venerdì 27 febbraio 2015

LLAP Leonard Nimoy

Spock e William Bell passed to the other side.

LLAP Leonard Nimoy (Boston, 26 marzo 1931 - Los Angeles, 27 febbraio 2015).






Intervista esclusiva ad Aidan Gillen, Lord Baelish in Game of Thrones

Aidan Gillen, interprete di Lord Petyr “Ditocorto” Baelish in Game of Thrones, ha partecipato al festival di Berlino per presentare il film You’re Ugly Too, opera prima del regista irlandese Mark Noonan: lo abbiamo incontrato per parlare della nuova stagione della serie HBO, in arrivo il prossimo 12 aprile 

Aidan Gillen è Lord Baelish in Game of Thrones


Capelli ondulati scarmigliati e brizzolati, parlantina velocissima e uno sguardo quasi timido: Aidan Gillen, attore irlandese nato e cresciuto a Dublino, di persona è molto diverso da Lord Petyr Baelish, noto anche con il soprannome di "Ditocorto", uno dei personaggi più ambigui e manipolatori di Game of Thrones, serie HBO famosa per non avere nessun personaggio immacolato tra le folte schiere di protagonisti. Attore versatile, Gillen ha fatto tanto teatro e cinema prima di farsi conoscere dal grande pubblico grazie alla televisione: nel 1999, con il ruolo di Stuart Jones in Queer as Folk, ha costretto gli spettatori a ricordare la sua faccia, resa poi ancora più riconoscibile grazie a The Wire, in cui ha interpretato il sindaco Tommy Carcetti. La grande popolarità è arrivata però proprio grazie a Game of Thrones, in cui si è fatto odiare e allo stesso tempo ammirare con l’interpretazione del machiavellico Lord Baelish, amico e contemporaneamente traditore del clan degli Stark, grazie al suo complicato rapporto con Sansa Stark (Sophie Turner). 

Sophie Turner e Aidan Gillen in Game of Thrones


Arrivato al 65esimo festival di Berlino per promuovere il suo ultimo film, You’re Ugly Too, opera prima del compaesano Mark Noonan, presentato nella sezione Generation Kplus e nominato per il premio alla migliore opera prima, Aidan Gillen ci ha confessato di essere molto diverso dal personaggio diabolico che interpreta nella serie, anche se ormai si è abituato a sentirsi apostrofare come “Lord Baelish” perfino quando va a fare la spesa. Cercando di fargli rivelare qualcosa sulla quinta stagione di Game of Thrones, in arrivo il prossimo 12 aprile in America - il cui trailer, uscito lo scorso 2 febbraio, ha già scaldato gli animi dei fan -, l’attore ci ha parlato anche del suo amore per l’Irlanda e del super potere che vorrebbe possedere. 
Siamo abituati a vederla nei panni super controllati e seri di Lord Baelish in Game of Thrones, qui invece interpreta un personaggio fragile e insicuro: è uno dei motivi che l’ha spinta a fare il film? 
A.G.: “Certamente. Game of Thrones ormai è un fenomeno mondiale che va avanti da anni e nella mia carriera ho interpretato spesso personaggi di questo tipo, freddi, manipolatori, i cattivi insomma, ma la mia personalità è molto diversa: sono un padre, ho due figli, per me è stato bello avere l’opportunità di lavorare con una bambina, è un ruolo più vicino alla mia vita di tutti i giorni, anche se Lord Baelish mi permette di pagare le bollette! Guardando questo film mia figlia mi ha detto che è il ruolo che mi somiglia di più. È incredibile la percezione che i figli hanno di te: ho portato mia figlia a guardare Boyhood e le ho detto “scommetto che vorresti che fossi più come il protagonista” e lei mi ha risposto “ma è proprio questo il problema: sei troppo simile a lui!”. Anche mia madre dopo aver visto questo film ha detto di essere contenta di avermi finalmente visto in un ruolo più caloroso. Ho avuto un percorso curioso: ho fatto tanto teatro, poi televisione e cinema e fino agli anni ’90 recitavo sempre in ruoli vulnerabili, a volte delle vere e proprie vittime, poi ho interpretato un killer in Mojo (film del 1997 di Jez Butterworth) e da quel momento sono stato ingaggiato sempre in ruoli da cattivo; devo ammettere che mi sono divertito da morire a farli, ma ora sento l’esigenza di tornare a esprimere anche il mio lato più morbido”. 

Quindi odia il fatto che il pubblico la associ a un cattivo come Lord Baelish? 
A.G.: “Un tempo odiavo quando la gente mi si avvicinava chiamandomi con il nome di un personaggio: non lo sopportavo, perché ovviamente sono un attore, non sono quel personaggio. Nella mia carriera ho fatto pochi ruoli molto riconoscibili, uno è sicuramente questo di Game of Thrones, l’altro è Tommy Carcetti in The Wire, in Inghilterra anche John Boy di Love/Hate, e ho capito che, cambiando nel corso degli anni il personaggio per cui mi fermava la gente, in realtà la mia privacy non è violata e anche che, se mi credono credibile in quel particolare ruolo, vuol dire che sono stato bravo. L’importante è farsi riconoscere sempre per un nuovo personaggio. Ormai sono più sereno: se la gente mi vede come Lord Bealish mi va bene perché so di non essere come lui. Certo adesso quando vado a fare la spesa capita spesso che il tizio che mi imbusta la roba mi dica “desidera qualcos’altro Lord Baelish?” o “come comanda, Lord Baelish”. 

