giovedì 25 dicembre 2014
martedì 23 dicembre 2014
“UN NATALE STUPEFACENTE”: VIDEOINTERVISTA A LILLO E GREG
Abbiamo incontrato i protagonisti di Un Natale Stupefacente, 31esimo film di Natale prodotto dalla Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, Lillo e Greg e Ambra Angiolini, insieme al regista e sceneggiatore Volfango De Biasi.
Fare un cinepanettone diverso è possibile? Il duo comico formato da Lillo e Greg e il regista e sceneggiatore Volfango De Biasi, che hanno già lavorato insieme agli ultimi due “cinepanettoni classici”, ovvero Colpi di Fulmine e Colpi di Fortuna, pensano di sì e questo Natale, che segna il 31esimo anniversario dei film delle feste prodotti dalla Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, si sono imbarcati in una sfida: rinnovare un genere amato quanto criticato. Abbandonata la struttura a episodi e le gag più “corporali” dell’era Boldi e De Sica, il trio si è concentrato su una storia fluida, in cui i diversi protagonisti interagiscono costantemente l’un l’altro.
Pubblicato su Ciak Magazine.
martedì 9 dicembre 2014
Mommy – And after all you're my wonderwall
Al suo quinto film il regista 25enne Xavier Dolan firma la sua opera più matura e ambiziosa, in bilico tra emozioni sfrenate e ricercatezza formale, animale dal fascino multiforme e dalla carica seduttiva inarrestabile, vincitrice del Premio della giuria al Festival di Cannes 2014
Diane Després (Anne Dorval) è una mamma single sboccata e irascibile, rimasta sola a occuparsi del figlio quindicenne Steve (Antoine-Olivier Pilon), violento e irrefrenabile come lei ma a livelli patologici. Continuamente in conflitto con gli altri e le istituzioni, Steve non ha amici al di fuori di sua madre, cui è legato da un complicato rapporto di amore e odio, che sfocia spesso in liti furibonde ma che ogni tanto è illuminato da disperati gesti d'affetto. Tra loro si inserisce la timida e balbuziente nuova vicina, Kyla (Suzanne Clément), paziente e silenziosa, il completo opposto di Diane e Steve: grazie a questo terzo elemento, il mondo di madre e figlio sembra trovare un insperato equilibrio.
A soli 25 anni, il regista canadese Xavier Dolan è una delle voci più energiche e particolari del cinema contemporaneo: autore autodidatta e talento poliedrico (è sceneggiatore, regista, montatore, compositore, costumista e spesso anche attore dei suoi film), Dolan ha una carica vitale quasi animalesca e sovversiva che traspare da ogni sua pellicola, a cominciare da J'ai tué ma mère, folgorante esordio firmato ad appena 20 anni. Come nel primo film, in Mommy, sua quinta pellicola vincitrice del Premio della giuria al Festival di Cannes 2014, Dolan si concentra sul rapporto tra una madre e un figlio, allo stesso tempo soffocati e protetti dal reciproco amore: schiacciati e dimenticati da una società che li tiene ai margini, Diane e Steve vivono in un mondo parallelo in cui nessuno prima di Kyla era riuscito a entrare. Per dare la giusta forma alla sua storia, Dolan sceglie di comprimere i personaggi in un formato insolito, un 1:1 che intrappola i suoi protagonisti come pesci in un acquario, rabbiosi per la mancanza di spazio e ossigeno e continuamente sul punto di esplodere.
Come il suo protagonista, anche il regista è dotato di una carica vitale e una forza elettrica che si fonde con la sua opera: formatosi da solo, cresciuto in un ambiente culturalmente povero e ispirato dai film della sua infanzia, tra cui ricorda spesso Titanic, Batman – Il ritorno e Mamma ho perso l'aereo, Dolan è un talento puro, che si è accresciuto con la forza della sua voglia di fare e sperimentare, a volte incosciente e forse anche compiaciuta, ma di innegabile carica trascinante. Sincero e generoso dietro e davanti la macchina da presa, Dolan non ha paura di piegare il mezzo alle sue regole, creando un cinema totale cui imprime in ogni aspetto la sua personalità, con una decisione e una naturalezza che sorprendono.
