Intervista alla regista danese Susanne Bier
Al cinema Eden di Roma una radiosa Susanne Bier, la regista di “Non desiderare la donna d’altri”, colei che detiene, unica donna al mondo, il record di biglietti venduti nella natia Danimarca, si è concessa alla stampa. Inoltre era a Roma anche per presentare il primo cofanetto italiano di dvd dedicato al suo lavoro.
Ecco come ha risposto alle domande dei giornalisti.
Come è stato lavorare con Halle Berry e Benicio Del Toro che sono due star hollywoodiane?
S.B.: Con attori così grandi non è difficile lavorare, io voglio trovare in loro dei momenti profondi e soprattutto veri e loro li hanno. Quello che cambia è l’entourage, attori di questo calibro infatti arrivano sul set con cinque macchine: una per i truccatori personali, l’altra per i parrucchieri… Benicio però arrivava ogni giorno sul set estremamente preparato e pieno di idee per le sue scene.
Come è stato il suo sbarco in America?
S.B.: Quando ho letto questa sceneggiatura ne avevo lette altre 200, tutte in lingua inglese, e quelle belle erano solo 10 ma erano già state prese da altri registi.
Poi mi è capitata sotto mano questa e mi ha colpito perché i personaggi sono veri, non da fumetto.
La produzione mi ha dato molte libertà, non volevano un film in stile americano, e mi hanno permesso di cambiare l’inizio e la fine dando un’impronta molto più personale.
Come mai nei suoi film c’è sempre un triangolo amoroso con la morte di uno dei tre protagonisti?
S.B.: Non ho mai analizzato questa cosa. E forse in effetti anche nel mio nuovo film ci saranno tre personaggi protagonisti! Questa sceneggiatura non l’ho scritta io, quindi è stata una scelta inconscia. Forse perché sono affascinata dall’amicizia tra uomini, dal rapporto tra fratelli e mi piace quando entra in gioco una donna che fa funzionare tutto.
Gli studios le faranno rifare un film del genere? E lei vorrebbe ripetere quest’esperienza?
S.B.: Spero di si. Io non condivido quest’atteggiamento secondo cui i film europei sono fantastici e quelli americani delle cose orribili. In Europa c’è la tendenza a esaltare tutto ciò che un artista di successo propone, invece a me piace trovare una resistenza, così le mie idee devono essere buone.
E’ vero che c’è il lato glamour ma ci sono anche i grandi attori che se il ruolo lo richiede non vogliono essere truccati alla perfezione.
Lo script in origine era più lineare, lei invece ha mescolato le sequenze temporali: perché?
S.B.: La sceneggiatura era molto più lineare: la famiglia felice, la morte, il lutto e la storia tra i due personaggi. In fase di montaggio ci siamo accorti che c’erano 20 minuti troppo noiosi, in cui si aspettava che il film cominciasse; allora abbiamo pensato di introdurre i personaggi nel momento del dolore e abbiamo cambiato il finale: doveva finire con la ragazzina che corre dietro alla macchina, invece ho voluto dare un senso di speranza.
Questo è anche un film sulla dipendenza, che può essere da una persona, dall’amore o dalla droga. Inoltre ritorna spesso il tema dell’acqua, come mai?
S.B.: E’ diverso essere dipendente da una droga e dall’amore. Volevo mostrare il dolore che causa la dipendenza dalla droga, non renderla affascinante o trasgressiva. Quando perdi una persona che ami il dolore forse è simile.
L’acqua mi affascina molto ma non mi va di spiegare questo aspetto.
Ci parla della sua scelta di utilizzare dei primissimi piani, in particolare degli occhi?
S.B.: Non erano presenti nella sceneggiatura, l’ho deciso io.
I primi piani degli occhi erano funzionali al film: un dettaglio diventa un’immagine astratta, una cosa più universale. Per il personaggio di Halle Berry erano importanti perché Audrey non esprime i suoi sentimenti, quando però vediamo i suoi occhi non può più fingere, perché con gli occhi è più difficile mentire.
