Prendete l’idea usata in “The Blair witch Project”: ripresa di una storia con macchina a mano secondo la prospettiva dei protagonisti.
Aggiungete gli appartamenti fighetti di Manhattan con vista su Central Park e i loro inquilini ancora più fighetti.
Aggiungete ancora un mostro venuto da non si sa dove ma molto, molto arrabbiato.
Completate il tutto con il nome di J.J. Abrams sui poster e avrete il cocktail “Cloverfield”.
Il gusto?
Così così.
Si potrebbe pensare che in realtà Cloverfield comunichi un messaggio molto profondo e faccia un’analisi importante della società moderna: possibile che oggi per essere presi sul serio si debba mostrare le prove di quello che si vive?
Possibile che davanti a qualsiasi situazione - sesso, litigi tra amanti, morte, testa mozzata della Statua della Libertà e perfino mostri feroci venuti da chissà dove – non si riesca a fare altro se non foto e video da mettere poi su internet?
Siamo diventati dunque un popolo di maniaci del gossip, guardoni, smanettoni di internet e teledipendenti?
Forse si.
Ma Cloverfield non è certo il Catone di questo sistema, anzi, è un prodotto furbetto confezionato ad hoc per cavalcare l’onda del successo di reality show e affini.
Ad una grande fetta della popolazione piace sguazzare nelle catastrofi, in programmi tv di quarta categoria e soprattutto si bea nello spiare la vita degli altri: il film, prodotto da J.J. Abrams, papà di Lost e mago della suspence, offre al pubblico tutto questo con in più una spruzzata di adrenalina.
Ma, se si è dotati di un minimo di spirito critico, si capisce subito che il prodotto, nonostante abbia un buon ritmo, non è altro che una bieca operazione commerciale imposta all'attenzione di tutti da una delle campagne pubblicitarie più intelligenti degli ultimi anni.
Un film che sa tanto di pranzo al fast-food: precotte sono le idee e gli effetti speciali.
E siccome il fast-food rende tanto è già in cantiere un sequel.
Non fatevi “abbabbiare”.
La citazione: "Mangia le persone!"
Voto: ♥1/2
Aggiungete gli appartamenti fighetti di Manhattan con vista su Central Park e i loro inquilini ancora più fighetti.
Aggiungete ancora un mostro venuto da non si sa dove ma molto, molto arrabbiato.
Completate il tutto con il nome di J.J. Abrams sui poster e avrete il cocktail “Cloverfield”.
Il gusto?
Così così.
Si potrebbe pensare che in realtà Cloverfield comunichi un messaggio molto profondo e faccia un’analisi importante della società moderna: possibile che oggi per essere presi sul serio si debba mostrare le prove di quello che si vive?
Possibile che davanti a qualsiasi situazione - sesso, litigi tra amanti, morte, testa mozzata della Statua della Libertà e perfino mostri feroci venuti da chissà dove – non si riesca a fare altro se non foto e video da mettere poi su internet?
Siamo diventati dunque un popolo di maniaci del gossip, guardoni, smanettoni di internet e teledipendenti?
Forse si.
Ma Cloverfield non è certo il Catone di questo sistema, anzi, è un prodotto furbetto confezionato ad hoc per cavalcare l’onda del successo di reality show e affini.
Ad una grande fetta della popolazione piace sguazzare nelle catastrofi, in programmi tv di quarta categoria e soprattutto si bea nello spiare la vita degli altri: il film, prodotto da J.J. Abrams, papà di Lost e mago della suspence, offre al pubblico tutto questo con in più una spruzzata di adrenalina.
Ma, se si è dotati di un minimo di spirito critico, si capisce subito che il prodotto, nonostante abbia un buon ritmo, non è altro che una bieca operazione commerciale imposta all'attenzione di tutti da una delle campagne pubblicitarie più intelligenti degli ultimi anni.
Un film che sa tanto di pranzo al fast-food: precotte sono le idee e gli effetti speciali.
E siccome il fast-food rende tanto è già in cantiere un sequel.
Non fatevi “abbabbiare”.
La citazione: "Mangia le persone!"
Voto: ♥1/2
axValentina: sos una mina muy linda. Tus ojos son bellísimos.
RispondiEliminaAncora tenés un comment.
Un saludo desde Argentina.
GORRIÓN PYS