Bipolare e folle nei temi e nello stile, il regista canadese in Mommy riesce a tenere a bada il suo furore cinematografico senza snaturarlo, firmando una delle sue opere più mature e affascinanti, in grado di spiazzare lo spettatore grazie all'uso delle musiche (straordinario il momento in cui il protagonista ascolta "Wonderwall" degli Oasis e la scena finale sulle note di Lana Del Rey) e a dialoghi frenetici: il regista mette una mano davanti alla bocca del pubblico e allo stesso tempo lo bacia, proprio come il protagonista del suo film, in un gioco di forza tra il sentimento più sfrenato e la ricerca della forma perfetta.
Primo film del regista distribuito in Italia grazie a Good Films, Mommy è una pellicola sorprendente da seguire e vivere fino all'ultimo tragicomico minuto, così come la carriera del suo giovane regista, che speriamo riesca a domare con sempre maggior maestria il suo talento senza snaturarlo.
Antoine-Olivier Pilon
La citazione: "La vita con Steve è come un salto nel vuoto: non sai mai se cadrai in piedi o sbatterai la faccia a terra"
Hearting/Cuorometro: ♥♥♥♥1/2
Uscita italiana: 4 dicembre 2014
Titolo originale: Mommy
Regia: Xavier Dolan
Anno: 2014
Cast: Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clément
Colore: colre
Durata: 134 minuti
Genere: drammatico
Sceneggiatura: Xavier Dolan
Fotografia: André Turpin
Montaggio: Xavier Dolan
Musica: Eduardo Noya
Paese di produzione: Canada
Casa di produzione: Metafilms
Distribuzione italiana: Good Films
Pubblicato su XL.
Magic in the Moonlight – A kind of magic
Dopo Midnight in Paris, Woody Allen torna nella Francia degli anni '20, imbastendo un racconto formato dagli elementi migliori delle sue commedie più riuscite degli ultimi dieci anni, interrogandosi ancora una volta sull'amore e sulle illusioni, e infondendo alla pellicola una luce e dei colori mai visti prima nella sua opera
Berlino, 1928, spettacolo di magia: il prestigiatore Wei Ling Soo riesce a far sparire un elefante sulle note di Stravinsky, lasciando il pubblico stupefatto. Nonostante la sincera meraviglia degli spettatori, nei suoi prodigi non c'è nulla di vero, il mago non è nemmeno un vero cinese: sotto i baffi finti di Wei si cela infatti l'inglesissimo Stanley (Colin Firth), misantropo in grado di creare illusioni meravigliose. Chiamato dal collega e amico Howard (Simon McBurney) a smascherare Sophie (Emma Stone), una sedicente medium che ha stregato il rampollo della ricca famiglia Catledge, il disincantato Stanley si reca nel sud della Francia, intento a provare a tutti, e soprattutto a se stesso, che non c'è altro a questo mondo se non la realtà materiale e i trucchi che da secoli l'uomo mette in pratica per convincersi che non sia così. Le certezze del mago vacillano però quando si trova di fronte il sorriso della giovane Sophie, sensitiva che sembra leggergli nella mente soprattutto grazie ai suoi occhi luminosi.
Tornato in Francia a tre anni di distanza da Midnight in Paris, Woody Allen continua a farsi ispirare dall'Europa - anche se, come ha dimostrato la precedente pellicola Blue Jasmine, la musa che lo ispira meglio continua a essere New York - e dopo aver celebrato Londra, Barcellona, Parigi e Roma, si concede ora un lussuoso soggiorno sulle spiagge della Costa Azzurra, imbastendo un racconto che recupera gli elementi migliori delle sue commedie dell'ultimo decennio. In Magic in the Moonlight c'è infatti la Francia degli anni '20, con il jazz e gli abiti per ballare il charleston, come in Midnight in Paris, al centro di tutto c'è la magia come in Scoop e come in Basta che funzioni i protagonisti sono una classica “strana coppia”, formata da un misantropo disilluso e nichilista e una giovane ragazza che mette in discussione la sua intera esistenza.
Protagonisti della pellicola sono il sempre sofisticato ed elegante Colin Firth, irresistibile e cinico al punto da essere insopportabile e allo stesso tempo esilarante, ed Emma Stone, sirena che offusca la razionalità del primo: tra corse in costiera e dissertazioni sull'amore, i due instaurano un balletto verbale a tempo di swing, che tocca ancora una volta il tema caro ad Allen della felicità vista come trucco con cui beffare la morte e il nulla, secondo cui qualsiasi attimo di piacere e gioia va afferrato con la consapevolezza che è sì un'illusione, ma che, se ci rende felici, “basta che funzioni”.
