sono una sadica come Il Tedesco*.

*NOTA: Il Tedesco è una delle tre figure che compongono la Triade Malefica di Venezia70 cui mi sono riferita per tutta la durata del festival. La triade è composta da: - Il Tedesco, ovvero Philip Gröning, il regista di The Police Officer's Wife- Il GrecoAlexandros Avranas, regista di Miss Violence- Il Cinese, che poi non è cinese ma taiwanese, alias Tsai Ming-Iang, autore di Stray Dogs


1. IL PASSAGGIO DI GESTIONE E LA COMPETIZIONE CON ROMA E TORONTO

Da quando è stato istituito il Festival Internazionale del film di Roma, ovvero 8 anni, Roma e Venezia si sono fatte la guerra. 
E Venezia era il festival prestigioso e Roma quello poraccio. 
Venezia serio VS Roma troppo commerciale.
E Roma troppo vicino a Venezia come date.
E.... ora che ho sperimentato entrambi penso che si tratti di una guerra fra poveri.

E' vero, Venezia ha più storia, in teoria dovrebbe essere il festival più importante insieme a Cannes, ma, siccome siamo nell' Italia in cui la cultura è un optional se non un peso, penso che abbia perso molto del vecchio smalto.
Inoltre Roma sarà sicuramente più commerciale, però ha una location migliore e un red carpet che il Lido se lo sogna.
La cosa inquietante è che, almeno per quest'anno, la qualità dei film di Venezia non era tanto diversa da molti dei film visti a Roma nelle passate edizioni. 
Barbera dice che questo è stato il festival "del rischio", delle "scelte scomode", ma secondo me la verità è che c'era rimasto ben poco da scegliere.
Quest'anno a Müller basta davvero poco, a mio avviso, per fare meglio di Barbera.

Perché tra i due litiganti il terzo gode: se dovessi scegliere l'anno prossimo penso che in questo stesso periodo andrei sicuramente a Toronto, altro che Italia.
Molti dei film presentati quest'anno a Venezia sono passati pochi giorni dopo anche a Toronto, e il filmone che doveva sbaragliare la concorrenza, ovvero 12 Years A Slave di Steve McQueen, è andato proprio in Canada, dove ha, ma guarda un po', pure vinto.

"Venice and Rome suck my chocolate salty balls!" *

*Se non l'avete capita sappiate che potreste essere delle persone meglio: supporto tecnologico.


2. LA GIURIA

Io lo sapevo che con Bertolucci in giuria ce scappava la porcata.
Tuonò.

Altro indizio l'aver riesumato dal nulla gente come Virginie Ledoyen.

La meglio era senz'altro la mitica Carrie Fisher, che purtroppo nessuno si è filato perché irriconoscibile. L'ho anche beccata all'Excelsior una volta e stavo per chiederle una foto, poi chi era con me mi ha detto: "No! Conserviamo un bel ricordo di quando era la principessa Leyla e non ora che sembra Jabba!". E mi sono smontata.

"Jabba era popo bono ar forno co' e patate!"


3. LA SIGLA INTRODUTTIVA

Ogni festival ha la sua sigla introduttiva che viene proiettata prima di ogni film.
Considerando che, se volete vivere appieno l'esperienza festival e non affrontarlo come una gita di liceo andando solo in giro a stalkerare attori, festeggiare e bere, dovete vedere almeno 3 film al giorno, quindi la sigla introduttiva diventa la vostra costante nel buio della sala. 
Ovvio che se questa sigla è insopportabile presto diventerà una specie di "cura Ludovico". 
La sigla di Venezia70 ha un'animazione orrenda.
Il rinoceronte è ok, ma il tizio truce che ti imbruttisce alla fine non si può guardare.

Il rinoceronte invece ha qualcosa di mistico: sono ancora convinta che il film di Garrell, La jalousie, sia stato preso in concorso solo perché ad un certo punto mostra una cartina del Lido di Venezia appesa a un muro e una suppellettile a forma di rinoceronte su una mensola. Messaggi subliminali?


"Mi raccomnado non lo guardà a quello che te imbruttisce!"


