Esiste un amore più forte di quello tra padre e figlio?
E può un amore così grande essere sbagliato?
Non esiste un tipo di amore sbagliato, ma solo un modo sbagliato di amare.
Rino Zena (Filippo Timi) è un lavoratore precario del Friuli che deve crescere da solo il figlio quattordicenne Cristiano (Alvaro Caleca). Neonazista, violento e con una visione tutta personale del significato di libertà e amor di patria, Rino insegna al figlio che l’unico modo per sopravvivere è la violenza e che per quelli come loro la libertà è rappresentata da una pistola.
Insieme ai due c’è Quattro Formaggi (Elio Germano), un operaio divenuto malato di mente in seguito ad un incidente sul lavoro, che vive in estrema solitudine in un suo mondo infantile rappresentato da un gigantesco presepe.
Abbandonati al loro destino dallo Stato e dai ceti sociali più elevati, che provano per loro un misto di paura e disprezzo, controllati da un assistente sociale piuttosto superficiale (Fabio De Luigi), Rino e Cristiano si vedono coinvolti in un dramma che sfocia nel sangue, che rivela il marcio nascosto nelle persone apparentemente più insospettabili.
Non esiste un tipo di amore sbagliato, ma solo un modo sbagliato di amare.
Rino Zena (Filippo Timi) è un lavoratore precario del Friuli che deve crescere da solo il figlio quattordicenne Cristiano (Alvaro Caleca). Neonazista, violento e con una visione tutta personale del significato di libertà e amor di patria, Rino insegna al figlio che l’unico modo per sopravvivere è la violenza e che per quelli come loro la libertà è rappresentata da una pistola.
Insieme ai due c’è Quattro Formaggi (Elio Germano), un operaio divenuto malato di mente in seguito ad un incidente sul lavoro, che vive in estrema solitudine in un suo mondo infantile rappresentato da un gigantesco presepe.
Abbandonati al loro destino dallo Stato e dai ceti sociali più elevati, che provano per loro un misto di paura e disprezzo, controllati da un assistente sociale piuttosto superficiale (Fabio De Luigi), Rino e Cristiano si vedono coinvolti in un dramma che sfocia nel sangue, che rivela il marcio nascosto nelle persone apparentemente più insospettabili.
Dopo “Io non ho paura”, Salvatores torna a lavorare con lo scrittore Niccolò Ammaniti, trasportando sullo schermo il suo omonimo romanzo vincitore del Premio Strega 2007.
Riducendo all’osso la trama del libro, troppo complessa e ricca di personaggi per poterne fare un film, il regista punta tutta l’attenzione su questo rapporto padre-figlio così pieno d’amore nonostante la violenza dello stile di vita dei personaggi.
Paradossalmente, Rino è molto più presente come padre di quei genitori più ricchi e istruiti appartenenti ad un ceto sociale superiore; per questo, nonostante la violenza che lo contraddistingue, non si può non provare tenerezza di fronte ad un rapporto così forte e sincero. D’altra parte personaggi come Rino e Quattro Formaggi sono il risultato di quell’odio che nasce dall’indifferenza generale, odio di cui si fanno complici non solo i politici e le istituzioni, ma anche tutte le persone “per bene” che li additano come mostri lasciandoli al loro destino.
Riducendo all’osso la trama del libro, troppo complessa e ricca di personaggi per poterne fare un film, il regista punta tutta l’attenzione su questo rapporto padre-figlio così pieno d’amore nonostante la violenza dello stile di vita dei personaggi.
Paradossalmente, Rino è molto più presente come padre di quei genitori più ricchi e istruiti appartenenti ad un ceto sociale superiore; per questo, nonostante la violenza che lo contraddistingue, non si può non provare tenerezza di fronte ad un rapporto così forte e sincero. D’altra parte personaggi come Rino e Quattro Formaggi sono il risultato di quell’odio che nasce dall’indifferenza generale, odio di cui si fanno complici non solo i politici e le istituzioni, ma anche tutte le persone “per bene” che li additano come mostri lasciandoli al loro destino.
