Relazione Concorso Cinesophia 2003-2004
Recensione del film “GoodBye, Lenin!”
Recensione del film “GoodBye, Lenin!”
Il primo film della mia vita è stato “Biancaneve e i sette nani”, avevo tre anni e sono andata a vederlo con mio padre, l’effetto è stato devastante: non volevo più uscire dalla sala e ho costretto il mio povero genitore a vederlo due volte!
La gioia che mi ha dato vedere delle immagini in movimento su un grande schermo è stata pari soltanto a quella che ha suscitato in me un’ altra scoperta “giovanile”, quella del gelato, ma questa è un’ altra storia.
Da allora in poi il cinema è stata la mia più grande passione: dai tre anni ai dieci ho arricchito la mia cultura cinematografica guardando tutti, ma proprio tutti i film di Walt Disney; non credo ci fosse al mondo un bambino più esperto di me in campo disneyano!
Poi sono passata ai veri e propri film, tutti quelli di Spielberg (l’idolo della mia gioventù) e di avventure come “Guerre stellari”, “Indiana Jones”, “Ritorno al futuro”. Infine, sono arrivata ad oggi e i miei gusti sono un po’ cambiati perché, anche se “la Sirenetta” rimane uno dei miei film più amati di sempre, nel frattempo ho scoperto Bergman, Kubrick, il neorealismo italiano, Allen…. Comunque non disdegno il cinema contemporaneo: mi fanno impazzire anche le megaproduzioni hollywoodiane, e mi tengo costantemente aggiornata, dato che in media vado al cinema due o tre volte alla settimana (a Cineland ormai mi conoscono tutti e credo che prima o poi mi dedicheranno una sala o qualcosa del genere dato che sono io che faccio prosperare la loro economia!).
Sono così appassionata di cinema che ho deciso di dedicare ad esso il mio percorso d’esame alla maturità.
Quindi è normale che quando sono venuta a conoscenza della possibilità di prendere parte ad un corso pomeridiano che permettesse di vedere dei film, mi ci sia buttata a capofitto. Questo ciclo di dieci film è stato il regalo più bello che la scuola potesse farmi!
Iniziative del genere dovrebbero essere più diffuse.
Alcuni film proposti a mio avviso, sono di ottima qualità, come “Il ritorno” e “Elephant”, carino “Caterina va in città”, gli altri meno interessanti e impegnati.
Sicuramente, il migliore è stato “Good Bye, Lenin!” del tedesco Wolfgang Becker.
Questa geniale e divertente commedia amara mi ha colpito particolarmente per il suo stile essenziale, la narrazione fresca e coinvolgente, l’umorismo pungente e la bravura degli attori. La pellicola racconta la storia di Alex (Daniel Bruhl) giovane della Berlino Est del 1989 la cui madre, attivista socialista, cade in coma a seguito di un infarto. La donna rimane addormentata per otto mesi, durante i quali il muro crolla e il capitalismo occidentale invade la città.
Il medico è chiaro: anche un piccolissimo shock potrebbe esserle fatale; Alex allora con la complicità della sorella e degli amici organizza una perfetta messa in scena per far credere alla madre che nulla sia cambiato. La farsa è organizzata nei minimi dettagli: bellissima l’idea dei finti telegiornali, della ricerca disperata dei cibi dell’ex Repubblica socialista ormai introvabili e delle assurde storie inventate per nascondere la verità.
Il film presenta un argomento già ampiamente trattato, il crollo del muro di Berlino, ma lo fa in modo decisamente originale. Il regista ha saputo creare un’opera che si ispira al nuovo e al vecchio cinema, sottolineando le divisioni e le contraddizioni tra la vecchia e la nuova Berlino proprio attraverso le numerose citazioni: evidente è il tributo offerto al cinema di Kubrick, non a caso il protagonista si chiama “Alex” come il personaggio di “Arancia Meccanica” e l’attore stesso, Daniel Bruhl, ricorda nella fisionomia il grande Malcom McDowell. Un’altra citazione del film di Kubrick è la scena velocizzata in cui Alex e il suo amico spostano i mobili della stanza della madre con l’accompagnamento del “Guglielmo Tell” di Rossini. Inoltre ci sono accenni a “Una giornata particolare” di Scola – il grande evento storico emerge attraverso la vita dei protagonisti – e a “La vita è bella” di Benigni, in cui il protagonista nasconde al figlio la vera realtà, facendogli credere di vivere in un gioco: più o meno quello che Alex fa con la madre Christiane.