Al di là della trama simile, e affrontata forse con maggiore brillantezza in passato, ad altre pellicole del regista newyorchese, resa comunque piacevole grazie ai due ottimi protagonisti, la vera bellezza e novità di Magic in the Moonlight sta nella luce e nei colori: quasi mai in un film di Allen c'era stata una ricchezza tale di sfumature e luminosità, abbagliante di giorno ed effettivamente magica al chiaro di luna.
La felicità sarà anche un'illusione e il mondo un posto infelice e ingannevole, ma di fronte a tanta luminosa bellezza non si può restare indifferenti.
Colin Firth ed Emma Stone
La citazione: "Tu sei la prova che c'è di più: più mistero, più magia"
Hearting/Cuorometro: ♥♥♥
Uscita italiana: 4 dicembre 2014
Titolo originale: Magic in the Moonlight
Regia: Woody Allen
Anno: 2014
Cast: Colin Firth, Emma Stone, Eileen Atkins, Simon McBurney, Jacki Weaver, Marcia Gay Harden, Hamish Linklater
Colore: colore
Durata: 97 minuti
Genere: commedia
Sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Alisa Lepselter
Musica: autori vari
Paese di produzione: USA
Casa di produzione: Perdido Productions
Distribuzione italiana: Warner Bros.
Pubblicato su XL.
venerdì 28 novembre 2014
Star Wars: The Force Awakens teaser trailer, che il fomento sia con te
Finalmente è uscito: più atteso del terzo segreto di Fatima, più bramato dell' Oreo gigante di Tesoro, mi sono ristretti i ragazzi (perché voi non sbavavate quando i ragazzini affondavano la faccia in quella crema pannosa?!): il teaser trailer di Star Wars VII: The Force Awakens è stato lanciato nella rete, quello vero, non il (seppur simpatico) fake con Yoda.
Direte voi: che cosa potrà mai esserci in 70 secondi di trailer di così sconvolgente?
Beh facile: tutto e niente, bagliori che fanno intravedere forse il film definitivo della storia del cinema e allo stesso tempo il mistero più assoluto.
Facciamo un passo indietro.
J.J. Abrams, eroe assoluto da queste parti per aver creato quelle perle (sì perle!) di Lost, Fringe e Super8, autore a volte geniale e mago del marketing, erede designato da Spielberg in persona per tutto ciò che riguarda il sognare in grande sullo schermo, era stato accusato di essere una scelta tremenda per i nuovi film ambientati in una galassia lontana.
Soprannominato malevolmente da alcuni (senza cuore, ingrati, miscredenti) "Jar Jar Abrams", insulto massimo, Abrams non ha sentito nessuno ed è andato avanti col suo lavoro. Anche quando Harrison "Han Solo" Ford si rompeva un femore sul suo set.
Dopo aver rilanciato al cinema Star Trek, Abrams si appresta a diventare lo starman ufficiale del cinema contemporaneo: e finalmente è arrivato un assaggio del suo lavoro.
Scritto da Abrams insieme a Lawrence Kasdan, autore di L'impero colpisce ancora, ovvero il capitolo migliore della saga, almeno fino a ora, Star Wars:The Force Awakens è ambientato 30 anni dopo i fatti di Il ritorno dello Jedi e vede per alla produzione per la prima volta insieme la Lucasfilm e la Disney. Un binomio che fa paura a molti.
Ma passiamo al trailer: cielo azzurro e sabbia, siamo su Tatooine e uno stormtrooper si leva il casco mentre una voce profonda dice solenne "C'è stato un risveglio. L'hai sentito?".
Già con questi pochi secondi si è scatenato un polverone: la voce sembra quella di Benedict Cumberbatch e si è creato il panico. Dovrebbe essere stato confermato che sia in realtà di Andy Serkis ma non si sa mai, dopo averci lavorato in Star Trek Into Darkeness Abrams potrebbe farci il sorpresone.
Secondo hot topic: lo stormtrooper è di colore. No, non è (almeno spero) un commento razzista, ma la prova che nel nuovo film la fanteria imperiale non è formata da cloni.