In Game of Thrones e in questo film interpreta una figura che non è proprio un esempio modello per due giovani ragazze: essere un buon padre nella vita l’ha aiutata, per contrasto, con ruoli del genere? 
A.G.: “Ma come? Non sono un esempio perfetto per Sansa?! Le sto insegnando un sacco di cose! In You’re Ugly Too sono lo zio, un surrogato di figura paterna, e non sono così determinante: la bambina è al comando, sa cosa vuole ed è molto più forte, è lei che ha il controllo vero, quindi in realtà cerco di essere un padre ma senza successo. Credo che certamente essere padre mi aiuti a lavorare con i bambini: ricordo che, anni fa, alle mie prime scene con dei bambini mi sentivo a disagio, non sapevo bene cosa fare, ora invece sono 16 anni che ho sempre intorno dei ragazzi e ormai so perfettamente come comportarmi. Sicuramente essere un buon padre, o almeno provare a esserlo, fa capire cosa vuol dire invece essere l’opposto. I ragazzi sono difficili, quando pensi che si comportino in un modo per un motivo in realtà è l’opposto e tutto cambia ogni volta: credo che per un attore come me, che ormai è nei suoi quarant’anni, sia fondamentale avere dei figli per capire come interpretare ruoli di questo tipo, perché chi non è un genitore non sa con esattezza quanto è difficile, e allo stesso tempo bellissimo, essere padre”. 

Lei è di Dublino e in Game of Thrones, stagione dopo stagione, il suo accento diventa sempre più irlandese: è un segno che le manca lavorare a casa? Ha scelto di girare You’re Ugly Too anche per tornare a girare a Dublino? 
A.G.: “Si nota così tanto?! Sì sto cercando di lavorare il più possibile in Irlanda, ho girato diverse serie qui, mentre con i film è più difficile: addirittura ho girato poco tempo fa Mr. John a Singapore, molto molto lontano da casa! Il prossimo film irlandese è invece Sing Street, il regista è John Carney, l’autore di Once e Tutto può cambiare, e sarà ambientato a Dublino negli anni ’80. Questi sono i film in cui mi sento più a mio agio”. 

Quindi non la vedremo mai in un film di supereroi? 
A.G.: “Sto prendendo parte a un grande film americano, The Scorch Trials, il sequel di Maze Runner, mi piace prendere parte a progetti diversi sia come ruoli che come budget, ma sì, non credo che farò mai un film sui supereroi. Anche se i superpoteri sono affascinanti: io vorrei avere il potere di mangiare quanto voglio e non ingrassare. Mangerei ciambelle tutto il tempo”. 

Qualche giorno fa è uscito il trailer ufficiale della quinta stagione di Game of Thrones: da quello che si può vedere il suo personaggio avrà un ruolo sempre più importante. Può dirci qualcosa sull’evoluzione di Lord Baelish? 
A.G.: “Quest’anno posso rivelare ancora meno che in precedenza: a questo punto della serie gli autori si stanno distaccando sempre più dai libri e stanno inventando molte cose, quindi nella quinta stagione accadranno molti fatti che non sono nei romanzi. L’anno scorso non avrebbe fatto molta differenza se avessi rivelato qualcosa sul mio personaggio, perché tanto era tutto già nei libri, anche solo leggendo su Wikipedia si potevano trovare notizie, invece ora è tutto nuovo. Posso dire che il mio personaggio e quello di Sansa Stark si incamminano in un viaggio verso la Valle di Arryn per prendere il controllo della casa di Arryn. Oddio, sembra Harry Potter ormai! Per Lord Baelish ci sarà più avventura, più viaggi e un rapporto importante con Sansa Stark: è tutto quello che posso dire per ora. Anzi no, posso dire che ci sarà l’ingresso di un nuovo personaggio, The High Sparrow, interpretato da Jonathan Pryce, che è un fantastico attore e questo ruolo è perfetto per lui, un leader spirituale, una sorta di Gandhi, anche se non proprio buono come Gandhi”. 

Ha girato delle scene insieme a Jonathan Pryce? 
A.G.: “Non posso dirlo! Il trailer comunque è molto buono: capisco che alimenti grandi aspettative. Sicuramente ci aspettiamo tutti qualcosa di grosso da parte di Daenerys”. 

Da spettatore, e non come attore che interpreta Lord Baelish, qual è la sua casa preferita in Game of Thrones? Per chi fa il tifo? 
A.G.: “Tifo per i buoni: Arya Stark è il mio personaggio preferito, spero che i personaggi che sono stati sinceri e onesti alla fine abbiano la meglio. Non dico che questo succederà: anche perché Arya ha intrapreso una strada oscura, ha cominciato a uccidere. Inoltre mi piace il personaggio di Cersei, soprattutto per come è scritta e per come è interpretata da Lena Headey”. 

La sorella di Arya invece, Sansa, è sempre così triste: piangerà meno e agirà di più in questa serie? 
A.G.: “La mia signora? Nell’ultima stagione ha dovuto affrontare molto, ma nei nuovi episodi subirà dei grandi cambiamenti: prima di tutto per quanto riguarda i capelli! E poi cambierà vestiti: indosserà sempre il nero e tante piume: sta diventando una darkettona! Avremo la versione goth di Sansa”. 

