Moltissimi film ci hanno mostrato l'orrore della guerra.
Il terrore che attanaglia chi stringe un fucile in mano e viene bombardato dal fuoco nemico, la folle lotta per la sopravvivenza, la paura prima della battaglia e il dolore per la perdita di amici sul fronte.
Molti ci hanno mostrato la strategia, altri le cause della guerra, altri ancora hanno sottolineato l'inconsistenza di quelle cause.
Pochi, pochissimi invece ci hanno mostrato quello che succede dopo.
Il cambiamento delle vite di chi è sopravvissuto, di chi ha cicatrici indelebili sul corpo e nello spirito: l'incubo di essere tornati da un infermo che ha inghiottito amici e compagni. Le terribili immagini di corpi mutilati, carne e sangue sacrificati in nome di ideali che di fronte alla morte e alla sofferenza non sembrano più così nobili, albergano indelebili la mente di chi le ha vissute in prima persona. E soprattutto, il dolore di chi ha aspettato e continua ad aspettare invano il ritorno di mariti, figli, fratelli: le famiglie, il loro dolore, la loro angoscia silenziosa e lontana.
Proprio questo intricato groviglio di emozioni e dolore deve affrontare Will Montgomery, reduce di guerra decorato, che ha il compito di avvertire le famiglie dei caduti.
Insieme a lui nel gravoso compito il più anziano collega Stuart Dorsett, che fin dal primo giorno avverte Will: non bisogna farsi coinvolgere.
Ma di fronte a tanto dolore, e alle sue multiformi esternazioni, è difficile rimanere di ghiaccio.
Tanto più che la vita privata di entrambi i militari è un disastro. Ossessionati dai propri personali fantasmi, i due uomini reagiscono alle difficoltà della vita in modo opposto: Will si tiene tutto dentro, si sente responsabile per qualsiasi cosa, cerca di aiutare a modo suo il prossimo anche se non lascia entrare nessuno nel suo mondo. Il suo appartamento spoglio e impersonale dà l'idea del suo senso di vuoto, del suo smarrimento di fronte alla precarietà della vita. Will non riesce ad aprirsi, ad esprimersi: la musica che ascolta, rock metal chiassoso e aggressivo, parla per lui.
Stuart invece afferra a piene mani ogni possibilità di attaccamento alla vita: abborda sconosciute, beve e mangia con avidità, cerca di divertirsi e distrarsi in ogni modo.
Alla fine, piano piano, anche grazie al cameratismo che si crea fra loro, i due riusciranno a riconciliarsi con la vita.
Woody Harrelson
Uno spunto originale per l'opera prima di Oren Moverman: la guerra vista attraverso gli occhi di chi rimane a casa è l'idea vincente per mostrare le conseguenze della guerra a livello capillare. Spesso si pensa alla guerra come ad una cosa lontana da noi ed invece ci riguarda molto più di quanto non crediamo. Un argomento del genere è estremamente delicato ma Moverman racconta il dolore con grande pudore: la sua regia misurata, la bella fotografia, e i suggestivi primi piani ci portano dritti dentro alle storie dei vari personaggi. Woody Harrelson, candidato all'Oscar per il ruolo del comandante Stuart, costruisce con cura il suo personaggio e Ben Foster, per la prima volta in un ruolo da protagonista, rivela ottime capacità. Bravissimi, anche se con poche scene a disposizione, la vedova Samantha Morton e il padre Steve Buscemi.
Anche se non privo di qualche ingenuità come i dialoghi poco originali e qualche momento di stanchezza qua e là, il film è un'ottima opera prima e ci fa ben sperare per il prossimo impegno di Moverman.
La citazione: "Prima di tutto: gli uomini non chiedono informazioni. Tanto meno i soldati!"
Uscita italiana: 16 aprile 2010
Voto: ♥♥♥
Pubblicato su Cinema4stelle.it
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