Diversi sono i temi toccati: lo smarrimento del popolo tedesco al momento del crollo dei propri ideali e la drammaticità del confronto con un mondo totalmente diverso dal proprio, i sentimenti provati dal giovane Alex di fronte alla tragedia familiare che lo colpisce. Proprio il mettere apparentemente in secondo piano l’evento storico, che emerge attraverso le vicende di una famiglia qualunque, rafforza l’impatto emotivo e la forza espressiva del racconto.
Alla fine, il protagonista crea un’illusione a cui sembra volersi attaccare disperatamente per raggiungere un’identità che sente di non avere, il socialismo è visto come ideale utopico realizzato soltanto nella finzione di un giovane: la scena quasi surreale, in cui la statua di Lenin sembra salutare Christiane come per dirle che tutto ciò in cui ha creduto era un sogno, riassume in chiave ironica e simbolica il tema principale del film. L’unica cosa reale è l’amore di un figlio per la propria madre, perché i grandi ideali rimangono spesso irraggiungibili, mentre il sentimento è la forza che spinge gli esseri umani ad andare avanti anche quando il mondo sembra aver voltato loro le spalle: prima di morire Christiane confessa che, se potesse, tornerebbe indietro per seguire il marito nella Berlino ovest, persino lei che sembrava la più convinta socialista della storia, ammette che di fronte al suo cuore ogni ideale, per quanto giusto, non significa nulla.
La realtà quindi non è chiara, distinta, semplice: ognuno può interpretarla secondo il proprio punto di vista nei confronti della storia e del mondo. Il regista ha quindi trasformato una vicenda familiare e un importante evento storico in una metafora della vita umana: i tempi cambiano, ma le inquietudini umane sono sempre le stesse. Questo film mi ha fatto riflettere e sorridere allo stesso tempo, cosa assai rara, e per questo credo che sia stato il migliore del corso, durante il quale è stato bello vedere tanti giovani come me interessati al cinema, in tempi in cui una televisione che non ci fa pensare regna sovrana.
La citazione: E' la mia miglior produzione. E' un peccato che tua madre sarà l'unica spettatrice...
La gioia che mi ha dato vedere delle immagini in movimento su un grande schermo è stata pari soltanto a quella che ha suscitato in me un’ altra scoperta “giovanile”, quella del gelato, ma questa è un’ altra storia.
Da allora in poi il cinema è stata la mia più grande passione: dai tre anni ai dieci ho arricchito la mia cultura cinematografica guardando tutti, ma proprio tutti i film di Walt Disney; non credo ci fosse al mondo un bambino più esperto di me in campo disneyano!
Poi sono passata ai veri e propri film, tutti quelli di Spielberg (l’idolo della mia gioventù) e di avventure come “Guerre stellari”, “Indiana Jones”, “Ritorno al futuro”. Infine, sono arrivata ad oggi e i miei gusti sono un po’ cambiati perché, anche se “la Sirenetta” rimane uno dei miei film più amati di sempre, nel frattempo ho scoperto Bergman, Kubrick, il neorealismo italiano, Allen…. Comunque non disdegno il cinema contemporaneo: mi fanno impazzire anche le megaproduzioni hollywoodiane, e mi tengo costantemente aggiornata, dato che in media vado al cinema due o tre volte alla settimana (a Cineland ormai mi conoscono tutti e credo che prima o poi mi dedicheranno una sala o qualcosa del genere dato che sono io che faccio prosperare la loro economia!).
Sono così appassionata di cinema che ho deciso di dedicare ad esso il mio percorso d’esame alla maturità.
Quindi è normale che quando sono venuta a conoscenza della possibilità di prendere parte ad un corso pomeridiano che permettesse di vedere dei film, mi ci sia buttata a capofitto. Questo ciclo di dieci film è stato il regalo più bello che la scuola potesse farmi!
Iniziative del genere dovrebbero essere più diffuse.
Alcuni film proposti a mio avviso, sono di ottima qualità, come “Il ritorno” e “Elephant”, carino “Caterina va in città”, gli altri meno interessanti e impegnati.
Sicuramente, il migliore è stato “Good Bye, Lenin!” del tedesco Wolfgang Becker.