Oltre a Game of Thrones nel 2015 è uscita anche Charlie, serie sul politico irlandese Charles Haughey: com’è stato interpretare una persona realmente esistita? 
A.G.: “Charlie è una miniserie in tre puntate da novanta minuti l’una che affronta dieci anni della carriera di Charles J. Haughey, capo del governo irlandese dalla fine degli anni ’70 fino ai ’90: una figura molto importante e, anche se è morto da più di otto anni, ha lasciato una grande eredità, molte persone lo adorano ancora. Era un vero leader: non tutti hanno avuto il coraggio di mettersi contro la Tatcher. Oltre al carisma aveva anche lui dei difetti, veniva da una famiglia povera e ha sempre aspirato a uno stile di vita quasi aristocratico, tanto da avere poi problemi di denaro. Una figura complessa e interessante: controllato e allo stesso tempo brutale e divertente. Per me è stata una vera sfida: sono troppo giovane per interpretarlo e non ci somigliamo, quindi è stato uno dei lavori di recitazione più impegnativi che ho affrontato negli ultimi tempi”. 

Molti dei suoi ruoli più famosi appartengono al mondo delle serie tv, Game of Thrones, The Wire, Queer as Folk, Love/Hate, ora Charlie: pensa che continuerà a fare televisione anche in futuro? 
A.G.: “Non lo so: recentemente la qualità della televisione irlandese è cresciuta in maniera esponenziale e in tutto il mondo, negli ultimi 10-15 anni, la tv, e in particolare il drama, è cambiata completamente. Oggi gli anti-eroi sono i veri protagonisti: quello che è successo negli anni ’70 nel cinema americano, in televisione è cominciato nei ’90 con Tony Soprano e continua ora con Walter White, uno capo della mafia, l’altro fabbricante di droga. Qualche anno fa sarebbe stato impensabile avere due protagonisti così”.


Pubblicato su TvZap.

lunedì 23 febbraio 2015

Oscar 2015: vincitori, vinti e Lego




E anche quest'anno ci sono ricaduta: benché non provassi particolare interesse nel seguire questa edizione, alla fine ho fatto ancora una volta le sei del mattino per seguire gli Oscar, manifestazione criticata e snobbata dagli amanti di cinema "puri", quanto guardata con piacere colpevole e non da chi ama il mondo del cinema anche nei suoi aspetti più patinati e superficiali. Per il resto del mondo invece gli Oscar sono semplicemente un trafiletto nelle notizie del mattino dopo: anni di salute guadagnati. 

Torniamo al mio scetticismo iniziale: perché quest'anno non avevo tutta questa voglia di guardare gli Oscar? Perché secondo me, a monte, la selezione è stata quanto meno discutibile: fuori tutti i veri nomi grossi della stagione, penso a David Fincher e al suo Gone Girl, a Blackhat di Michael Mann, a Inherent Vice di Paul Thomas Anderson, a Mommy di Xavier Dolan, Turner di Mike Leigh e Maps to the Stars di David Cronenberg, e dentro una serie di film mediocri come The Imitation Game e La teoria del tutto, accompagnati da ottimi film come Birdman, Boyhood, The Grand Budapest Hotel e Whiplash, ma con nessun nome davvero folgorante in gara.

Per non parlare poi delle nomination agli attori: per fare un esempio esplicativo, l'incredibile, stupenda Jessica Chastain è rimasta senza nessuna nomination, né per A Most Violent Year né per The Disappearance of Eleanor Rigby, e quella cagna di Keira Knightley ne ha avuta una per la sua modesta parte in The Imitation Game. Capite bene che su questi presupposti è frustrante parlare di premi "ai migliori" dell'anno. 

Jessichina mia non fare quella faccia, io ti amo sempre e comunque, l'Academy non ti merita 


Nonostante questo ho fatto la nottata ancora una volta, forse più che altro a dimostrare che l'età ancora non avanza, ma soprattutto per vedere la presentazione di Neil Patrick Harris, irresistibile uomo da palcoscenico e per sempre nel mio cuore come Barney Stinson. Anche qui però ci sono state diverse note dolenti: dopo un inizio a bomba, la conduzione di Harris non è stata memorabile, anche se qui in Italia abbiamo avuto l'aggravante della traduzione simultanea degli interpreti di Sky, altri cani. Per non parlare dell'intervento di Frank Matano e Francesco Mandelli in qualità di...boh: esperti? Simpatizzanti? Poracci? Per fortuna me li sono persi e ne ho solamente letto sui social, della serie: Italia, cerchiamo sempre di peggiorare le cose. 

Infine deludente persino il red carpet: quando la meglio vestita della serata è quella bora di Jennifer Lopez, che mi sta simpatica eh, ma diciamo che non è proprio nota per essere una nobildonna, c'è decisamente qualcosa che non va. 

E quindi partiamo con il riassunto della serata: in fondo l'elenco di tutti i vincitori degli Oscar 2015


RED CARPET

Quest'anno il red carpet è stato quasi un disastro: se da Meryl Streep ci aspettiamo sempre una mise scelta un po' a casaccio, come ci ha abituato da 20 anni a questa parte, lo stesso non si può dire di bellezze come Margot Robbie o Sienna Miller, che, insieme al pluri-premio Oscar, vincono il premio di "vestito anonimo della serata", scegliendo dei veri e propri sacchi di plastica neri per sfilare sul tappeto rosso. Perché in nome del pantheon greco?! Sei una figa, sei agli Oscar, perché ti metti la busta della monnezza addosso?! Un delitto.

