L’attore americano presenta il libro fotografico “Full Metal Jacket Diary” al Festival Internazionale del Film di Roma nell’ambito della mostra “Full Metal Jacket Diary Redux”
Matthew Modine, foto di Alessio Trerotoli
Sono passati 25 anni da quando uno dei capolavori più amati di Stanley Kubrick è uscito nelle sale cinematografiche: la guerra del Vietnam, i discorsi del sergente Hartman, la tortura psicologica di Palla di Lardo, l’addestramento militare, i cori, tutto è diventato iconico, soprattutto lui, il protagonista, il marine Joker, interpretato da un allora semi sconosciuto Matthew Modine, diventato poi, grazie all’effetto Kubrick, una stella del cinema.
Da allora Modine ne ha fatta di strada, lavorando con alcuni dei più grandi registi contemporanei, da Robert Altman a Abel Ferrara, fino all’ultimo capitolo della trilogia di Batman firmata da Christopher Nolan, ma il ruolo a cui la sua immagine è rimasta più legata è proprio quella del marine Joker, testimone dapprima smarrito e poi consapevole della follia della guerra e della natura umana.
Durante i due anni di lavorazione del film, l’attore e produttore Modine ha tenuto un diario e scattato foto: da questo lavoro nasce ora il libro “Full Metal Jacket Diary”, raccolta fotografica dell’esperienza sul set, presentato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma nell’ambito della mostra fotografica “Full Metal Jacket Diary Redux”. Il libro è stato presentato al Festival in occasione del 25esimo anniversario di Full Metal Jacket, che sarà proiettato l’undici novembre, in versione restaurata, insieme al documentario Full Metal Joker di Emiliano Montanari, dedicato al personaggio interpretato da Modine.
Durante l’inaugurazione della mostra, accessibile gratuitamente all’interno dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, Modine ha rivelato alcuni dettagli del suo rapporto con Stanley Kubrick sotto gli occhi orgogliosi di Marco Müller, direttore del Festival, e quelli complici di Emilio D’Alessandro, assistente personale di Kubrick per 30 anni, autore del libro Stanley Kubrick e me, divenuto amico dell’attore durante la lavorazione del film. «Ho sempre tenuto un diario: è stata mia nonna a spingermi a farlo. Il mio rapporto con le foto invece è nato in maniera del tutto casuale: dovevo fare il provino per il film di Kubrick e un mio amico mi suggerì di procurarmi una macchina fotografica e cominciare a fare foto, così avrei avuto qualcosa di cui parlare con lui» ha rivelato l’attore che, come molti all’epoca, viveva nella leggenda di “Stanley Kubrick il regista impossibile”: «Kubrick era una leggenda, una figura quasi misteriosa, tutti avevano soggezione di lui. In realtà poi ho scoperto che era una persona gentilissima, un uomo che amava sopra ogni cosa fare film». Lo stratagemma delle foto funzionò, Modine ottenne la parte, ma Kubrick non si smentì: «Mi disse: ma cos’è questa schifezza che usi per fare le foto? Devi comprarti una macchina migliore, una Milolta! Io invece da dislessico della fotografia mi trovo meglio con una Rolleiflex». Il rapporto tra i due ha segnato profondamente Modine: «Tutto serve per imparare, ogni ruolo lascia un segno. Ancora adesso sto imparando, ma l’esperienza con Kubrick mi ha colpito particolarmente».
La mostra fotografica sarà accessibile fino al prossimo 17 novembre, ultimo giorno del Festival, mentre sarà possibile vedere il film in versione restaurata e il documentario nei giorni 11, 14 e 16 novembre nella sala Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica.
Pubblicato su Trovacinema.
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