Dopo la scomparsa di registi che hanno fatto la storia del cinema come Bergmann e Antonioni e la morte prematura di giovani divi come Brad Renfro e Heath Ledger, Hollywood è stata messa nuovamente a dura prova perdendo uno dei suoi re Mida: Anthony Minghella.
Il regista inglese, di origini scozzesi e italiane, si è spento lo scorso 18 marzo durante un’operazione chirurgica, che prevedeva la rimozione di un tumore alla gola, a 54 anni.
Nato il 6 gennaio del 1954 a Ryde, in Gran Bretagna, Minghella frequenta l’Università di Hull dove per un breve periodo fa il professore. Capito che la sua grande passione sono la musica e la scrittura, Minghella comincia a scrivere commedie teatrali, che presto vengono rappresentate.
I riconoscimenti non si fanno attendere e nel 1984 vince il London Theater Critics Award come miglior scrittore emergente di commedie e nel 1986 il premio come Miglior Commedia per la sua opera “Made in Bangkok”.
Presto il mondo del teatro comincia a stargli stretto e così nel 1991 esordisce al cinema con il film “Il fantasma innamorato”, in cui un uomo morto prematuramente (Alan Rickman) torna a far visita alla sua fidanzata da fantasma, finendo per esasperarla. Al 1993 risale la sua seconda pellicola “Mister Wonderful”, in cui un elettricista squattrinato (Matt Dillon), non riuscendo a pagare gli alimenti alla ex moglie, decide di trovare un nuovo marito all’ex compagna, tra i pretendenti c’è anche un professore interpretato dal grande William Hurt.
Queste prime due fatiche di Minghella non accolgono il favore né della critica né del pubblico e il regista sembra destinato a rimanere bloccato nel ruolo di scrittore di commediole leggere e simpatiche ma nulla più.
Ma nel 1996 succede l’incredibile: con il suo terzo film, tratto dal romanzo di Michael Ondaatje, “Il paziente inglese”, Minghella ottiene un successo enorme. Il pubblico si appassiona e si commuove per la tormentata storia del moribondo soldato Laszlo de Almasy (interpretato da Ralph Phiennes) accudito dall’infermiera Hana (Juliette Binoche), al punto che perfino il presidente degli Stati Uniti allora in carica, Bill Clinton, dichiara che è il miglior film dell’anno e perfino l’Academy Award non rimane insensibile alla pellicola dandogli ben dodici nomination. Il film vince ben nove Oscar: Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attrice Non Protagonista per la Binoche, Fotografia, Scenografia, Costumi, Montaggio, Colonna Sonora e Sonoro. Una vera pioggia d’oro ricopre il regista inglese che a questo punto ha carta bianca per qualsiasi progetto.
Il film successivo, del 1999, è l’inquietante “Il talento di Mister Ripley”, rifacimento di “Delitto in pieno sole” e tratto dal romanzo di Patricia Highsmith, che vanta un cast di giovani attori che di lì a poco diventeranno grandissime star: Jude Law, Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Cate Blanchett, Philip Seymour Hoffman. Essendo ambientato in Italia, il film ha permesso ad alcuni nostri attori, come Fiorello, in una fantastica interpretazione di “Tu vuò fa l’americano”, Stefania Rocca e Sergio Rubini, di farsi conoscere a Hollywood. L’opera destabilizza critica e pubblico: l’efferatezza dei delitti di Ripley e l’ambiguità sessuale che pervade tutta la pellicola non convincono appieno gli spettatori.
L’anno successivo Minghella mescola il teatro con il cinema, girando il cortometraggio di 16 minuti “Play”, tratto da un lavoro di Beckett, e come interpreti sceglie Alan Rickman e Kristin Scott Thomas. Per il film successivo bisogna aspettare “Ritorno a Cold Moutain” del 2003: altro kolossal, altro dramma romantico sullo sfondo di una guerra e di nuovo Jude Law come protagonista. Ad affiancare il bell’attore inglese questa volta ci sono Nicole Kidman e Renee Zelwegger e il film riporta Minghella ai fasti del “Paziente Inglese” dato che ottiene sette nomination agli Oscar. Questa volta però l’Academy concede all’opera del regista una sola statuetta vinta dalla Zelwegger come Miglior Attrice Non Protagonista.