Meryl Streep, Margot Robbie e Sienna Miller

Un vero shock le scelte di attrici in genere eleganti e raffinate come Marion Cotillard e Nicole Kidman che, come tutte le altre colleghe palesemente costrette a fare la fame negli ultimi 15 giorni per entrare nei vestiti da sera, devono aver sublimato il loro appetito scegliendo degli abiti che ricordano il cibo:

Marion Cotillard in un Dior "polpetta di riso"


Nicole Kidman si porta in anticipo sulla Pasqua con il vestito "Gold Bunny" della Lindt

Non sono mancati i vestiti osceni: Naomi Watts si è messa addosso una saracinesca, Lorelai Linklater si è tirata addosso un secchio di vernice e Kelly Osbourne sta cercando di candidarsi ufficialmente per il ruolo di Ursula nel film in live-action di La Sirenetta.

Le peggio vestite: Naomi Watts, Lorelai Linklater e Kelly Osbourne


Quest'anno invece nella categoria "si può fare di più", che comprende vestiti non osceni ma sostanzialmente anonimi, sono rientrate diverse attrici tra cui Reese Whiterspoon, Patricia Arquette e Carrie Washington

Le pavide: Reese Whiterspoon, Patricia Arquette e Carrie Washington

Il colore predominante degli Oscar 2015 è stato il rosa antico, quasi nude, che ha reso tante attrici delle vere e proprie bomboniere, capitanate da Gwyneth Paltrow, decorata per l'occasione dal boss delle torte in persona: 

Le bomboniere: Anna Kendrick, Gwyneth Paltrow e Zoe Saldana

E per la categoria "vabbé so' inglesi, non si sanno vestire" vincono Keira Knightley, Sophie Hunter (con però al braccio l'accessorio vincente, ovvero il marito Benedict Cumberbatch), entrambe parzialmente giustificate dal fatto di essere incinte, e Felicity Jones, che non ha nessuna scusa per essersi presentata sul tappeto rosso come una meringa: 

Keira Knightley, Sophie Hunter e Benedict Cumberbatch e Felicity Jones


Passiamo quindi alla categoria "ce devo pensà, ma me sa che è no": appartenenti al gruppo Lupita Nyong'o che l'anno scorso ha vinto un Oscar per essersi spupazzata Michael Fassbender in 12 anni schiavo ma nessuno se lo ricordava e ha cercato di rinfrescare la memoria a tutti ricoprendosi di perle, Scarlett Johansson che si è tagliata i capelli come Miley Cyrus (o Veronica Pivetti versione sadomaso) e poi si è messa un albero di natale addosso (e che comunque è più magra ora che è appena diventata madre di quanto non lo sia mai stata prima, misteri) e Lady Gaga, che ha messo un vestito tutto sommato non male e ha poi rovinato personalizzato tutto con dei guanti che sembrano quelli con cui si lavano i piatti:


Lupita Nyong'o, Scarlett Johansson e Lady Gaga


Prima di passare alle mie preferite della serata, un discorso a parte per Julianne Moore: Julianne, tu ti meriti il premio da quasi venti anni, quasi sicuramente vinci (anche se ti dovevano nominare per Maps to the Stars, ma vabbé) questa è la tua serata e ti metti questa roba? Boh, non ho parole. Probabilmente affetta anche lei dalla "sindrome di Kate Winslet": aspettano per così tanto tempo di vincere che quando è il momento non ci capiscono più niente. Voglio vedè che si metterà Leonardo DiCaprimo se mai vincerà.


Julianne Moore

Passiamo finalmente alle promosse a pieni voti della serata: se lo stesso non si può dire dei suoi film, dal punto di vista dell'abbigliamento Jennifer Aniston non sbaglia mai, e anche ieri sera era elegantissima, con un vestito a sirena scintillante color nude, Emma Stone ha osato con un abito verde che non starebbe stato bene quasi a nessuna se non a una con gli occhi enormi e verdi e i capelli rossi come lei e infine la coppia madre-figlia Melanie Griffith e Dakota Johnson ha sfoggiato una forma fisica invidiabile (e dato un esempio di come "i piccoli raccomandati crescono di generazione in generazione". 

Jennifer Aniston, Emma Stone, Melanie Griffith e Dakota Johnson


E arriviamo infine alle mie preferite della serata: Jennifer Lopez non ha proprio i modi e l'aspetto di una signora, ma ieri sera era perfetta con il suo abito nude a metà tra principessa delle fiabe e milfona sexy con super-scollatura. 

Jennifer Lopez

Il mio personale podio: Cate Blanchett ha sempre l'allure da regina e, qualunque cosa facciano o si mettano le altre, è sempre quella intrinsecamente più elegante, Jessica Chastain ha indossato abiti molto più belli, ma è di una bellezza talmente disarmante che (mancando oltretutto Charlize Theron e Jessica Alba) è comunque sempre la più bella, e infine Rosamund Pike è finalmente riuscita ad azzeccare un vestito, valorizzandosi come è giusto che sia.

Cate Blanchett, Jessica Chastain e Rosamund Pike


Poco da segnalare sul fronte maschile: inguardabile Jared Leto in versione Gesù lilla e un vero pirata J.K. Simmons con tanto di cappello e orologio da taschino. 

Jared Leto e J.K. Simmons con signora

Quest'anno sono mancati i fighi veri: dov'erano i Fassbender?! I Jon Hamm?! I Gerard Butler?! Almeno uno degli Hemsworth....