Da qui si succedono rapidamente una serie di immagini epiche:
1) IL ROBOT A PALLA ROTANTE
Ha la testa di R2D2 e il corpo da super tele. Già lo amo.
2) RAGAZZA SU UNA MOTO TOSTA-PANE
Giovane, carina e molto somigliante a Natalie Portman (sembrerebbe Daisy Ridley): mi sto già facendo pippe mentali assurde o potrebbe essere discendente di Skywalker e forse la nuova jedi della saga? Comunque la moto volante tostapane è fichissima.
3) UN SIMIL DARTH CON SPADA A CROCE (!!!!!)
Il momento in cui tutti, nel bene e nel male, hanno avuto un colpo al cuore: la spada laser, una delle invenzioni più geniali non solo del cinema ma della storia dell'umanità tutta, il principale motivo di successo e amore incondizionato di questa saga, poche storie è così, in questo settimo film si è evoluta, con un'impugnatura anche questa fatta di laser. Sistema per evitare la mozzatura delle mani (magari brevettata proprio da Luke in persona)? Bestemmia per i puristi, bestemmia pure per i cattolici che sicuramente avranno da ridire sul fatto che sia infuocata e sembri una croce rovesciata (già me li vedo: Star Wars film di Satana!)? Dite quello che vi pare ma è talmente tamarra che è già
amore.
4) IL MILLENNIUM FALCON
E questo invece è il momento in cui è scesa una lacrima.
In pochissimi secondi quel sadico di Abrams ci ha fatto intuire un film maestoso, con effetti speciali pazzeschi e pieno di nuove trovate, che cercano di sviluppare la saga ma allo stesso tempo partono dai vecchi film. Allo stesso tempo non si capisce nulla: insomma, in poco più di un minuto questo teaser ha polverizzato tutte le prossime uscite cinematografiche future da qui a dicembre 2015, data di uscita del film. Ora troppo, davvero troppo lontana.
L'avrò visto già 10 volte: fino a Natale 2015 sarà davvero dura.
Ecco il trailer in inglese (con la voce misteriosa):
E la versione in italiano:
lunedì 24 novembre 2014
Hunger Games: Il canto della rivolta parte 1 – Fuori dall’arena la rivoluzione è mediatica
Arriva in sala il terzo capitolo di Hunger Games, tratto dall’omonima saga letteraria di Suzanne
Collins, prima parte dell’ultimo tomo, diviso in due per il cinema, che fa da prologo al gran finale
previsto per il prossimo anno
Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) sta alle eroine delle saghe cinematografiche così come
Mulan alle principesse Disney: la giovane abitante di Panem, letale con l’arco e divisa tra l’amore
di Gale (Liam Hemsworth) e quello di Peeta (Josh Hutcherson), rappresenta un punto di svolta
nei blockbuster destinati ai più giovani, proprio come la ragazza cinese che, osando sfidare
perfino gli Unni e l’Imperatore, salva sia il suo popolo che l’uomo che ama, riscattando decine di
principesse che prima di lei si erano limitate a sposarsi e a farsi soccorrere dal principe azzurro.
Contrariamente a quanto accaduto a Mulan però, Katniss non è costretta a fingersi uomo, anzi,
usa il suo aspetto femminile e alcuni degli artifici tipici del gentil sesso, come il trucco e i vestiti,
quali mezzi da usare nella sua battaglia, dapprima personale e poi universale, al pari delle frecce,
trasformandosi così in un personaggio a tutto tondo che non rientra né nello stereotipo della
“donzella indifesa e innamorata”, né in quello del “maschiaccio”. Una figura praticamente inedita
in questo genere di film, fatto che trasforma la protagonista di Hunger Games in una figura di
rottura destinata a diventare un’icona.
Grazie a questo aspetto, e a un’idea di base che unisce caratteristiche dell’antica Roma alle strategie
di comunicazione tipiche del nostro tempo, la saga, tratta dai romanzi di Suzanne Collins, è
sicuramente uno dei franchise per ragazzi più interessanti degli ultimi anni, anche grazie alla sua
protagonista, Jennifer Lawrence, per una volta non emaciata e dai lineamenti delicati come altre
eroine, ma con un physique du role adatto al ruolo che interpreta.
