Raccontare una storia che parla di vecchiaia, morte e sofferenza è difficile.
E' difficile perché l'argomento è sgradevole e perché è molto facile cadere nel patetico, risultare falsi e sembrare intenzionati a strappare una lacrima a tutti i costi.
Come poter parlare dunque di ictus, paralisi ed eutanasia senza eccedere?
In Amour Haneke sembra prendere una strada totalmente opposta al patetico: nel raccontare la storia di un'anziana coppia che deve affrontare l'improvvisa malattia di lei non cede alla lacrima facile, non fa uso di musica strappalacrime e non cerca di consolare il pubblico. Anzi.
Il regista austriaco ancora una volta sceglie di mostrare dolore e sofferenza, questa volta non violenta ma naturale, e lo fa come al suo solito indugiando in maniera quasi sadica e calcolata sui dettagli più angoscianti. Haneke dimentica però la cosa più importante del raccontare storie: trasmettere, attraverso le vicende dei personaggi, riflessioni e sentimenti che abbiano umanità, che permettano a chi ascolta di identificarsi e di appassionarsi al racconto. In Amour assistiamo a due ore di "pornografia del dolore", in cui il regista ci dice il minimo indispensabile sui protagonisti e li fa diventare pedine di un crescendo dell'orrore che culmina in un gesto scioccante preparato fin dall'inizio. La sofferenza del personaggio interpretato da Emmanuelle Riva, pur straziando lo spettatore, non aggiunge nulla di nuovo sull'argomento, non è spunto di riflessione, ma diventa spettacolo in quanto sofferenza mostrata in maniera nuda e cruda, togliendole così forza e dignità (paradossalmente spesso al cinema il dolore fa riflettere di più quando è mostrato indirettamente, basti pensare ad esempio alla scena dell'ospedale in Il Verdetto di Sidney Lumet).
In Amour i protagonisti, i coraggiosi e ultra-ottantenni Emmanuelle Riva e Jean -Luis Trintingant, non sono simbolo universale della vecchiaia e della morte, ma una rappresentazione intellettuale del dolore, tratto distintivo del freddo, grigio e cinico cinema di Haneke, regista che della durezza a tutti i costi spacciata per autorialità ha fatto la sua fortuna.
E' difficile perché l'argomento è sgradevole e perché è molto facile cadere nel patetico, risultare falsi e sembrare intenzionati a strappare una lacrima a tutti i costi.
Come poter parlare dunque di ictus, paralisi ed eutanasia senza eccedere?
In Amour Haneke sembra prendere una strada totalmente opposta al patetico: nel raccontare la storia di un'anziana coppia che deve affrontare l'improvvisa malattia di lei non cede alla lacrima facile, non fa uso di musica strappalacrime e non cerca di consolare il pubblico. Anzi.
Il regista austriaco ancora una volta sceglie di mostrare dolore e sofferenza, questa volta non violenta ma naturale, e lo fa come al suo solito indugiando in maniera quasi sadica e calcolata sui dettagli più angoscianti. Haneke dimentica però la cosa più importante del raccontare storie: trasmettere, attraverso le vicende dei personaggi, riflessioni e sentimenti che abbiano umanità, che permettano a chi ascolta di identificarsi e di appassionarsi al racconto. In Amour assistiamo a due ore di "pornografia del dolore", in cui il regista ci dice il minimo indispensabile sui protagonisti e li fa diventare pedine di un crescendo dell'orrore che culmina in un gesto scioccante preparato fin dall'inizio. La sofferenza del personaggio interpretato da Emmanuelle Riva, pur straziando lo spettatore, non aggiunge nulla di nuovo sull'argomento, non è spunto di riflessione, ma diventa spettacolo in quanto sofferenza mostrata in maniera nuda e cruda, togliendole così forza e dignità (paradossalmente spesso al cinema il dolore fa riflettere di più quando è mostrato indirettamente, basti pensare ad esempio alla scena dell'ospedale in Il Verdetto di Sidney Lumet).
In Amour i protagonisti, i coraggiosi e ultra-ottantenni Emmanuelle Riva e Jean -Luis Trintingant, non sono simbolo universale della vecchiaia e della morte, ma una rappresentazione intellettuale del dolore, tratto distintivo del freddo, grigio e cinico cinema di Haneke, regista che della durezza a tutti i costi spacciata per autorialità ha fatto la sua fortuna.
Emmanuelle Riva
La citazione: "Sei un mostro qualche volta"
Hearting/Cuorometro: ♥♥
Titolo originale: Amour
Regia: Michael Haneke
Anno: 2012
Cast: Emmanuelle Riva, Jean-Louis Trintignant, Isabelle Huppert, William Shimell
Colore: colore
Durata: 125 minuti
Distribuzione italiana: Teodora film
io ho adorato altre pellicole di haneke, ma su questo purtroppo sono d'accordo: pornografia del dolore è una definizione ottima!