Da segnalare infine il momento migliore visto sul red carpet: l'abbraccio tra Emma Stone e Jennifer Aniston:

Le pucciosissime Jennifer Aniston e Emma Stone



CERIMONIA

E arriviamo alla cerimonia: in teoria la conduzione di Neil Patrick Harris doveva essere una garanzia e così è stato, almeno all'inizio. Spettacolare il numero d'apertura, in cui il cantata, attore e ballerino ha messo in scena un vero e proprio musical di Broadway ricordando i grandi classici del cinema americano (perfino Star Wars!) e presentato i candidati di quest'anno come miglior film. Al numero hanno partecipato anche Anna Kendrick e Jack Black ed è stato fantastico, una delle migliori aperture degli ultimi anni.

Neil Patrick Harris e Darth Vader



Jack Black, Neil Patrick Harris e Anna Kendrick

Ecco l'apertura completa:





Bellissimo il palco che cambiava di continuo (stupenda la scenografia che richiamava The Grand Budapest Hotel), belli alcuni momenti estemporanei come Benedict Cumberbacth che beve dalla fiaschetta o l'ingresso in sala di tanti Oscar fatti di Lego, divertente la parodia di Birdman con Harris che si è messo letteralmente in mutande (e che da noi ha provocato immediatamente un ingenerosissimo paragone con Gianni Morandi...) ma il brio della serata è andato sempre più scemando, purtroppo anche per colpa di Harris che non si è più esibito e non ha tenuto banco come i suoi predecessori. 

Il palco

Benedict Cumberbatch e la sua fiaschetta


Emma Stone con il suo Lego Oscar (e Edward Norton che trolla da dietro)


Neil Patrick Harris in mutande sul palco degli Oscar 2015


Diabolici inoltre i geni del male che hanno avuto un pensiero per Leonardo DiCaprio:




Per il resto dicevamo serata fiacca, la comicità di Tina Fey e Amy Poehler si è fatta rimpiangere. Per fortuna ci sono stati diversi numeri musicali degni nota, primo su tutti l'interpretazione di "Everything is Awesome", canzone di The Lego Movie (ingiustamente e inspiegabilmente non candidato tra i migliori film di animazione), l'omaggio di Lady Gaga ai 50 anni di Tutti insieme appassionatamente, con tanto di arrivo sul palco di Julie Andrews, e l'interpretazione di John Legend di "Glory", colonna sonora di Selma, premiata come miglior brano.

Everything is Awesome

Lady Gaga e Jule Andrews


John Legend canta Glory



Commovente inoltre un altro momento cruciale, presentato da Meryl Streep, "In Memoriam", con il ricordo di tutti gli artisti scomparsi: magone vero per Robin Williams, Bob Hoskins e Richard Attenbourough, praticamente metà della mia infanzia cinematografica è scomparsa quest'anno. 

Deludente il mancato omaggio al regista Francesco Rosi e a Joan Rivers.





Da segnalare inoltre la bellezza e la classe abbagliante della, almeno per me, coppia più bella vista agli Oscar 2015: Idris Elba e Jessica Chastain, chiamati a presentare il premio per la Miglior Fotografia, andato a Emmanuel Lubezki per Birdman, annunciato affettuosamente dalla Chastain come "Chivoooo" (i due hanno lavorato insieme sul set di The Tree of Life di Terrence Malick).


Idris Elba e Jessica Chastain belli, belli in modo assurdo





I PREMI


E arriviamo alla ciccia vera: i premiati.
Dicevo quest'anno le eccellenze vere non sono state nominate a monte, quindi la lotta si è ridotta essenzialmente ai tre titoli più gettonati, ovvero Birdman, Boyhood e The Grand Budapest Hotel. Tra i tre leoni si è fatto strada, con mio grande piacere, anche Whiplash, film passato in sordina qui da noi ma decisamente da recuperare, scritto e girato da un regista nemmeno trentenne, Damien Chazelle, che ha saputo costruire una storia piena di energia retta sulle spalle di un mastodontico J.K. Simmons, che, grazie all'interpretazione feroce e anche un po' folle del jazzista Terence Fletcher si è guadagnato l'Oscar come Migliore Attore Non Protagonista.
Bello il suo discorso, in cui ha ringraziato i genitori e invitato i figli di tutto il mondo a sentire il più spesso possibile i propri: "Chiamate vostra madre, chiamate vostro padre, se siete fortunati abbastanza da avere un genitore o entrambi in vita chiamateli, non madate loro messaggi o email, chiamateli al telefono e ditegli che li amate, ringraziateli e ascoltateli fino a quando hanno voglia di parlarvi".

J.K. Simmons migliore attore non protagonista per Whiplash


Miglior attrice non protagonista è stata invece Patricia Arquette per Boyhood (anche se per me la migliore interpretazione in questa categoria per quest'anno è stata quella di Julianne Moore in Maps to the Stars), che alla fine è stato il premio più importante vinto dalla pellicola di Linklater che a inizio stagione sembrava dover vincere tutto ma che invece ha ceduto il passo in favore di Birdman, mattatore della serata, e anche rispetto a The Grand Budapest Hotel.

Grandioso il discorso fatto dalla Arquette che ha rivendicato i diritti delle donne in America, suscitando un vero e proprio tifo da stadio da parte di Meryl Streep e Jennifer Lopez, alzatesi in piedi per omaggiarla. Arquette ha detto: "A ogni donna che ha fatto nascere un pagatore di tasse e un cittadino di questa nazione, abbiamo combattuto per gli uguali diritti di chiunque altro. È arrivato finalmente il momento di avere gli stessi stipendi e diritti per tutte le donne degli Stati Uniti d'America".

