Steve Buscemi è un mito.
Protagonista di pellicole indimenticabili, come “Mystery Train” di Jim Jarmush o “Le Iene” di Quentin Tarantino, sa dare ad ogni personaggio un’impronta personalissima e unica, che affascina da decenni gli appassionati di cinema.
Al Politecnico Fandango, a Roma, l’attore ha presentato la sua ultima fatica da attore-regista: “Interview”, in cui recita al fianco della splendida Sienna Miller.
L’attore si è concesso generosamente alla stampa, dimostrando una tranquillità e una pacatezza che sono lontane mille miglia dai personaggi psicopatici, assassini o al limite della realtà che spesso interpreta.
Ecco come ha risposto alle domande della stampa.
D: La sua sua carriera è stata particolare. Prima di fare l’attore è vero che è stato pompiere?
S.B.: Negli anni ’80 cercavo di fare teatro e per sbarcare il lunario ho fatto vari mestieri tra cui il cameriere e il pompiere. In quegli anni scrivevo testi insieme al mio amico Mark Boone. Rappresentando queste cose che scrivevamo ho incontrato gente come Jim Jarmush, che allora era solo agli inizi.
D: Le migliori interviste sono quelle in cui ci si trova in difficoltà?
S.B.: Davanti a tanti giornalisti non sono incentivato ad essere critico sui media. Nel film ero più interessato al personaggio, non a criticare lo star system, questo non mi interessa, ho incentrato l’attenzione sul rapporto che si instaura tra i due personaggi. Un rapporto che nel giro di poche ore porta i personaggi a condividere le esperienze di tutta una vita.
D: Robert De Niro dice che gli altri attori si fidano di più di lui come regista perché anche lui è attore. Sienna Miller come si è trovata a girare con lei?
S.B.: Non fidatevi mai di un attore! Da attore capisco e do una mano agli attori, valuto le loro idee, perciò credo che Sienna si sia fidata di me. Avevamo nove giorni per girare il film e abbiamo provato per dieci giorni prima delle riprese e questo ha dato sicurezza a entrambi.
Non necessariamente gli attori fanno buoni film da registi, ma non si può mai dire perché uno dei miei registi preferiti è Cassavetes, che era anche un attore.
D: Come si è trovato a lavorare con la troupe di Van Gogh? E non pensa che questo modo di girare sia proprio delle serie tv?
S.B.: Van Gogh girò il film con tre telecamere e in sequenza; lui amava girare prima i primi piani, cosa che in America si fa per ultima per far abituare l’attore, così siamo stati liberi di improvvisare. Era come fare una commedia perché la performance veniva sempre ripresa.
Le serie tv usano più telecamere ma il modo di girare è più simile al cinema.
D: Tra i vari registi che ha citato non parla di Mamet. Si è ispirato a lui per questo film? E la musica che importanza ha per lei in un film?
S.B.: Non so se Van Gogh fosse ispirato da Memet. Io non pensavo a lui mentre facevo il film.
La musica per me è importante, ma spesso è l’assenza della musica a essere fondamentale.
A me non piace che la musica in un film mi dica come mi devo sentire.
D: Questo è il primo omaggio a Van Gogh di cui sento. Lei ha avuto il coraggio di fare un omaggio a un regista ucciso in quel modo per i film che faceva.
S.B.: Non vedo il pericolo nel rifare un suo film, non sto diffondendo le sue idee. Fare il film nel miglior modo possibile è il mio modo di omaggiarlo.
D: Voleva puntare il dito contro chi ha la responsabilità del modo in cui oggi si fa informazione?
S.B.: Oggi ci sono costantemente shows di notizie, ma credo che ci siano anche perché c’è molta gente che ha interesse per queste cose, basta guardare le notizie sulla nostra campagna elettorale, bisogna arrivare così fino a novembre! Sono sorpreso di quanti show ci siano sulle celebrità, a me non piace fare parte del mondo delle celebrità, ormai l’ho accettato, ma io ho fatto la scelta di non guardare la tv, anche se ogni tanto guardo queste cose: a meno che non sia roba su di me!
D: Le è capitato di subire un’intervista particolare, come nel film?
S.B.: No, niente di simile al film. La cosa più strana che mi è accaduta è stata quando stavo facendo un’intervista telefonica e il giornalista nell’articolo scrisse che l’incontro era avvenuto in un bar e che a un certo punto poi era arrivato Tim Roth. Mi ricordai che in un’intervista che avevo fatto precedentemente c’era anche Tim Roth. Il giornalista impepò l’articolo con una vecchia intervista. Forse pensava che quella che avevamo fatto per telefono non fosse così interessante.
Ma sono sicuro che con voi questa cosa non accadrà!
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