RispondiEliminaA me invece non piace la sua opera omnia, ma qui veramente mi ha irritato profondamente!
EliminaNon c'ho trovato altro se non il dolore e la violenza della realtà. Senza eccessi e senza pietismi, Haneke ha mostrato ancora una volta la quotidianità che diventa sofferenza. Per questo lo ritengo un gran film, il milgiore per me dello scorso anno!
RispondiEliminaQuesto non è cinema: non c'è quasi storia, i personaggi sembrano dei fantocci.
EliminaSu questo argomento ci sono documentari molto più toccanti.
E come hai detto tu ha mostrato ancora una volta la sofferenza: l'ha mostrata, non c'è una riflessione, un'aggiunta significativa sul tema.
Si sfrutta solo la potenza del dolore e della malattia.
Oltre a trovarlo pessimo cinema lo trovo anche offensivo per chi ha visto e vissuto esperienze terribili come questa.
Interessante questa tua opinione così "fuori dal coro" rispetto alla totalità di apprezzamenti positivi delle altre recensioni (unanimità che però qualche dubbio me lo aveva fatto venire).
RispondiEliminaNon ho visto il film né ho intenzione di farlo ma in linea di massima sono d'accordo con l'idea che il cinema debba essere qualcosa di più di una fredda ed obiettiva documentazione: che la straziante quotidianità di alcune persone sia fatta di sofferenza e dolore lo sappiamo tutti benissimo - a volte purtroppo anche in prima persona - ma un film deve dare un motivo, uni'dea, una visione, qualcosa insomma che giustifichi l'utilizzo di un'ora e 40' del nostro tempo.
Se si limita a descrivere la "scoperta dell'acqua calda" - oltre tutto speculandoci sopra - forse è meglio una passeggiata...
Sottoscrivo ogni tua singola parola!
EliminaAnche perché se vogliamo dirla tutta avrebbe potuto anche mostrare cose ben più terribili (chi ha visto e vissuto queste esperienze sa che succede di tutto) e invece mostra tutte quelle cose che la gente che, per fortuna!, non conosce direttamente queste situazioni si immagina (bagnare il letto, non riuscire a mangiare) ed esorcizza vedendole sullo schermo.
Secondo me veramente è diabolico: come si fa a dire che un film che parla di questi argomenti in maniera non sdolcinata è in realtà un freddo calcolo? E tutti giù a gridare al capolavoro e a dare premi.
A me ha fatto questo effetto.
Sono totalmente d'accordo con Vale. Haneke è un regista glaciale, totalmente incapace di abbandonarsi alle emozioni e ai sentimenti. E se queste caratteristiche gli hanno permesso di girare un capolavoro come 'Il nastro bianco', qui sbaglia totalmente registro: dovrebbe essere un film d'amore (lo dice il titolo!) invece mostra solo sofferenza. Che alla fine stanca e ci rende indifferenti anzichè commuoverci. Si salvano solo gli ottimi interpreti (Trintignant su tutti).
RispondiEliminaA me anche "Il nastro bianco" non era piaciuto, ma questo è tremendo.
EliminaNon ci sarebbe niente di male a fare un cinema distaccato e algido (grandissimi artisti come Paul Thomas Anderson, Eastwood e Kubrick sono più asciutti e per nulla patetici) il problema è che in realtà dietro quella freddezza stilistica non c'è neutralità, ma calcolato cinismo. E' qui che crolla tutto secondo me.
Totalmente d'accordo: quasi quasi ti rubo "pornografia del dolore" come personale descrizione della pellicola. Posso?
RispondiEliminaSopravvalutato da morire, Palma D'Oro inspiegabile (davvero è meglio de "Il Sospetto", "Re Della Terra Selvaggia", "Moonrise Kingdom"?).
Oh meno male va!
EliminaPensavo di essere una pazza.
A me ha dato queste impressioni e devo dire che l'opera omnia del regista mi risulta estranea e indigesta.
"Moonrise Kingdom" è proprio all'opposto: e infatti è un film meraviglioso.
Arrivare a dire che questo film ''non è cinema''mi sembra un'affermazione azzardata, poi che abbia urtato per la sua narrazione che ti è sembrata fredda è un altro discorso a mio parere. A me sinceramente è piaciuto perchè più che rappresentare la sofferenza dell'anziana donna andava oltre: voleva mostrare fino a che punto quell'uomo amasse la donna (da qui il titolo), fino al gesto radicale e tremendo dell'epilogo. Non è un giudizio da fan, visto che non credo di non aver visto altri film di questo autore oltre a questo film, però mi ha colpito positivamente per queste ragioni.
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