mercoledì 2 aprile 2008

Speciale: 2001 Odissea nello spazio

“Un dramma epico di avventura ed esplorazione”.


All’alba dell’uomo un misterioso monolite nero compare sulla terra e sembra influenzare i primi uomini – scimmia; uno di loro scopre che un osso può essere usato come arma di difesa e strumento di caccia: è il primo passo verso lo sviluppo tecnologico e scientifico dell’umanità. L’osso diventa, in una delle sequenze più belle e famose della storia del cinema, un’astronave: siamo ora nel 2000 e l’astronauta David Bowman sta andando verso la base spaziale Clavius, su Giove, dove è stato trovato un monolite nero. Durante il viaggio qualcosa va storto: il computer di bordo, HAL 9000, impazzisce ed elimina uno per uno i componenti della nave tranne Bowman, che riesce a disattivarlo e a fuggire. David compie così il suo viaggio verso l’infinito: dopo aver attraversato una strana dimensione spazio-temporale arriva in una stanza settecentesca, dove invecchia, muore e rinasce all’ombra del monolite.


Questa la trama del film “2001 Odissea nello spazio”, uscito nel 1968, capostipite del genere “Fantascienza d’autore” e vero e proprio capolavoro: con quest’opera Stanley Kubrick ha fatto e cambiato la storia del cinema.
Tratto dal romanzo “La sentinella” di Arthur C. Clarke, il film ha gettato le basi del genere “Science Fiction”: grazie all’uso di tecniche innovative, che permisero al regista di far vedere le astronavi in volo nello spazio, Kubrick riuscì a rendere in immagini la bellezza dei racconti di fantascienza, che, fin da Jules Verne, il pubblico aveva potuto soltanto immaginare. La cosa è straordinaria se si pensa che l’atterraggio dell’uomo sulla Luna risale al 1969 e che il regista ha dovuto ricostruire, senza punti di riferimento, il movimento dei corpi nello spazio.


In più, oltre ad aver inventato un nuovo tipo di effetti speciali, da cui George Lucas ha preso ispirazione per il suo “Guerre Stellari”, Kubrick con questa pellicola ha rivoluzionato anche il “tempo” cinematografico: dilatando i tempi e le scene fino all’esasperazione, facendo salti temporali, quasi azzerando il dialogo (45 minuti di parlato su 160 di pellicola!), il regista americano ha inventato un nuovo tipo di linguaggio frammentando e dilatando la storia come mai era stato fatto. Kubrick stesso ha infatti affermato: “Non ho pensato di dare con questo film un messaggio traducibile in parole. 2001 è un’esperienza di tipo non verbale. Ho cercato di creare un’esperienza visuale che trascendesse le limitazioni del linguaggio e penetrasse direttamente nel subcosciente con la sua carica emotiva e filosofica”.
Questo stile quindi è funzionale alla complessa storia raccontata, che ha numerosi spunti filosofici e simbolici: il film, come è proprio del genere della “Science Fiction”, è basato sul tema del viaggio, che in questa particolare pellicola è sia un viaggio fisico sia interiore. Il viaggio qui proposto è il tipico “viaggio dell’ eroe” che, cercando di raggiungere una meta/obiettivo, si confronta con un altrove misterioso: deve affrontare prove, ostacoli, antagonisti e alla fine matura spiritualmente e intellettualmente. Kubrick scelse di adottare il mito per raccontare la sua storia: si ispirò ai grandi poemi greci, in particolare all’ “Odissea” di Omero e al mito degli “Argonauti”, che fin da bambino lo aveva appassionato particolarmente. Il film però, oltre al tema del viaggio, evidenzia il legame che c’è tra l’uomo, lo spazio e il tempo e i suoi rapporti con la scienza e la tecnologia. Infatti, per le sue riflessioni filosofiche, per le immagini suggestive e oniriche, la pellicola è stata più volte definita “capolavoro metafisico”. Grazie quindi a immagini dal potere immaginifico ed evocativo senza precedenti il regista è riuscito a rendere concreti temi molto complessi. In una scena drammatica e simbolica uno degli astronauti viene ucciso dal computer ribelle, che lo abbandona nello spazio freddo e nero: il corpo senza vita dell’uomo è inghiottito dall’immensa oscurità spaziale e scompare a poco a poco; la scena simboleggia l’annullarsi ed il riemergere dall’oscurità dello spazio, che è scendere nella parte più nascosta del proprio animo per poi tornare con una maggiore consapevolezza.