Patricia Arquette miglior attrice per Boyhood


Il tifo da stadio di Meryl Streep e Jennifer Lopez




Miglior attrice Julianne Moore per Still Alice: un premio che in realtà sarebbe dovuto andare alla strepitosa Rosamund Pike di Gone Girl, ma che arriva dopo una serie di torti durata quasi 20 anni nei confronti della rossa Julianne, una delle migliori interpreti americane ingiustamente sempre snobbata agli Oscar. Anche se il film tratta la malattia senza mai addentrarsi davvero nel dolore terribile che la malattia mentale comporta, edulcorando il processo degenerativo della protagonista che è una ricca, bella e brava donna di successo, mai che in questi film venga rappresentata gente "normale", l'interpretazione della Moore è comunque ottima, ma il genio della Pike nei panni di Amazing Amy è ben altra cosa. 

Julianne Moore miglior attrice per Still Alice


A dimostrazione di come la malattia e i biopic paghino agli Oscar, il premio al miglior attore protagonista è andato a Eddie Redmayne, che in La teoria del tutto ha messo in scena la vita del fisico Stephen Hawking: filmetto ricattatorio e strappalacrime, La teoria del tutto è, insieme a The imitation game, il grande intruso di quest'anno agli Oscar, pellicole quasi televisive e patetiche che ammiccano in continuazione allo spettatore, non approfondendo mai l'aspetto scientifico della vita dei due scienziati raccontati e, almeno per Alan Turing interpretato da Benedict Cumberbatch, nemmeno quello umano, relegando alcuni aspetti fondamentali delle loro vicende umane a semplici aneddoti, preferendo puntare su scene madri e strappalacrime. Redmaine, attore generalmente medio, si porta così a casa un Oscar soprattutto per la sua capacità mimetica con Hawking, piuttosto che per l'abilità interpretativa. 
Peccato per il mancato premio a Michael Keaton che È Birdman, con tutto il discorso metacinematografico che ne deriva. E poi sarebbe stato bellissimo vederlo ritirare il premio masticando la gomma che non ha mai sputato per tutta la sera. 

Eddie Redmayne miglior attore per La teoria del tutto


Infine i premi più importanti, ovvero regia e miglior film, sono finiti nelle rapaci mani di Alejandro Gonzalez Inarritu e il suo Birdman: battendo il favoritissimo, almeno fino a poco fa, Boyhood, il regista messicano ha scalato Hollywood, esattamente un anno dopo l'impresa del suo amico e collega Alfonso Cuaron. Fantastico l'annuncio di Sean Penn, chiamato a presentare il miglior film, che ha urlato: "Chi ha dato la green card a questo figlio di puttana?!".

Sean Penn annuncia il miglior film

Alejandro Gonzalez Inarritu è il miglior regista per Birdman, anche miglior film


Formalmente impeccabile, Birdman alla fine l'ha spuntata su Boyhood, grande idea del regista Richard Linklater, che ha ripreso i suoi attori nel corso di 12 anni seguendone la crescita e l'evoluzione, ma che forse poi nel complesso è sì un ottimo film, ma non il capolavoro che molti hanno descritto. Lo stesso vale per The Grand Budapest Hotel, anche questo formalmente impeccabile, con un grande e variegato cast, ma forse più un giocattolo in mano al suo autore, Wes Anderson, che in passato ha fatto di molto meglio. 

Dispiace per il mancato premio alla fotografia di Dick Pope, che in Turner ha fatto un lavoro straordinario, e all'ancora una volta snobbato Paul Thomas Anderson, che non ha vinto il premio alla migliore sceneggiatura non originale, andato al banale e dimenticabile script di The Imitation Game, anche se il commovente discorso di Graham Moore, che ha confessato di aver tentato il suicidio per essersi sentito diverso, ha fatto passare il tutto in secondo piano. "Stay weird, stay different", (ovvero "siate strani, siate diversi", che richiama lo "stay hungry, stay folish" di Steve Jobs, uno dei potenti dell'informatica che molto deve ad Alan Turing) la sintesi del discorso di Graham.



Perplessità anche sul miglior film straniero, Ida, in una categoria in cui un film straordinario come il Mommy di Xavier Dolan non è stato nemmeno inserito, e sul miglior film d'animazione, che ha visto trionfare Big Hero 6 a discapito di prodotti straordinari come La storia della principessa splendente o The Lego Movie, nemmeno inserito in categoria.
Da segnalare l'Oscar per migliori costumi a Milena Canonero, che, con The Grand Budapest Hotel, ha vinto la sua quarta statuetta.

Milena Canonero firma i migliori costumi per The Grand Budapest Hotel



Questo è tutto.
Chissà se il prossimo anno ce la farò a tirare ancora una volta fino alle sei del mattino.
Nel frattempo, se non li avete visti, recuperate Michael Mann, Paul Thomas Anderson, Xavier Dolan e David Cronenberg e date una possibilità all'incredibile progetto di Jessica Chastain con il suo The Disappearance of Eleanor Rigby, film composto da due parti chiamate "Her" e "Him", ovvero le due versioni della stessa storia viste attraverso gli occhi del personaggio femminile e maschile.
Io ho, qui a fianco a me, l'edizione inglese di Gone Girl, con tanto di libro di Amazing Amy, che sta già tramando la sua vendetta.