Testimone silente e dura è una natura mai così matrigna sullo schermo, che con la sua pioggia incessante e violenta non purifica i suoi figli ma li trascina ancora di più nel vortice del peccato, oscurando e infangando ogni briciola di umanità rimasta.
Un film duro e dal forte impatto emotivo, costruito come una tragedia greca: diviso in tre momenti – presentazione dei personaggi, disgrazia ed epilogo – la pellicola perde un po’ di mordente nella parte centrale e nel finale, soprattutto per problemi di sceneggiatura, ma conserva quel senso di disperazione e oppressione simboleggiato dalla perdita di fede in un Dio che sembra assente e troppo lontano dalle miserie umane.
Grandissima prova d’attore per Filippo Timi, finalmente in un ruolo da protagonista, e ottimo esordio per il giovane Alvaro Caleca, che ha occhi che bucano lo schermo. Troppo sopra le righe invece Elio Germano, che nel ruolo del malato di mente ha esagerato risultando spesso fastidioso, e non adatto alla parte Fabio De Luigi, che non è riuscito a scrollarsi di dosso la sua inconfondibile maschera di attore comico.
Nonostante questi difetti, ne esce fuori una pellicola molto interessante, dura e anticonformista, accompagnata da una colonna sonora perfetta e girata con grande maestria da Salvatores, che con la macchina a mano segue i suoi personaggi da vicino senza però stargli addosso o giudicarli. Mostrando che spesso la cattiveria nasce dalla mancanza di una figura femminile: che sia simboleggiata da una madre, un’amante o una figlia, senza la tenerezza - che spesso le donne sono più inclini a donare - l’umanità delle persone fa fatica ad emergere.
Un film duro e dal forte impatto emotivo, costruito come una tragedia greca: diviso in tre momenti – presentazione dei personaggi, disgrazia ed epilogo – la pellicola perde un po’ di mordente nella parte centrale e nel finale, soprattutto per problemi di sceneggiatura, ma conserva quel senso di disperazione e oppressione simboleggiato dalla perdita di fede in un Dio che sembra assente e troppo lontano dalle miserie umane.
Grandissima prova d’attore per Filippo Timi, finalmente in un ruolo da protagonista, e ottimo esordio per il giovane Alvaro Caleca, che ha occhi che bucano lo schermo. Troppo sopra le righe invece Elio Germano, che nel ruolo del malato di mente ha esagerato risultando spesso fastidioso, e non adatto alla parte Fabio De Luigi, che non è riuscito a scrollarsi di dosso la sua inconfondibile maschera di attore comico.
Nonostante questi difetti, ne esce fuori una pellicola molto interessante, dura e anticonformista, accompagnata da una colonna sonora perfetta e girata con grande maestria da Salvatores, che con la macchina a mano segue i suoi personaggi da vicino senza però stargli addosso o giudicarli. Mostrando che spesso la cattiveria nasce dalla mancanza di una figura femminile: che sia simboleggiata da una madre, un’amante o una figlia, senza la tenerezza - che spesso le donne sono più inclini a donare - l’umanità delle persone fa fatica ad emergere.
Voto: ♥♥♥
Uscita italiana: 12 dicembre 2008
Pubblicato su Meltin'Pot.
Mi piace Salvatore, mi piace Germano e mi piace Timi, oltre ovviamente a piacermi pure Ammaniti. Come posso perdermelo?
RispondiEliminaAle55andra
finalmente un'altra persona a cui non è piaciuto germano. brava vale :)
RispondiEliminaSu Germano effettivamente troppo, troppo sopra, per il resto finalmente un film che sputa in faccia all'ipocrisia buonista tanto di moda nel cinema, grande film, ....grande blog complimenti, ciao Sandro
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