Nel 2006 realizza “Complicità e sospetti”, da lui anche scritto, con protagonisti i suoi attori feticcio Jude Law e Juliette Binoche, ambientato in una Londra fredda e malinconica, ma il film viene stroncato sia dalla critica che dal pubblico.
Nel 2007 prende parte come attore a “Espiazione”: in un cameo di lusso, il regista interpreta il giornalista che intervista Briony Tallis, alias Vanessa Redgrave, alla fine del film.
In quest’ultimo anno stava lavorando contemporaneamente a tre progetti: il film “The N. 1 Ladies detective agency”, singolare storia della prima agenzia investigativa fondata da donne in Botswana, “New York, I love you”, film a episodi per celebrare la Grande Mela, e “The Ninth Life of Louis Drax” che stava ancora scrivendo, annunciato come il seguito di “Complicità e sospetti”.
Minghella ha avuto una carriera breve ma letteralmente ricoperta d’oro, forse troppo, visto che nei suoi film i personaggi e le situazioni sono spesso stereotipati, che la sua regia è troppo di maniera e che il regista aveva l’ossessione del bello a tutti costi: persone, oggetti, luoghi, tutto era sempre perfetto e bellissimo, situazione ben lontana dalla realtà e per nulla affascinante o interessante.
Nonostante questo è stato un regista in grado di far emozionare e sognare milioni di persone con storie d’amore impossibili e romantiche.
Chissà forse col tempo avrebbe dimostrato di poter andare oltre la superficie e scavare più a fondo nell’animo dei suoi personaggi, ma il destino ha voluto che di lui rimanesse l’immagine di un esteta raffinato, ma sostanzialmente vuoto.
Pubblicato su Meltin' Pot.
Il regista inglese, di origini scozzesi e italiane, si è spento lo scorso 18 marzo durante un’operazione chirurgica, che prevedeva la rimozione di un tumore alla gola, a 54 anni.
Nato il 6 gennaio del 1954 a Ryde, in Gran Bretagna, Minghella frequenta l’Università di Hull dove per un breve periodo fa il professore. Capito che la sua grande passione sono la musica e la scrittura, Minghella comincia a scrivere commedie teatrali, che presto vengono rappresentate.
I riconoscimenti non si fanno attendere e nel 1984 vince il London Theater Critics Award come miglior scrittore emergente di commedie e nel 1986 il premio come Miglior Commedia per la sua opera “Made in Bangkok”.
Presto il mondo del teatro comincia a stargli stretto e così nel 1991 esordisce al cinema con il film “Il fantasma innamorato”, in cui un uomo morto prematuramente (Alan Rickman) torna a far visita alla sua fidanzata da fantasma, finendo per esasperarla. Al 1993 risale la sua seconda pellicola “Mister Wonderful”, in cui un elettricista squattrinato (Matt Dillon), non riuscendo a pagare gli alimenti alla ex moglie, decide di trovare un nuovo marito all’ex compagna, tra i pretendenti c’è anche un professore interpretato dal grande William Hurt.
Queste prime due fatiche di Minghella non accolgono il favore né della critica né del pubblico e il regista sembra destinato a rimanere bloccato nel ruolo di scrittore di commediole leggere e simpatiche ma nulla più.