4. LE PERVERSIONI SESSUALI

Se dovessimo trovare un tema portante di Venezia 70 sarebbero sicuramente le perversioni sessuali: al Lido c'erano anche James Deen, protagonista di The Canyons, e Stoya (questi invece sapete chi sono, eh?! Ve possino!) che lo ha accompagnato, e paradossalmente i due attori porno sono stati i più tranquilli. 
Gli altri film non si sono fatti mancare nulla: umiliazioni fisiche e psicologiche, violenza domestica, evirazioni, gerontofilia, pedofilia, necrofilia... 
Sembrava di essere a un festino di Trimalcione

"Ma che schifo! Questi sono pazzi!"


5. CACCA E PIPI'

Potremmo soprannominare Venezia 70 "Will Scarlet": come il fratello di Robin Hood (quello di Kevin Costner) il festival è stato "pieno di piscio e vento". 

Non sto scherzando: cacca e pipì si sono viste ovunque!

Scott Haze in Child of God ha evacuato praticamente addosso alla telecamera (pulendosi poi con un ceppo di legno...), in Stray Dogs c'è un'inquadratura fissa di 2 minuti sul protagonista che urina in un campo, in Via Castellana Bandiera c'è addirittura un incrocio di flussi di pipì: ma che siamo pazzi?! Non lo sapete che non si devono MAI incrociare i flussi?!
E noi che pensavamo che il ricorrere a gag su cacca e pipì fosse una prerogativa dei Vanzina o al massimo degli Avengers: ah che stolti!

"Ma non vi vergognate?! Pulitevi almeno, cribbio!"


6. I CERVI MORTI

Meno male che gli animalisti non sono anche cinefili sennò avrebbero rotto un giorno sì e l'altro pure. Accanto a perversioni sessuali di varia natura, a Venezia 70 si è visto almeno un cervo morto al giorno: finito con un colpo di pistola in The Police Officer's Wife, scuoiato da Nicolas Cage con un coltellaccio in Joe, investito con la macchina in Night Moves.... Una metafora sottile? O il risultato di diverse generazioni traumatizzate da Bambi?

"Ma perché?! Non vi abbastava?!"


7. IL SADISMO

La cosa più lampante di Venezia 70 è stata una dose massiccia di sadismo: non solo tra i protagonisti dei vari film, ma soprattutto nei confronti degli spettatori.

L'estenuante suddivisione in capitoli di The Police Officer's Wife (59-capitoli-59! preceduti tutti da un cartello di inizio e seguiti da uno di fine!), le interminabili sequenze a camera fissa, viste sia nel Tedesco, nel Greco che, non ne parliamo, nel Cinese-Taiwanese, le angoscianti scene in cui personaggi allucinati guardano in camera e cantano canzoncine irritanti, viste ancora una volta sia nel Tedesco, che nel Greco che nel Cinese-Taiwanese... Perché questo? Perché torturare lo spettatore in questo modo? 

La risposta è arrivata quando, chiedendo a dei colleghi perché pensassero che un film dove ci sono 20-minuti-20! di primo piano immobile di 2 che guardano fissi in un punto fosse un capolavoro, mi sono sentita dire: "Perchè è estenuante!". 
Bene. 
A quanto pare non c'è un sadico senza un masochista.

"15 minuti di uno che stringe un cavolo?! Cazzarola regà, voi state male! Fateve curà!"


8. L'ASSURDO

Di momenti trash e assurdi ce ne sono stati a fiumi in questo festival, ma alcuni sono veramente da gran premio: in Stray Dogs c'è una scena di 15-minuti-15! in cui un uomo prima acceca un cavolo (la figlia povera ci ha disegnato sopra occhi e bocca per renderla un totem sostitutivo della madre, almeno così m'è sembrato di capire n.d.r.), poi lo soffoca con il cuscino, poi lo picchia, poi lo mangia e infine ne abbraccia i resti in lacrime. 
CAPOLAVORO!
Sì, in un film di Bruno Liegi Bastonliegi.

O ancora: l'aliena Scarlett Johansson di Under the Skin è una strana creatura che abborda gli uomini, gliela fa annusare, poi li annega in una misteriosa pozzanghera nera tutti eccitati e insoddisfatti. A un certo punto però l'aliena si incuriosisce, vuole scoprire cos'è questa cosa per cui tutti questi uomini si fanno ammazzare così volentieri, e allora invece di ammazzarlo, l'ultimo tizio se lo porta a letto. Ma, colpo di scena: l'aliena, al contrario del palazzo del cinema, non ha, come hanno esclamato i miei vicini di proiezione, "il buco"! 
La scena in cui l'aliena-Scarlett prende una lampada e, in posizione ginecologica, si controlla in mezzo alle gambe è da Razzie Award.

