Stephen Daldry, autore britannico fino al midollo, è uno che sceglie storie dal sapore prettamente letterario, con personaggi dalla forte personalità, che spesso devono affrontare situazioni o eventi passati che li mettono a dura prova. I suoi film non sono opere d'azione, ma pellicole in cui ad essere mostrate sono le tumultuose emozioni e sensazioni interiori di persone a volte normali, a volte eccezionali.
Se con Billy Elliot, The Hours e The Reader Daldry ha saputo creare un suo stile personale, fatto di silenzi, dialoghi significativi, attori di grandissimo talento ed un apprezzabile equilibrio tra dramma e facile retorica, con il suo ultimo lavoro il regista di Dorset si è un po' perso per strada.
Molto forte, incredibilmente vicino, tratto dal libro di Jonathan Safran Foer parla del disperato tentativo di un ragazzino, Oskar Schell (Thomas Horn), di tenere con sé il più possibile il ricordo del padre, morto durante l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001.
Il padre di Oskar (un Tom Hanks imbolsito e stucchevole come non mai) è infatti morto durante l'attentato e il giovanissimo non riesce ad accettare il dolore, cercando disperatamente un ultimo messaggio del padre ormai scomparso.
L'occasione arriva da un vaso blu in cui è contenuta una chiave cui è collegato il nome "Black": convinto che il padre gli abbia lasciato qualcosa, Oskar, nonostante i suoi problemi derivanti dalla sindrome di Asperger, si lancia con coraggio e determinazione alla ricerca dei 400 e più signori Black residenti a New York per scoprire che cosa apra la misteriosa chiave. Nella sua disperata ricerca, Oskar viene aiutato da un anziano signore (Max von Sydow), inquilino di sua nonna, non più in grado di parlare.
I produttori di Molto forte, incredibilmente vicino avranno forse creduto che, per tradurre in immagini il dolore causato da una ferita non ancora chiusa dopo dieci anni, che ha messo l'America di fronte al fatto che persino la nazione più potente del mondo può essere violata, la visione di un regista europeo, e quindi meno coinvolto emotivamente, sarebbe risultata più lucida.
In realtà la storia, almeno nella versione di Daldry, ha molto poco a che vedere con la tragedia dell'11 settembre: il regista si concentra infatti sul dolore derivante dalla perdita di una persona amata, e sul difficile processo di accettazione.
Il piccolo Oskar, un Thomas Horn convincete e sorprendentemente bravo per la giovane età, deve infatti affrontare tutte insieme emozioni fortissime e difficilmente gestibili: rabbia, dolore, perdita, senso di colpa e di abbandono. Tutte emozioni che, prima o poi, la vita ci pone di fronte e nell'affrontarle, volenti o nolenti, siamo costretti a crescere.
Il film diventa quindi una sorta di racconto di formazione, in cui il fatto storico fa semplicemente da sfondo a una vicenda umana privata.
Purtroppo però il racconto inciampa ben presto in una facile retorica, che rende il film forzatamente commovente e fastidiosamente "strappa lacrime": fin da subito ci viene presentato l'idilliaco rapporto tra padre e figlio, la famigliola perfetta colpita dalla sventura. Tom Hanks, mai così bolso e stucchevole, nei panni dell'amorevole papà strappato troppo presto alla sua famiglia, e, la miracolata e persistentemente incapace, Sandra Bullock, nel ruolo della madre, sono già il primo campanello dall'allarme di una scelta stilistica che deve portare necessariamente alle lacrime lo spettatore alla fine del film. Lacrime che puntualmente arrivano, ma sono forzate, calcolate, non sincere: tutto il contrario, ad esempio, di un film di Clint Eastwood, in cui, lavorando di sottrazione e senza scadere in facili pietismi, le lacrime non sgorgano nemmeno, perché l'emozione prende direttamente allo stomaco e alla gola.
In questo "programma forzato per la lacrima finale", c'è però un momento in cui si fa del bel cinema: grazie a Max von Sydow, attore immenso, in grado di recitare con il corpo e senza parlare per tutta la durata della pellicola, che, camminando con Oskar per le strade della città, dà corpo a un dolore "maturo", messo in contrapposizione a quello del giovane ragazzino, a dimostrazione che il dolore ci accompagna dal momento in cui "perdiamo l'innocenza" fino alla fine. Non a caso alla base del trauma dell'inquilino muto c'è un altro fatto storico atroce, a simboleggiare che cambiano le epoche e le situazioni ma la tragedia è sempre dietro l'angolo.
Non basta però l'ottima interpretazione di von Sydow a salvare il film dalla retorica e da una scelta stilistica che non riesce a trovare un equilibro convincente tra dramma e riflessione.
Se con Billy Elliot, The Hours e The Reader Daldry ha saputo creare un suo stile personale, fatto di silenzi, dialoghi significativi, attori di grandissimo talento ed un apprezzabile equilibrio tra dramma e facile retorica, con il suo ultimo lavoro il regista di Dorset si è un po' perso per strada.
Molto forte, incredibilmente vicino, tratto dal libro di Jonathan Safran Foer parla del disperato tentativo di un ragazzino, Oskar Schell (Thomas Horn), di tenere con sé il più possibile il ricordo del padre, morto durante l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001.
Il padre di Oskar (un Tom Hanks imbolsito e stucchevole come non mai) è infatti morto durante l'attentato e il giovanissimo non riesce ad accettare il dolore, cercando disperatamente un ultimo messaggio del padre ormai scomparso.