Ma nel 1996 succede l’incredibile: con il suo terzo film, tratto dal romanzo di Michael Ondaatje, “Il paziente inglese”, Minghella ottiene un successo enorme. Il pubblico si appassiona e si commuove per la tormentata storia del moribondo soldato Laszlo de Almasy (interpretato da Ralph Phiennes) accudito dall’infermiera Hana (Juliette Binoche), al punto che perfino il presidente degli Stati Uniti allora in carica, Bill Clinton, dichiara che è il miglior film dell’anno e perfino l’Academy Award non rimane insensibile alla pellicola dandogli ben dodici nomination. Il film vince ben nove Oscar: Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attrice Non Protagonista per la Binoche, Fotografia, Scenografia, Costumi, Montaggio, Colonna Sonora e Sonoro. Una vera pioggia d’oro ricopre il regista inglese che a questo punto ha carta bianca per qualsiasi progetto.
Il film successivo, del 1999, è l’inquietante “Il talento di Mister Ripley”, rifacimento di “Delitto in pieno sole” e tratto dal romanzo di Patricia Highsmith, che vanta un cast di giovani attori che di lì a poco diventeranno grandissime star: Jude Law, Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Cate Blanchett, Philip Seymour Hoffman. Essendo ambientato in Italia, il film ha permesso ad alcuni nostri attori, come Fiorello, in una fantastica interpretazione di “Tu vuò fa l’americano”, Stefania Rocca e Sergio Rubini, di farsi conoscere a Hollywood. L’opera destabilizza critica e pubblico: l’efferatezza dei delitti di Ripley e l’ambiguità sessuale che pervade tutta la pellicola non convincono appieno gli spettatori.
L’anno successivo Minghella mescola il teatro con il cinema, girando il cortometraggio di 16 minuti “Play”, tratto da un lavoro di Beckett, e come interpreti sceglie Alan Rickman e Kristin Scott Thomas. Per il film successivo bisogna aspettare “Ritorno a Cold Moutain” del 2003: altro kolossal, altro dramma romantico sullo sfondo di una guerra e di nuovo Jude Law come protagonista. Ad affiancare il bell’attore inglese questa volta ci sono Nicole Kidman e Renee Zelwegger e il film riporta Minghella ai fasti del “Paziente Inglese” dato che ottiene sette nomination agli Oscar. Questa volta però l’Academy concede all’opera del regista una sola statuetta vinta dalla Zelwegger come Miglior Attrice Non Protagonista.
Nel 2006 realizza “Complicità e sospetti”, da lui anche scritto, con protagonisti i suoi attori feticcio Jude Law e Juliette Binoche, ambientato in una Londra fredda e malinconica, ma il film viene stroncato sia dalla critica che dal pubblico.
Nel 2007 prende parte come attore a “Espiazione”: in un cameo di lusso, il regista interpreta il giornalista che intervista Briony Tallis, alias Vanessa Redgrave, alla fine del film.
In quest’ultimo anno stava lavorando contemporaneamente a tre progetti: il film “The N. 1 Ladies detective agency”, singolare storia della prima agenzia investigativa fondata da donne in Botswana, “New York, I love you”, film a episodi per celebrare la Grande Mela, e “The Ninth Life of Louis Drax” che stava ancora scrivendo, annunciato come il seguito di “Complicità e sospetti”.
Minghella ha avuto una carriera breve ma letteralmente ricoperta d’oro, forse troppo, visto che nei suoi film i personaggi e le situazioni sono spesso stereotipati, che la sua regia è troppo di maniera e che il regista aveva l’ossessione del bello a tutti costi: persone, oggetti, luoghi, tutto era sempre perfetto e bellissimo, situazione ben lontana dalla realtà e per nulla affascinante o interessante.
Nonostante questo è stato un regista in grado di far emozionare e sognare milioni di persone con storie d’amore impossibili e romantiche.
Chissà forse col tempo avrebbe dimostrato di poter andare oltre la superficie e scavare più a fondo nell’animo dei suoi personaggi, ma il destino ha voluto che di lui rimanesse l’immagine di un esteta raffinato, ma sostanzialmente vuoto.
Pubblicato su Meltin' Pot.
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