E infine: Lindsay Lohan che recita in un film porno (The Canyons), scritto da uno che una volta faceva cose come Taxi Driver, in cui sono state tagliate tutte le scene di sesso e sono rimaste solo le scenette di raccordo tra un amplesso e l'altro. Teribbbbile.

"......"


9. LE COSE BELLE

Da quello che ho scritto fino ad ora sembra che a Venezia 70 si siano viste solo cose orribili: non è vero! Ci sono state anche ottime pellicole.

Gravity di Cuaron, fuori concorso, è quasi un capolavoro: sembra proseguire il racconto di 2001 Odissea nello spazio dell'astronauta che si perde nel vuoto, il 3D è funzionale, forse presenta le più belle scene ambientate nello spazio mai viste al cinema e Sandra Bullock, qui additata sempre come la cagna maledetta, si comporta egregiamente. Miracolo!

Die andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht di Edgar Reitz: uno dei film più belli visti al festival. Prequel degli altri tre capitoli di Heimat, con il suo splendido bianco e nero, girato con mano sapiente e recitato egregiamente da giovanissimi attori - il protagonista, Jan Dieter Schneider, esordiente, è il mio nuovo mito: mentre girava il film ha trovato anche il tempo di laurearsi in medicina - è stato un viaggio emozionante pieno di suggestioni. 
Questo è il tedesco che ci piace: le quattro ore di durata in questo caso non sono per nulla pesate, a dimostrazione che se chi dirige il film è un artista la pellicola potrebbe durate anche 10 ore. O 25, come il secondo Heimat. 

The Wind Rises, ultimo film di Hayao Miyazaki, è bellissimo, ed era il mio Leone d'Oro.

Tom à la ferme  è ipnotico e affascinante e avrei dato proprio al giovane prodigio Xavier Dolan il Leone d'Argento per la regia.

Philomena di Stephen Frears, anche se non è un classico film da Leone d'Oro, grazie alla sceneggiatura brillante e alla coppia mastodontica formata da Judi Dench e Steve Coogan, è stata una delle migliori pellicole viste a Venezia 70.

Locke, altro film fuori concorso, è un filmone, con un Tom Hardy strepitoso.

Walesa. Man of Hope di Andrzej Wajda, film biografico e storico senza un briciolo di retorica, pieno di ritmo e ben girato, con un protagonista eccezionale, è un'altra pellicola che mi ha colpito, purtroppo anche questa fuori concorso. 

The Zero Theorem di Terry Gilliam con Christoph Waltz. E ci potremmo fermare qui. Grande accoppiata, il film ricorda molto Brazil, ha qualche pecca, soprattutto nella parte centrale dove forse si dilunga un po' troppo, ma alcune trovate e la scena del buco nero sono meravigliose. A me me piace.

Why don't you play in hell? di Sion Sono: capolavoro. Follia totale, cinefilia a mille, ironia, prese in giro di Tarantino come se piovesse. I due capi della Yakuza interpretati  da Jun Kunimura e Akihiro Kitamura sono formidabili, la ragazzina adorabile e lo spot del dentifricio è già un cult. La canzoncina è stata la mia personale colonna sonora di Venezia70.

Fantastico anche il ragazzino protagonista di Joe, Tye Sheridan, che si è, giustamente, meritato il Premio Mastroianni, commovente il fatto che Nicolas Cage sia tornato a recitare alla grande (sempre in Joe) e meravigliosa la bambina di La jelosie di Garrell.

"Ooooh! Meno male và!"




10. LA PREMIAZIONE

E quindi eccoci arrivati alla premiazione.
C'è da dire che me la sono tirata perché appena ho visto il film greco, Miss Violence, con la sua fotografia triste e grigiastra, la regia angusta fatta tutta in interni, le scene di sesso violento, l'argomento scabroso, la metaforona, neanche troppo sottile, "della Grecia stuprata dai suoi padri", ho detto: questo vince.