L'occasione arriva da un vaso blu in cui è contenuta una chiave cui è collegato il nome "Black": convinto che il padre gli abbia lasciato qualcosa, Oskar, nonostante i suoi problemi derivanti dalla sindrome di Asperger, si lancia con coraggio e determinazione alla ricerca dei 400 e più signori Black residenti a New York per scoprire che cosa apra la misteriosa chiave. Nella sua disperata ricerca, Oskar viene aiutato da un anziano signore (Max von Sydow), inquilino di sua nonna, non più in grado di parlare.
I produttori di Molto forte, incredibilmente vicino avranno forse creduto che, per tradurre in immagini il dolore causato da una ferita non ancora chiusa dopo dieci anni, che ha messo l'America di fronte al fatto che persino la nazione più potente del mondo può essere violata, la visione di un regista europeo, e quindi meno coinvolto emotivamente, sarebbe risultata più lucida.
In realtà la storia, almeno nella versione di Daldry, ha molto poco a che vedere con la tragedia dell'11 settembre: il regista si concentra infatti sul dolore derivante dalla perdita di una persona amata, e sul difficile processo di accettazione.
Il piccolo Oskar, un Thomas Horn convincete e sorprendentemente bravo per la giovane età, deve infatti affrontare tutte insieme emozioni fortissime e difficilmente gestibili: rabbia, dolore, perdita, senso di colpa e di abbandono. Tutte emozioni che, prima o poi, la vita ci pone di fronte e nell'affrontarle, volenti o nolenti, siamo costretti a crescere.
Il film diventa quindi una sorta di racconto di formazione, in cui il fatto storico fa semplicemente da sfondo a una vicenda umana privata.
Purtroppo però il racconto inciampa ben presto in una facile retorica, che rende il film forzatamente commovente e fastidiosamente "strappa lacrime": fin da subito ci viene presentato l'idilliaco rapporto tra padre e figlio, la famigliola perfetta colpita dalla sventura. Tom Hanks, mai così bolso e stucchevole, nei panni dell'amorevole papà strappato troppo presto alla sua famiglia, e, la miracolata e persistentemente incapace, Sandra Bullock, nel ruolo della madre, sono già il primo campanello dall'allarme di una scelta stilistica che deve portare necessariamente alle lacrime lo spettatore alla fine del film. Lacrime che puntualmente arrivano, ma sono forzate, calcolate, non sincere: tutto il contrario, ad esempio, di un film di Clint Eastwood, in cui, lavorando di sottrazione e senza scadere in facili pietismi, le lacrime non sgorgano nemmeno, perché l'emozione prende direttamente allo stomaco e alla gola.
In questo "programma forzato per la lacrima finale", c'è però un momento in cui si fa del bel cinema: grazie a Max von Sydow, attore immenso, in grado di recitare con il corpo e senza parlare per tutta la durata della pellicola, che, camminando con Oskar per le strade della città, dà corpo a un dolore "maturo", messo in contrapposizione a quello del giovane ragazzino, a dimostrazione che il dolore ci accompagna dal momento in cui "perdiamo l'innocenza" fino alla fine. Non a caso alla base del trauma dell'inquilino muto c'è un altro fatto storico atroce, a simboleggiare che cambiano le epoche e le situazioni ma la tragedia è sempre dietro l'angolo.
Non basta però l'ottima interpretazione di von Sydow a salvare il film dalla retorica e da una scelta stilistica che non riesce a trovare un equilibro convincente tra dramma e riflessione.
Max von Sydow e Thomas Horn
La citazione: "La vita dopo che sei morto è come quella prima di essere nato".
Hearting/Cuorometro: ♥♥1/2
Titolo originale: Extremely Loud & Incredibly Close
Regia: Stephen Daldry
Anno: 2011
Cast: Thomas Horn, Max von Sydow, Sandra Bullock, Viola Davis, Tom Hanks
a proposito di 11 settembre e america, un film (lo so, massacrato da tutti) che a me é piaciuto molto é stato 'the land of plenty', di wenders...
RispondiEliminaA me 'Land of Plenty' è piaciuto molto: bravissima Michelle Williams e molto bello lo 'scontro' culturale e generazionale tra i due protagonisti, dove ognuno alla fine insegna qualcosa all'altro. Struggente la canzone omonima di Leonard Cohen mentre sullo schermo passano le immagini di Ground Zero..
EliminaNon l'ho visto. Devo recuperare!
Eliminasi decisamente deludente come film :)
RispondiEliminaAbbastanza. Peccato.
Eliminala solita robetta buonista ammericana... :)
RispondiEliminaEh c'hai raggggione.
EliminaSì, la retorica c'è, è inevitabile in un film del genere. Però secondo me il risultato è di buon livello: non direi che si specula sul dolore, le lacrime che affiorano per me sono genuine. Una pellicola onesta e non ricattatoria. Il ragazzino protagonista è davvero bravo, ma Max Von Sydow che recita con gli occhi è semplicemente superlativo...
RispondiEliminaSulla Bullock e l'imbolsitissimo Hanks invece stendiamo un velo pietoso!
Hai perfettamente ragione, Vale: qui l' 11/9 c'entra davvero poco, quella raccontata da Daldry è una vicenda profondamente privata e intimista. Chi vuole per forza vedere la politica in questo film secondo me è in malafede. Sei la prima che lo fa notare, e concordo in pieno!
Non dico che si specula sul dolore, per quello ci sono abomini come "Precious", ma mi sembra un film costruito a tavolino per far piangere il pubblico.
EliminaOltre al dramma non ci vedo riflessioni così profonde e infatti l'11 settembre sembra proprio un pretesto narrativo.
von Sydow sempre grandissimo, su questo non si discute.