Per questo “profeta” mi sento di scomodare niente meno che Nietzsche.
Potremmo infatti definire la pellicola di Audiard “l'eterno ritorno del padrino”.
Non importa il colore della pelle, la religione o l'età: in un mondo fatto di violenza, corruzione e omicidi c'è sempre chi comanda e chi esegue, il boss e il gregario, la mente e il braccio.
Malik è un giovane orfano arabo: non sa leggere, non sa scrivere e a causa della sua indole criminale è finito in galera. Si è beccato 6 anni. E qui, sbarbatello ed ingenuo rispetto ai suoi ben più navigati compagni di cella, dovrà presto capire la legge numero uno: il pesce grosso mangia il pesce piccolo. Comincia così la sua faticosa lotta per salire la china della gerarchia criminale: da semplice pedina nelle mani del boss locale, ad abile manovratore in grado di gestire bande di tutte le etnie, dai corsi agli arabi, dagli italiani alle guardie corrotte.
Con la sua faccia pulita ed in apparenza innocente (incredibile la somiglianza dell'attore Tahar Rahim con il nostro Elio Germano), Malik è come un cervo che corre in mezzo a macchine lanciate ad una folle velocità, con la differenza che grazie alla sua lucida razionalità riesce a sfruttare ogni situazione a suo vantaggio. Non importa il contesto, Malik impara di tutto da chiunque.
Ed è la scuola della malavita a renderlo duro e infallibile, abile e scaltro.
Un film asciutto, senza fronzoli, che va dritto allo stomaco: il sangue, la violenza, la noncuranza di cosa sia giusto e cosa sbagliato. L'importante è sopravvivere, a qualunque costo.
Sono passati millenni dalla nascita della civiltà, ma le regole primordiali della vita tra uomini non è cambiata: l'uomo è sì un animale sociale, ma il gruppo spesso non obbedisce a regole votate all'onestà e all'uguaglianza. La sola cosa che è cambiata in tutti questi anni è l'etnia di chi si trova in cima alla piramide: qui i vecchi criminali corsi e italiani fanno spazio ai giovani arabi ed egiziani, con la pelle dal diverso colore ma con lo stesso spirito di rivalsa e con lo stesso sangue rosso nelle vene.
Solenne nella sua austerità, il film di Audiard prende per tutte le sue due ore e mezza di durata, anche grazie al volto a metà tra l'innocenza e la ferocia del protagonista, Tahar Rahim.
Due ore e mezza in un recinto pieno di lupi: ce la farete?
La citazione: "Lavoro per me"
Voto: ♥♥♥♥
Grandissimo film di genere. L'attore protagonista tra l'altro, che secondo non c'assomiglia manco pe gnente a Germano, è davvero bravissimo. Ma anche quello che interpreta Luciani.
RispondiEliminaAle55andra
capolavoro!
RispondiEliminain lingua originale è superbo, con il mix tra francese, arabo e il dialetto corso (cioè italiano parlato male!)