Italians do it later.
Con appena quattro anni di ritardo, il film d'esordio di Steve McQueen è uscito anche nella penisola italica. Meglio tardi che mai.
Fatta questa per nulla polemica premessa, ma per nulla eh, parliamo dell'oggetto in questione: siamo in Irlanda, a cavallo tra gli anni '70 e gli '80, nel carcere di Maze.
Qui i detenuti dell'IRA per vedersi riconosciuto lo status di prigionieri politici da parte del governo inglese mettono in atto uno sciopero dell'igiene prima e uno sciopero della fame poi, suggerito e portato avanti in prima persona da Bobby Sands (Michael Fassbender).
Mi immagino la diffidenza di chi ha visto il film di McQueen conoscendo solo il suo lavoro da video-artista: il solito artistoide fighetto che vuole darsi un tono al cinema inscenando un episodio politico che ha fatto scalpore, avranno pensato.
Ah che brutta cosa i pregiudizi.
Certo, noi abbiamo visto prima Shame e quindi già sapevamo del grande talento del regista inglese, però effettivamente l'opera prima di McQueen è sorprendente e sconvolgente: con una scelta stilistica davvero perfetta ed originale, il buon Steve introduce il suo protagonista solo a film ampiamente inoltrato, mostrandocelo come uno dei tanti prigionieri che ha deciso di dedicare la sua vita e ogni fibra del suo corpo alla causa in cui crede.
La violenza, il dolore, la sporcizia, la disperazione, tutto è mostrato senza censure ma mai in maniera gratuita. Attraverso la sofferenza della carne, McQueen trascende la corporeità per fare un discorso più ampio e quasi astratto. Non si parla di politica in senso stretto, l'episodio infatti è solo un pretesto per mettere in scena un viaggio fisico e soprattutto spirituale di un uomo che dentro di sé ha immensi pensieri ed ideali ma che è fisicamente costretto in una cella minuscola.
Tutto il contrario del protagonista di Shame, che invece è ritratto in una città enorme come New York, ha infinite possibilità, ma che invece è prigioniero del suo corpo, che usa per non pensare all'enorme vuoto che lo divora da dentro.
Due facce opposte della stessa medaglia, che non a caso hanno entrambe il volto di Michael Fassbender.
Un Fassbender dalla bravura quasi esagerata, che recita con ogni centimetro del suo corpo, che si dona generosamente e senza vergogna all'occhio di un regista che fa del suo corpo arte e narrazione.
McQueen conferma il suo grande talento visivo, giocando con i chiaro-scuri, aiutato anche da una fotografia splendida, con le soluzioni narrative e regalandoci un piano-sequenza di venti minuti che è già storia. Il lungo dialogo tra Bobby Sands e il prete, interpretato dal caratterista irlandese Liam Cunningham, è infatti il cuore del film, in cui la fisicità lascia spazio alla parola. Parola che a sua volta prepara ad uno dei finali più belli ed emozionanti visti negli ultimi anni: consumato dal digiuno e dalla sua stessa determinazione, Bobby Sands si lascia morire, ed insieme al decadimento del corpo assistiamo alla dipartita del suo spirito, simboleggiata da ricordi del protagonista, frammenti di immagini che creano una sequenza metafisica e quasi astratta, emozionando senza un briciolo di retorica.
Una vera perla da recuperare assolutamente e che ha rivelato il talento di un regista che entra di diritto nella ristretta rosa dei grandi autori contemporanei.
Con appena quattro anni di ritardo, il film d'esordio di Steve McQueen è uscito anche nella penisola italica. Meglio tardi che mai.
Fatta questa per nulla polemica premessa, ma per nulla eh, parliamo dell'oggetto in questione: siamo in Irlanda, a cavallo tra gli anni '70 e gli '80, nel carcere di Maze.
Qui i detenuti dell'IRA per vedersi riconosciuto lo status di prigionieri politici da parte del governo inglese mettono in atto uno sciopero dell'igiene prima e uno sciopero della fame poi, suggerito e portato avanti in prima persona da Bobby Sands (Michael Fassbender).
Mi immagino la diffidenza di chi ha visto il film di McQueen conoscendo solo il suo lavoro da video-artista: il solito artistoide fighetto che vuole darsi un tono al cinema inscenando un episodio politico che ha fatto scalpore, avranno pensato.
Ah che brutta cosa i pregiudizi.
Certo, noi abbiamo visto prima Shame e quindi già sapevamo del grande talento del regista inglese, però effettivamente l'opera prima di McQueen è sorprendente e sconvolgente: con una scelta stilistica davvero perfetta ed originale, il buon Steve introduce il suo protagonista solo a film ampiamente inoltrato, mostrandocelo come uno dei tanti prigionieri che ha deciso di dedicare la sua vita e ogni fibra del suo corpo alla causa in cui crede.
La violenza, il dolore, la sporcizia, la disperazione, tutto è mostrato senza censure ma mai in maniera gratuita. Attraverso la sofferenza della carne, McQueen trascende la corporeità per fare un discorso più ampio e quasi astratto. Non si parla di politica in senso stretto, l'episodio infatti è solo un pretesto per mettere in scena un viaggio fisico e soprattutto spirituale di un uomo che dentro di sé ha immensi pensieri ed ideali ma che è fisicamente costretto in una cella minuscola.
Tutto il contrario del protagonista di Shame, che invece è ritratto in una città enorme come New York, ha infinite possibilità, ma che invece è prigioniero del suo corpo, che usa per non pensare all'enorme vuoto che lo divora da dentro.
Due facce opposte della stessa medaglia, che non a caso hanno entrambe il volto di Michael Fassbender.
Un Fassbender dalla bravura quasi esagerata, che recita con ogni centimetro del suo corpo, che si dona generosamente e senza vergogna all'occhio di un regista che fa del suo corpo arte e narrazione.
McQueen conferma il suo grande talento visivo, giocando con i chiaro-scuri, aiutato anche da una fotografia splendida, con le soluzioni narrative e regalandoci un piano-sequenza di venti minuti che è già storia. Il lungo dialogo tra Bobby Sands e il prete, interpretato dal caratterista irlandese Liam Cunningham, è infatti il cuore del film, in cui la fisicità lascia spazio alla parola. Parola che a sua volta prepara ad uno dei finali più belli ed emozionanti visti negli ultimi anni: consumato dal digiuno e dalla sua stessa determinazione, Bobby Sands si lascia morire, ed insieme al decadimento del corpo assistiamo alla dipartita del suo spirito, simboleggiata da ricordi del protagonista, frammenti di immagini che creano una sequenza metafisica e quasi astratta, emozionando senza un briciolo di retorica.
Una vera perla da recuperare assolutamente e che ha rivelato il talento di un regista che entra di diritto nella ristretta rosa dei grandi autori contemporanei.
Michael Fassbender e Liam Cunningham
La citazione: "Mettere in gioco la mia vita non è solo l'unica cosa che posso fare: è la cosa giusta".
Hearting/Cuorometro: ♥♥♥♥
Titolo originale: Hunger
Regia: Steve McQueen
Anno: 2008
Cast: Michael Fassbender, Stuart Graham, Brian Milligan, Liam McMahon, Karen Hassan
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