Dopo due film incentrati sui giochi, in cui i tributi dei vari distretti devono uccidersi tra loro,
il terzo capitolo di Hunger Games si affaccia fuori dall’arena e affronta una guerra più sottile e
subdola: lo scontro tra i ribelli simboleggiati da Katniss e il presidente Snow (Donald Sutherland)
è una lotta che va avanti a colpi di spot e proclami mediatici, in cui le crudeli azioni militari sono
portate avanti in funzione di ottenere video con cui plasmare l’opinione delle masse, pronte a
credere al testimonial più convincente piuttosto che ai fatti.
In Il canto della rivolta – parte 1, l’ex ragazza di fuoco è chiamata a diventare il simbolo della
ribellione contro Capitol City, centro di potere di Panem: a puntare tutto su Katniss è Plutarch
Heavensbee (Philip Seymour Hoffman), braccio destro di Alma Coin (Julianne Moore), presidente
del tredicesimo distretto e capo della rivolta contro Snow. Coin fa di Katniss il volto della lotta
contro il potere, ingaggiando appositamente un team di registi e operatori incaricati di girare dei
video da usare come scintille per innescare la reazione a catena che deve portare al rovescio del
governo di Capitol City. Divenuta così “la ghiandaia imitatrice”, Katniss accetta di combattere ma
allo stesso tempo ha un pensiero che la assilla: la salvezza di Peeta, prigioniero di Snow divenuto la
sua arma di propaganda anti-ribelli.
I temi affrontati in questo terzo capitolo fanno fare un balzo in avanti alla saga, riuscendo a
trasformare Hunger Games in qualcosa di più di una semplice versione americana del fumetto
giapponese Battle Royale, offrendo spunti interessanti come l’importanza sempre più cruciale del
marketing e della comunicazione, della potenza enorme che può avere un simbolo, e costruendo
anche un discorso sul cinema stesso, mezzo in grado di creare storie ed eroi grazie all’uso delle
immagini (la stessa Katniss viene ripresa, a volte addirittura davanti a un green screen e altre sul
campo, creando un curioso effetto meta-cinematografico). Il canto della rivolta parte 1 è dunque,
fino a ora, il capitolo più maturo e dark della saga, ma, nonostante i diversi aspetti positivi, deve
piegarsi a una forza più grande: gli interessi economici. Seguendo la scia di Warner Bros. e della
Summit Entertainment, che hanno sdoppiato in due i finali di Harry Potter e Twilight, anche
la Lions Gate ha deciso di dividere in due il terzo e ultimo capitolo di Hunger Games, andando
incontro a un allungamento eccessivo e sproporzionato della storia: questa prima parte è un
preludio dilatato che invoglia lo spettatore ma che non decolla mai, preparando il terreno alla
conclusione in cui, si presume, esploderà davvero tutto il potenziale della saga.
In questo terzo capitolo tutto è sacrificato in favore dei tormenti interiori della protagonista, divisa
non solo tra i suoi due amati, Peeta e Gale, ma anche nel suo ruolo, non abbracciando in pieno
l’incarico di “simbolo” e anteponendo spesso i suoi sentimenti personali al bene della comunità.
In questo modo diversi personaggi sono sacrificati, Peeta e Gale in primis, ma anche Finnick
(Sam Claflin) e gli stessi Plutarch, Coin e Snow, relegati a poche scene. Tutto il peso della pellicola
ricade dunque sulle spalle larghe della protagonista, che, chiamata ad affrontare diverse scene
drammatiche, risulta meno convincente rispetto alla prova data nelle scene d’azione viste nei
capitoli precedenti, peccando spesso di recitazione esagerata e sopra le righe. L’overacting della
Lawrence è sottolineato maggiormente quando si trova a recitare di fronte ad artisti raffinati come
Julianne Moore, perfetta anche di fronte a un microfono, Philip Seymour Hoffman, in una delle sue
ultime prove, o anche Elizabeth Banks, che fornisce gli unici momenti di humor del film, e Woody
Harrelson, che ha pochissime battute ma quando prende la parola ruba la scena a chiunque.
Questo “promo”del finale sembra dunque un girare a vuoto, che cerca in continuazione di mettere
in scena il dramma senza mai emozionare realmente e che diventa davvero interessante proprio
negli ultimi minuti, lasciando con la sgradevole sensazione di aver assistito a un qualcosa di
semplice “passaggio”.