OSCAR 2015 TUTTI I VINCITORI

MIGLIOR FILM Birdman di Alejandro Gonzalez Inarritu
MIGLIORE REGIA Alejandro Gonzalez Inarritu per Birdman
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA Eddie Redmayne per La teoria del tutto
MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA Julianne Moore per Still Alice
MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA J.K. Simmons per Whiplash
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA Patricia Arquette per Boyhood
MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE Big Hero 6 di Don Hall, Chris Williams and Roy Conli
MIGLIOR FILM STRANIERO Ida di Pawel Pawlikowski
MIGLIOR DOCUMENTARIO CitizenFour di Laura Poitras, Mathilde Bonnefoy and Dirk Wilutzky
MIGLIOR DOCUMENTARIO BREVE Crisis Hotline: Veterans Press 1 di Ellen Goosenberg Kent and Dana Perry
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO The Phone Call di Mat Kirkby and James Lucas
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D'ANIMAZIONE Feast di Patrick Osborne and Kristina Reed
MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE Alejandro G. Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Jr. e Armando Bo per Birdman
MIGLIORE SCENEGGIATURA NON ORIGINALE Graham Moore per The Imitation Game
MIGLIORE FOTOGRAFIA Emmanuel Lubezki per Birdman
MIGLIORI COSTUMI Milena Canonero per The Grand Budapest Hotel
MIGLIOR TRUCCO Frances Hannon and Mark Coulier per The Grand Budapest Hotel
MIGLIOR SCENOGRAFIA Adam Stockhausen (Production Design) e Anna Pinnock (Set Decoration) per The Grand Budapest Hotel
MIGLIOR MONTAGGIO Tom Cross per Whiplash
MIGLIOR COLONNA SONORA Alexandre Desplat per The Grand Budapest Hotel
MIGLIOR CANZONE "Glory" di John Stephens and Lonnie Lynn per Selma
MIGLIOR MONTAGGIO SONORO Alan Robert Murray and Bub Asman per American Sniper
MIGLIOR SOUND MIXING Craig Mann, Ben Wilkins and Thomas Curley per Whiplash
MIGLIORI EFFETTI SPECIALI Paul Franklin, Andrew Lockley, Ian Hunter and Scott Fisher per Interstellar


venerdì 20 febbraio 2015

Bob Odenkirk: “Vi presento Jimmy, il lato umano di Saul Goodman”

Bob Odenkirk, interprete di Saul Goodman, protagonista di Better Call Saul, spin-off e prequel di Breaking Bad, ha presentato in anteprima europea le prime due puntate della serie al festival di Berlino, dove ci ha parlato dell’incredibile successo del suo personaggio, di Jimmy, alter-ego umano di Saul, e delle facce conosciute che rivedremo nella nuova serie.

Bob Odenkirk


Capelli brizzolati, completo grigio scuro con cravatta nera, sorriso sempre pronto e gesti contenuti: dal vivo Bob Odenkirk sembra la versione elegante e più seria di Saul Goodman, avvocato di Albuquerque che, dalla sua prima apparizione nella seconda stagione di Breaking Bad, ha conquistato i fan della serie creata da Vince Gilligan, diventando immediatamente uno dei personaggi più amati, tanto da meritarsi di arrivare fino alla fine della quinta stagione, nonostante fosse stato concepito inizialmente, dallo sceneggiatore Peter Gould, per un arco di tre o quattro episodi. Il successo di Saul è stato tale, e l’astinenza da Breaking Bad da parte dei fan talmente insostenibile, da meritarsi ora una serie tutta sua, Better Call Saul, spin-off, allo stesso tempo sia prequel che sequel, della serie madre. 

A dircelo è Bob Odenkirk in persona, attualmente impegnato nelle riprese della seconda stagione di Better Call Saul, rinnovata a scatola chiusa da AMC per un nuovo ciclo di tredici episodi, che, a sorpresa, è arrivato alla presentazione europea della serie al festival di Berlino, dove Better Call Saul è stata inserita nel calendario degli eventi speciali, inaugurando così la serata: “È meraviglioso che un festival come Berlino ci abbia inclusi nel programma e credo che sia una mossa giusta perché ormai molti registi interessanti lavorano in televisione. È un grande onore aver fatto parte di uno dei migliori show degli ultimi anni ed è un sogno folle essere qui a Berlino a presentare Better Call Saul: devo essere in coma da qualche parte e sto sognando tutto”. 

Abbiamo intervistato l’attore che ci ha rivelato qualcosa in più su Jimmy McGill, l’alter-ego umano di Saul Goodman, e ha risposto sibillinamente alla domanda che tutti i fan di Breaking Bad si stanno facendo: rivedremo Walter (Bryan Cranston) e Jesse (Aaron Paul)? 


Bob cosa può dirci di Better Call Saul? Cosa dobbiamo aspettarci? 
Bob Odenkirk: “Incontriamo Jimmy McGill e scopriamo che in realtà Saul Goodman non è sempre stato così sicuro di se stesso: Jimmy è la sua versione più giovane che non è ancora diventata il serpente che sarà un giorno. Nella serie si vedranno molti aspetti sconosciuti di Saul Goodman: il pubblico l’ha sempre visto nella versione artefatta di se stesso, perfino il suo nome non è quello vero, in realtà si chiama appunto Jimmy McGill, e presenta molti lati differenti, come per esempio il rapporto con la sua famiglia”. 