“L’eterno ritorno dell’eguale”, teorizzato da Nietzsche, è un altro tema portante della pellicola, evocato anche dalla musica di Strauss “Così parlò Zarathustra”, che sottolinea i momenti chiave del film, quelli in cui appare il monolite nero, l’oggetto misterioso che segna il passaggio dell’uomo ad un livello evolutivo superiore: in origine una scimmia, poi un uomo, che attraverso una tecnologia avanzatissima è riuscito a superarsi e a cambiarsi in un nuovo essere, il feto stellare, che potrebbe essere “il superuomo” teorizzato dal filosofo tedesco.
Il feto, però, simboleggia anche il ritorno dell’uomo: Bowman, dopo aver attraversato la dimensione spazio-temporale, approda in una stanza del Settecento, in stile rococò, che rappresenta il ritorno al passato; l’astronauta qui invecchia, muore e poi rinasce di fronte al monolite nero, che sembra la causa di tutto anche se non si sa da dove venga e che cosa significhi. Queste immagini simboliche esprimono visivamente ciò che la teoria di Nietzsche afferma: il tempo non ha fine, il divenire non ha scopo. Il tempo, infatti, non è lineare, non procede in modo rettilineo, non va verso un fine trascendente o una finalità immanente: l’uomo è condizionato dal passato irreversibile e il futuro è un evento incombente sul presente. Kubrick ha espresso tutto ciò tramite simboli, di cui il più difficile da interpretare è proprio il monolite sempre presente ad ogni cambiamento dell’uomo: forse rappresenta proprio la ciclicità degli eventi umani, destinati a ripetersi all’infinito.


Oltre ai temi filosofici, Kubrick ha ripreso anche il tema della Guerra Fredda (che aveva già affrontato in chiave satirica in “Il Dottor Stranamore”), il cui spettro ancora aleggiava in quegli anni, immaginando che in un futuro non lontanissimo l’America e la Russia sarebbero state alleate e avrebbero collaborato alle imprese spaziali: infatti l’equipaggio della nave “Discovery” è composto da astronauti russi e americani. Questo è molto interessante, se si pensa che proprio negli anni sessanta c’era una terribile competizione tra le due superpotenze per andare nello spazio: nel 1969 “vinsero” gli U.S.A, che mandarono il primo uomo sulla Luna, anche se i russi con Gagarin erano riusciti per primi a mandare un uomo in orbita.


Interessante nel film la riflessione sull’universo: in una delle scene più belle l’astronauta Bowman, dopo essersi liberato del computer impazzito, cerca di salvarsi dall’avaria dell’astronave lanciandosi nello spazio. Nella sequenza “Verso l’infinito e oltre”, Kubrick ha cercato di spiegare come è fatto l’universo, in un certo senso possiamo dire che ha costruito una sua cosmologia. Infatti, Bowman, dopo aver percorso distanze enormi nello spazio nero e misterioso, entra in una strana dimensione spazio-temporale, in cui ogni cosa sembra distorcersi e annullarsi in un tripudio di colori: alla fine l’astronauta arriva nella stanza settecentesca e lì invecchia, muore e rinasce. Kubrick ha reso in immagini la così detta “teoria dell’ inflazione” che ipotizza l’Universo come un enorme frattale in cui coesistono e anzi si formano continuamente diversi universi che si espandono e si evolvono incessantemente. Inoltre, questi universi, che sono immaginati come delle bolle, sarebbero collegati tra loro tramite dei “ponti” spazio-temporali costituiti dai buchi neri. Questa teoria così suggestiva non poteva essere rappresentata meglio da Kubrick, che ha reso poetico questo concetto così difficile raffigurandolo come un vortice magico di colori.


Il film dunque è un capolavoro che spazia dalla filosofia alla scienza, dalla storia all’arte visiva, in una commistione di arte e spettacolo che non ha precedenti e successori nella storia del cinema.
L’importanza di quest’opera è quindi indiscutibile, tanto che il film è stato più volte eletto il migliore di tutti i tempi e che ancora oggi critici e filosofi si interrogano sul reale significato dell’opera. A questo interrogativo non c’è miglior spiegazione di quella che Kubrick stesso ha dato: “Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico del film. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell’ inconscio”.


Voto: ♥♥♥♥♥

Pubblicato su Meltin' Pot.

4 commenti:

  1. 1- appunto insignificante:l'uomo non credo sia mai andato sulla luna.
    2- "come reagiresti se un demone ti dicesse che tutto quello che hai passato dovrai riviverlo ancora, ancora e ancora?"
    3-se non l'hai ancora fatto(ma credo di arrivare in ritardo) leggi qualche libro di Hawking.....ciao

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  2. L'ultima immagine del tuo post...secondo te è casuale che essa sia associata alla scena in cui la scimmia scopre l'osso come arma? nel senso...è casuale l'accostamento tra il sole dietro la piramide tronca e l'immagine di un salto di conoscenza? io non credo...la casualità non mi sembra un aggettivo adatto per un regista che riempe i suoi film di errori di montaggio volutamente(penso a eyes wide shut)...

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  3. P.S....per piramide intendo il monolite che in prospettiva assume quella forma...

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  4. Ottima analisi Vale...davvero!
    E non è certo semplice accostarsi a questo film!

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