Questa geniale e divertente commedia amara mi ha colpito particolarmente per il suo stile essenziale, la narrazione fresca e coinvolgente, l’umorismo pungente e la bravura degli attori. La pellicola racconta la storia di Alex (Daniel Bruhl) giovane della Berlino Est del 1989 la cui madre, attivista socialista, cade in coma a seguito di un infarto. La donna rimane addormentata per otto mesi, durante i quali il muro crolla e il capitalismo occidentale invade la città.
Il medico è chiaro: anche un piccolissimo shock potrebbe esserle fatale; Alex allora con la complicità della sorella e degli amici organizza una perfetta messa in scena per far credere alla madre che nulla sia cambiato. La farsa è organizzata nei minimi dettagli: bellissima l’idea dei finti telegiornali, della ricerca disperata dei cibi dell’ex Repubblica socialista ormai introvabili e delle assurde storie inventate per nascondere la verità.
Il film presenta un argomento già ampiamente trattato, il crollo del muro di Berlino, ma lo fa in modo decisamente originale. Il regista ha saputo creare un’opera che si ispira al nuovo e al vecchio cinema, sottolineando le divisioni e le contraddizioni tra la vecchia e la nuova Berlino proprio attraverso le numerose citazioni: evidente è il tributo offerto al cinema di Kubrick, non a caso il protagonista si chiama “Alex” come il personaggio di “Arancia Meccanica” e l’attore stesso, Daniel Bruhl, ricorda nella fisionomia il grande Malcom McDowell. Un’altra citazione del film di Kubrick è la scena velocizzata in cui Alex e il suo amico spostano i mobili della stanza della madre con l’accompagnamento del “Guglielmo Tell” di Rossini. Inoltre ci sono accenni a “Una giornata particolare” di Scola – il grande evento storico emerge attraverso la vita dei protagonisti – e a “La vita è bella” di Benigni, in cui il protagonista nasconde al figlio la vera realtà, facendogli credere di vivere in un gioco: più o meno quello che Alex fa con la madre Christiane.
Diversi sono i temi toccati: lo smarrimento del popolo tedesco al momento del crollo dei propri ideali e la drammaticità del confronto con un mondo totalmente diverso dal proprio, i sentimenti provati dal giovane Alex di fronte alla tragedia familiare che lo colpisce. Proprio il mettere apparentemente in secondo piano l’evento storico, che emerge attraverso le vicende di una famiglia qualunque, rafforza l’impatto emotivo e la forza espressiva del racconto.
Alla fine, il protagonista crea un’illusione a cui sembra volersi attaccare disperatamente per raggiungere un’identità che sente di non avere, il socialismo è visto come ideale utopico realizzato soltanto nella finzione di un giovane: la scena quasi surreale, in cui la statua di Lenin sembra salutare Christiane come per dirle che tutto ciò in cui ha creduto era un sogno, riassume in chiave ironica e simbolica il tema principale del film. L’unica cosa reale è l’amore di un figlio per la propria madre, perché i grandi ideali rimangono spesso irraggiungibili, mentre il sentimento è la forza che spinge gli esseri umani ad andare avanti anche quando il mondo sembra aver voltato loro le spalle: prima di morire Christiane confessa che, se potesse, tornerebbe indietro per seguire il marito nella Berlino ovest, persino lei che sembrava la più convinta socialista della storia, ammette che di fronte al suo cuore ogni ideale, per quanto giusto, non significa nulla.
La realtà quindi non è chiara, distinta, semplice: ognuno può interpretarla secondo il proprio punto di vista nei confronti della storia e del mondo. Il regista ha quindi trasformato una vicenda familiare e un importante evento storico in una metafora della vita umana: i tempi cambiano, ma le inquietudini umane sono sempre le stesse. Questo film mi ha fatto riflettere e sorridere allo stesso tempo, cosa assai rara, e per questo credo che sia stato il migliore del corso, durante il quale è stato bello vedere tanti giovani come me interessati al cinema, in tempi in cui una televisione che non ci fa pensare regna sovrana.
La citazione: E' la mia miglior produzione. E' un peccato che tua madre sarà l'unica spettatrice...
Bel film....quando è uscito stavo proprio a Berlino in gita...
RispondiEliminaOvviamente però l'ho visto in italiano dopo....!!! ;-)