Si aspettava un tale successo con il personaggio di Saul Goodman? 
B.O.: “Non mi aspettavo questo successo: dovevo essere in tre, al massimo quattro episodi di Breaking Bad ma la gente è impazzita per il personaggio, ancora adesso non so perché, e quindi è cresciuto sempre di più fino a far nascere negli autori l’idea di una serie tutta per sé. Non credo di essere popolare ma apprezzo molto l’affetto del pubblico. È una cosa difficile da comprendere, continuo a pensare a cose molto semplici come in quale negozio andare per fare la spesa e portare a spasso il cane”. 

Secondo lei perché Saul Goodman piace così tanto al pubblico? 
B.O.: “Sul set della serie all’inizio mi sono semplicemente divertito, solo dopo la crew si è fomentata sul serio per Saul: Breaking Bad era così dark e teso che il mio personaggio ci voleva, ha abbassato la tensione, quasi tutte le battute sono le sue. È piaciuto talmente tanto che gli autori hanno deciso di dedicargli uno spin-off. Sono rimasto molto sorpreso anche io, pensavo fosse un personaggio simpatico ma non che il pubblico impazzisse così per lui”. 

Tra Jimmy e Saul chi preferisce interpretare? La parlantina vulcanica dei personaggi è anche la sua? 
B.O.: “Preferisco Jimmy, è più empatico, apprezzo i suoi sforzi, amo il suo essere motivato e non ancora corrotto. Saul mi diverte molto ma simpatizzo più per Jimmy: lo capisco più di Saul, capisco il dolore che prova. Per quanto riguarda la parlata quella è recitazione, io non sono così, la scrittura è tutto, è un personaggio, non è come me”. 

A proposito di scrittura: qual è il suo rapporto con Vince Gilligan, creatore di Breaking Bad, e Peter Gould, autore del personaggio di Saul Goodman? 
B.O.: “Sto sulle spalle dei giganti: i creatori sono eccezionali, il motivo del successo sono loro, non io. Non ho scritto il personaggio, mi sono semplicemente trovato di fronte una sceneggiatura eccezionale. Per Better Call Saul volevo trovare una mia strada per interpretarlo.Mi piace molto interpretare questo personaggio e il nocciolo della nuova serie è scoprire cosa ha portato Saul a essere Saul, ovvero un uomo che ha una sua genialità, non si fa fermare da nulla, è convincente ma allo stesso tempo è un perdente: scopriamo infatti che vuole l’attenzione del fratello ma non ci riesce. Ha un grande spirito ma non sa focalizzarlo”. 

Vi siete ispirati a qualche modello in particolare per Better Call Saul? 
B.O.: “Ci siamo ispirati a un grande classico della tv, The Rockford Files (in Italia Agenzia Rockford ndr): Vince Gilligan voleva dare a Better Call Saul l’atmosfera dei vecchi show televisivi, infondendogli un’aura vintage”. 

Da spettatore ama altre serie tv? 
B.O.: “Amo molto una serie inglese, The Royle Family, è meravigliosa, molto asciutta, devi dargli la possibilità di prenderti, è una commedia ma è piena di rabbia e frustrazione: in quella serie le persone sono così cattive, è meraviglioso! Si fanno a pezzi ma allo stesso tempo si vogliono bene, per me è molto simile alla vita, per questo la amo. Mi piacciono tanti tipi di serie diverse, ma preferisco quelle realistiche”. 

Lei ha cominciato come sceneggiatore, è felice di essere diventato famoso come attore? 
B.O.: “Ho fatto così tanto nel campo dell’intrattenimento: ho scritto, ho prodotto, ho recitato in moltissime cose, ma non avevo mai raggiunto un successo tale da poter entrare in connessione con così tante persone come con Breaking Bad: per me è una sorpresa e una shock e ancora adesso non so come affrontarlo. Sono entrato in questo business scrivendo commedie brevi, è una cosa che mi rendeva felice, e forse non ho mai pensato di poter raggiungere questo successo, non sono sicuro che per me abbia lo stesso valore di una persona che ha cominciato come attore”. 

Come sceglie i suoi personaggi? Quest’anno ha interpretato l’agente Bill Oswalt in Fargo, personaggio molto diverso da Saul Goodman. 
B.O.: “Non ho preferenze, cerco sempre personaggi che abbiano sfaccettature, come nella serie Fargo: lì i personaggi sono allo stesso tempo divertenti, ostinati e poi si scoprono sempre nuovi lati. La televisione è fantastica perché ti offre più tempo per esplorare i personaggi. Al cinema la gente ormai vede solo storie di effetti speciali e credo che invece sia affamata di storie vere”. 

Un aneddoto curioso sul suo personaggio? 
B.O.: “Da quando interpreto Saul mi si avvicinano spesso degli avvocati dicendomi: sono un avvocato anche io e sono esattamente come Saul! Mi lasciano sempre perplesso”. 

Infine la domanda che tutti si stanno facendo: oltre alle facce note di Breaking Bad che tornano nei primi due episodi, in Better Call Saul rivedremo altri personaggi e soprattutto Walter White e Jesse Pinkman? 
B.O.: “Sì vedrete altre facce note: non vedrete però Jesse e Walter. Almeno nella prima stagione. La seconda stagione è già stata confermata: siamo fortunati. Speriamo di mantenere alto l’interesse del pubblico. Pregate per le persone della tv: Signore veglia su di loro!”.


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