Quando ho visto pure il tedesco, appena sono riuscita a riprendermi, ho temuto che vincesse qualcosa. 
Ed è andata proprio così.

Il premio a Stray Dogs ci può stare, l'ho inserito nella triade malvagia perché effettivamente richiede impegno, però è diverse spanne sopra agli altri due.

Mi dissocio dai premi all'asse greco-tedesco dunque: hanno premiato due film anche molto simili, nei temi e nella fattura, oltre che brutti.

Per quanto riguarda Elena Cotta è uno scandalo che abbia vinto la Coppa Volpi al posto di Judi Dench, però in effetti la divina Judi ha Oscar e premi in abbondanza, una Volpi in più o in meno non fa differenza per lei.

Per quanto riguarda il Leone d'Oro non sono molto convinta: Sacro GRA è un discreto film, è l'altra faccia della medaglia più scaciata e verace di La grande bellezza di Sorrentino, è un ritratto di molte di quelle fasce sociali di cui non parla nessuno, è un'Italia più nascosta e drammatica, e l'averla portata in luce fa onore al film di Rosi. Però tutto il contesto che hanno montato intorno al film mi sembra poco genuino: dicono che si tratti di un documentario, ma mi è sembrato tutto molto studiato e programmato. La verità poi è che sì, è un buon film, ma l'impressione è che abbia vinto perché la concorrenza non fosse poi così agguerrita.

La verità è questa: a Venezia 70 sono mancati veri leoni (e perdonatemi al battuta facile).
In edizioni passate c'erano Malick, Paul Thomas Anderson, Herzog... quest'anno la gente è stata felice quando ha visto recitare Sandra Bullock! SANDRA BULLOCK!

E, ovviamente, era il mio primo festival di Venezia sul campo.
Che culo.

"Ma chi so' 'sti quattro pezzenti? Puzzano!"

giovedì 29 agosto 2013

Via Castellana Bandiera




Carnale, passionale, esplosiva e pronta a sperimentare: Emma Dante, attrice, regista di teatro e scrittrice, è un talento poliedrico che chi ha visto sul palcoscenico sa che porta sulle tavole di legno la polvere e gli odori della Sicilia, sua terra natale cui è legata da un cordone che l'artista sembra allo stesso tempo voler abbandonare e tenersi stretto. Fondatrice della compagnia Sud Costa Occidentale, autrice di opere magnetiche come mPalermu, la Dante è diventata in pochi anni uno dei nomi di punta del panorama teatrale italiano, arrivando a dirigere, nel 2009, la prima della Carmen di Bizet al Teatro alla Scala. In quell'occasione le reazioni furono contrastanti: alcuni parlarono di innovazione e della capacità di incarnare il vero spirito del personaggio di Carmen, altri invece gridarono allo scandalo di una protagonista troppo "popolana". Che la si ami o la si odi, Emma Dante non lascia mai indifferenti e, data la sua propensione alla sperimentazione di diversi mezzi narrativi, era inevitabile un suo esordio dietro la macchina da presa.

Per la sua prima pellicola da regista l'artista siciliana ha scelto di portare sul grande schermo il suo romanzo Via Castellana Bandiera, pubblicato nel 2009 e vincitore del Premio Vittorini. La storia parla di tre donne, Rosa (Emma Dante), siciliana che ha si è lasciata alle spalle un provincialismo che le stava stretto, Clara (Alba Rohrwacher), sua compagna di vita, e Samira (Elena Cotta), madre che ha perso sette anni prima una figlia per colpa di un cancro e che da allora ha smesso di parlare. 
Alla guida delle loro auto, Rosa e Samira si trovano bloccate in una strada senza senso di marcia a Palermo, la via Castellana Bandiera del titolo, e, partendo da motivazioni differenti, instaurano un duello psicologico a colpi di clacson decise a non cedere il passo all'altra.