Al cinema Eden di Roma una radiosa Susanne Bier, la regista di “Non desiderare la donna d’altri”, colei che detiene, unica donna al mondo, il record di biglietti venduti nella natia Danimarca, si è concessa alla stampa. Inoltre era a Roma anche per presentare il primo cofanetto italiano di dvd dedicato al suo lavoro.
Ecco come ha risposto alle domande dei giornalisti.
Come è stato lavorare con Halle Berry e Benicio Del Toro che sono due star hollywoodiane?
S.B.: Con attori così grandi non è difficile lavorare, io voglio trovare in loro dei momenti profondi e soprattutto veri e loro li hanno. Quello che cambia è l’entourage, attori di questo calibro infatti arrivano sul set con cinque macchine: una per i truccatori personali, l’altra per i parrucchieri… Benicio però arrivava ogni giorno sul set estremamente preparato e pieno di idee per le sue scene.
Come è stato il suo sbarco in America?
S.B.: Quando ho letto questa sceneggiatura ne avevo lette altre 200, tutte in lingua inglese, e quelle belle erano solo 10 ma erano già state prese da altri registi.
Poi mi è capitata sotto mano questa e mi ha colpito perché i personaggi sono veri, non da fumetto.
La produzione mi ha dato molte libertà, non volevano un film in stile americano, e mi hanno permesso di cambiare l’inizio e la fine dando un’impronta molto più personale.
Come mai nei suoi film c’è sempre un triangolo amoroso con la morte di uno dei tre protagonisti?
S.B.: Non ho mai analizzato questa cosa. E forse in effetti anche nel mio nuovo film ci saranno tre personaggi protagonisti! Questa sceneggiatura non l’ho scritta io, quindi è stata una scelta inconscia. Forse perché sono affascinata dall’amicizia tra uomini, dal rapporto tra fratelli e mi piace quando entra in gioco una donna che fa funzionare tutto.
Gli studios le faranno rifare un film del genere? E lei vorrebbe ripetere quest’esperienza?
S.B.: Spero di si. Io non condivido quest’atteggiamento secondo cui i film europei sono fantastici e quelli americani delle cose orribili. In Europa c’è la tendenza a esaltare tutto ciò che un artista di successo propone, invece a me piace trovare una resistenza, così le mie idee devono essere buone.
E’ vero che c’è il lato glamour ma ci sono anche i grandi attori che se il ruolo lo richiede non vogliono essere truccati alla perfezione.
Lo script in origine era più lineare, lei invece ha mescolato le sequenze temporali: perché?
S.B.: La sceneggiatura era molto più lineare: la famiglia felice, la morte, il lutto e la storia tra i due personaggi. In fase di montaggio ci siamo accorti che c’erano 20 minuti troppo noiosi, in cui si aspettava che il film cominciasse; allora abbiamo pensato di introdurre i personaggi nel momento del dolore e abbiamo cambiato il finale: doveva finire con la ragazzina che corre dietro alla macchina, invece ho voluto dare un senso di speranza.
Questo è anche un film sulla dipendenza, che può essere da una persona, dall’amore o dalla droga. Inoltre ritorna spesso il tema dell’acqua, come mai?
S.B.: E’ diverso essere dipendente da una droga e dall’amore. Volevo mostrare il dolore che causa la dipendenza dalla droga, non renderla affascinante o trasgressiva. Quando perdi una persona che ami il dolore forse è simile.
L’acqua mi affascina molto ma non mi va di spiegare questo aspetto.
Ci parla della sua scelta di utilizzare dei primissimi piani, in particolare degli occhi?
S.B.: Non erano presenti nella sceneggiatura, l’ho deciso io.
I primi piani degli occhi erano funzionali al film: un dettaglio diventa un’immagine astratta, una cosa più universale. Per il personaggio di Halle Berry erano importanti perché Audrey non esprime i suoi sentimenti, quando però vediamo i suoi occhi non può più fingere, perché con gli occhi è più difficile mentire.
Pubblicato su Supergacinema.
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