Girato come un western urbano, il film sfugge alla trappola di portare il teatro al cinema e tesse una violenta metafora di un luogo che diventa simbolo di un intero paese: nella loro ostinata immobilità, le due donne si fanno carico di tutte le tensioni e le contraddizioni di un popolo che è smarrito e non sa scuotersi, che non sa trovare spunti oltre al proprio piccolo interesse personale, che è fermo nella propria decadenza e ostinato a lasciarsi morire lentamente contro ogni razionalità.
Un racconto duro ed estremo, in cui non è un caso che a fronteggiarsi siano due donne: gli uomini che fanno loro da contorno sono ostili, gretti, preferiscono manipolarle e scommettere piuttosto che risolvere la situazione. 
Come ogni duello che si rispetti non può che arrivare la tragedia: risolutivo e presagito, l'infausto evento arriva fuori campo, in una scena finale che esprime tutta la potenza espressiva della Dante e che mostra il suo talento nell'usare gli spazi e le scene di massa.

Un esordio sanguigno e viscerale, aiutato da una coppia di interpreti all'altezza del compito: la Dante riesce a lavorare di sottrazione mostrando di essere un'ottima interprete anche al cinema e la Cotta, con la sola potenza dello sguardo, crea un mondo oscuro e primordiale che incute timore. 

Uno degli esordi più interessanti del cinema italiano contemporaneo.  

Emma Dante e Alba Rohrwacher


La citazione: "C'hanno tutti ragione e c'hanno tutti torto"

Hearting/Cuorometro: ♥♥♥

Uscita italiana: 19 settembre 2013


Titolo originale: Via Castellana Bandiera
Regia: Emma Dante
Anno: 2014
Cast: Emma Dante, Alba Rohwacher, Elena Cotta, Renato Malfatti, Dario Casarolo
Colore: colore
Durata: 90 minuti
Genere: drammatico
Sceneggiatura: Emma Dante e Giorgio Vasta 
Fotografia: Gherardo Gossi
Montaggi0: Benni Atria
Musica: Enzo e Lorenzo Mancuso
Paese di produzione: Italia, Svizzera, Francia
Casa di produzione: Vivo Film
Distribuzione italiana: Rai Cinema

Venezia 2013, l’esordio di Emma Dante al cinema: «Un western a colpi di clacson, con citazioni di Sergio Leone»



L’attrice, regista e scrittrice siciliana ha presentato alla 70esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia “Via Castellana Bandiera”, suo esordio dietro la macchina da presa, tratto dall’omonimo libro scritto dalla stessa autrice e pubblicato nel 2008 

Il poster del film


Occhi scuri che scrutano con curiosità, una passionalità difficile da nascondere e una particolare predisposizione per tutto ciò che è vitale e carnale: la regista teatrale, attrice e scrittrice Emma Dante è una delle figure artistiche più interessanti presenti nel panorama culturale italiano contemporaneo. Nata a Palermo e profondamente influenzata dalle contraddizioni e dai contrasti della sua terra d’origine, la Dante sono anni che, insieme alla sua compagnia teatrale, la Sud Costa Occidentale, porta in scena il sudore, la polvere e la forza delle strade siciliane. Talento poliedrico, Emma Dante ama sperimentare: passando dalla drammaturgia classica a linguaggi a volte quasi astratti, l’artista siciliana fonde il suo bagaglio culturale ai classici del passato, come ha dimostrato con la sua originale versione della Carmen di Bizet rappresentata al Teatro Alla Scala di Milano nel 2009. Non stupisce quindi che il suo desiderio di provare sempre nuovi mezzi narrativi l’abbia spinta anche dietro la macchina da presa. Un passaggio che lei stessa ha definito estremamente naturale: “Questa storia mi sembrava molto adatta per il cinema: avevo bisogno della strada, della polvere, della carnalità delle persone. Non avrei potuto farlo a teatro“. Presentato alla 70esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, l’esordio cinematografico di Emma Dante, tratto dal suo omonimo libro Via Castellana Bandiera, pubblicato nel 2009 e vincitore del Premio Vittorini, racconta la storia di tre donne ostinate che instaurano un duello psicologico a colpi di clacson occupando una piccola strada di Palermo. Il film ha sorpreso la stampa, che l’ha subito definito un “western del Sud Italia”, definizione che l’autrice ha apprezzato: “Ho sempre sognato di fare un western: chi non vorrebbe? Quindi mi sembra una definizione pertinente“, non nascondendo una sua personale passione per l’opera di Sergio Leone: “Il cinema di Leone mi ispira molto, è un grande regista e per questo film ho approfondito il mio studio su di lui. Nel film infatti ho inserito delle citazioni al suo lavoro“. 


Emma Dante a Venezia 70


Un western del sud, dicevamo: alla domanda sul perché parli costantemente della Sicilia nelle sue opere, l’autrice ha affermato: “Io in realtà volevo ambientare la storia a Begamo… No, sto scherzando. Io sono palermitana e parto sempre dalle mie radici, dalla mia storia, dalla mia lingua. Non so esattamente cosa vuol dire “raccontare il sud”: il film parla di una comunità, di un paese, di uno stato dell’essere, racconta l’Italia ma potrebbe essere anche un altro luogo. Ho voluto rappresentare uno stato particolare che caratterizza la nostra epoca: alla fine del film (SPOILER) non abbiamo voluto far vedere il precipizio e far vedere o sentire la macchina che cade per un motivo ben preciso: volevo dire che oggi noi non riusciamo a cadere, non percepiamo il precipizio, c’è una situazione stallo nella società (FINE SPOILER)". 

Protagonista della pellicola è una coppia al femminile che si reca in Sicilia per un matrimonio e durante il viaggio vede messo a dura prova il proprio rapporto sentimentale; l’autrice, interrogata sull’argomento, non ha voluto sottolineare il fatto che si tratti di una coppia dello stesso sesso: “La vera strada di Via Castellana Bandiera per me è quella del finale, non quella bloccata che si vede nel film: noi oggi spesso occupiamo uno spazio e lo definiamo come nostro escludendo gli altri. Per me c’è spazio per tutti. Sono stanca di parlare di “storie di omosessuali”: per me le protagoniste sono due persone che si amano, punto. Perché dobbiamo parlare di “amore diverso” o trovare modi diversi per raccontarlo? Il personaggio più positivo del film infatti, il ragazzino, non giudica: è un personaggio illuminato, è uno che parla un’altra lingua rispetto alla famiglia di origine, è una piccola luce, una fiammella che porta speranza“. 


Alba Rohrwacher a Venezia 70


Le co-protagoniste femminili, Alba Rohrwacher, che interpreta Clara, la compagna della protagonista, Rosa (la stessa Emma Dante), ed Elena Cotta, che dà volto a Samira, la granitica donna che si mette letteralmente sulla loro strada, hanno dichiarato di aver amato i propri personaggi e di essere molto felici di aver avuto la possibilità di lavorare con la Dante: “Uno dei miei desideri come attrice è sempre stato quello di poter recitare un ruolo fatto solo di sguardi“, ha detto la Cotta “e questa è stata l’occasione. Ringrazio Emma per questo. Con ruoli di questo tipo devi rinunciare agli artifici della recitazione, devi asciugare tutto per diventare semplicemente un viso. È un’esperienza irripetibile: una sfida, bellissima e forte. Ho lavorato bene in un clima straordinario, cosa che mi ha aiutato molto. Sono stata molto felice di lavorare a questo film“. Dello stesso entusiasmo Alba Rohrwacher: “Emma è una regista bravissima, è la regista del mio cuore, mi ha insegnato quasi tutto quello che provo a fare. Il “metodo Emma Dante” credo funzioni molto bene: lei fa un lavoro molto duro, in cui sei portato all’estremo e che ti fa dare molto, ma alla fine sei guidata da mani esperte. Lavorare a teatro con Emma è qualcosa di irripetibile: lei dagli attori tira fuori dei fantasmi. È capace di evocare dei fantasmi che io non sapevo di avere dentro. Lavorare con Emma è sorprendente“. 


Elena Cotta a Venezia 70


A fine conferenza stampa la regista ha rivelato di essere molto affascinata dai personaggi che rivelano una mostruosità latente: “Non so come si può definire il carattere di queste donne: all’inizio sono ottuse, tenaci, ma poi cominciano a fare il punto della propria vita. Sono come il Minotauro che si guarda allo specchio e riconosce il mostro. Se non ci interroghiamo mai su noi stessi, non riusciamo mai a tirare fuori la verità, mentre se ci fermiamo di fronte a un altro che è diverso da noi la mostruosità può venire a galla. Loro sono mostruose alla fine del film: e questo mi piace. La loro mostruosità è la loro verità, è quello che non sono riuscite a dirsi fino ad ora. Nella loro mostruosità sono molto umane“.


Pubblicato su BestMovie.
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