Aspettiamo dunque il prossimo anno in cui, ed è strano dirlo, speriamo di “bruciare” davvero
insieme ai ribelli di Panem e alla loro ghiandaia imitatrice.
Jennifer Lawrence e Julianne Moore
La citazione: "Se noi bruciamo, voi bruciate con noi"
Hearting/Cuorometro: ♥♥1/2
Uscita italiana: 20 novembre 2014
Titolo originale: The Hunger Games: Mockingjay - Part 1
Regia: Francis Lawrence
Anno: 2014
Cast: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Donald Sutherland, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Jeffrey Wright, Stanley Tucci, Sam Claflin, Natalie Dormer, Willow Shields
Colore: colore
Durata: 123 minuti
Genere: avventura
Sceneggiatura: Danny Strong, Peter Craig
Fotografia: Jo Willems
Montaggio: Alan Edward Bell, Mark Yoshikawa
Musica: James Newton Howard
Paese di produzione: USA
Casa di produzione: Lions Gate
Distribuzione italiana: Universal Pictures
Pubblicato XL.
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domenica 16 novembre 2014
Frank
La pellicola di Lenny Abrahamson, liberamente ispirata alla vera storia di Chris Sievey, comico inglese creatore dell'alter ego Frank Sidebottom, è un viaggio fisico e spirituale attraverso i meandri insondabili della creazione artistica, che spesso si accompagna a esperienze traumatiche e follia, incarnate nel volto impassibile e grottesco di Frank, cantante e artista puro e fragile, che indossa una maschera per isolarsi dal mondo, coprendo così il volto bellissimo di Michael Fassbender, qui a una delle prove più coraggiose della sua carriera
Contrariamente a quanto la società contemporanea voglia farci credere, essere un artista, un vero artista, e non un semplice personaggio costruito a tavolino, non è una cosa che si può decidere così su due piedi: lo scopre a sue spese Jon (Domnhall Gleeson), aspirante musicista che cerca con ostinazione una sua voce originale per scrivere canzoni, ma che non riesce a trovare nulla che lo ispiri. Diviso tra un grigio lavoro in ufficio e i suoi sogni di gloria repressi, Jon ha un colpo di fortuna inaspettato: è chiamato a sostituire il tastierista dei Soronprfbs, band sperimentale dal nome impronunciabile, guidati da Frank (Michael Fassbender), musicista che si lascia ispirare da qualsiasi cosa, perfino un filo tirato della moquette, che vive le sette note come un flusso continuo di coscienza, in cui può perdersi e ritrovarsi ogni volta, e che ha un rapporto conflittuale con il mondo esterno: rinchiuso per anni in un istituto psichiatrico, Frank indossa un'enorme testa di resina sul volto, che non toglie nemmeno per mangiare o lavarsi.
Segregato per più di un anno in una baita insieme alla band, tra cui spicca la passionale e pericolosa Clara (Maggie Gyllenhaal), artista pura e dura incapace di scendere a compromessi quando si tratta di musica, Jon si lascia guidare dai suoi strampalati e geniali compagni di viaggio nel mondo dell'arte più intima e istintiva, quella che nasce a causa dell'esigenza quasi fisiologica di esprimersi e di dare forma a sentimenti ed emozioni che sembrano sorgere spontaneamente, senza il bisogno di avere necessariamente un pubblico, un mondo e un modo di sentire cui il ragazzo, privo di talento, non appartiene e che, una volta compresa l'amara verità, cerca di trasformare in successo personale, cavalcando l'onda della curiosità morbosa della società moderna per tutto ciò che è singolare e diverso. Durante il suo anno formativo, Jon riprende la band, e in particolare Frank, trasformandola in un fenomeno di internet postando foto e video del cantante durante i suoi eccessi creativi, guadagnandosi così la possibilità di suonare a un importante festival musicale.
Commedia brillante che si trasforma pian piano in un dramma amaro, Frank, pellicola dell'irlandese Lenny Abrahamson, liberamente ispirata alla vita del comico Chris Sievey, creatore del suo alter ego musicale Frank Sidebottom, che indossava davvero una testa di cartapesta come quella del film, è una riflessione originale sull'arte e sulla sua origine: sempre più difficile da trovare oggi, in un mondo in cui le immagini e i tweet si sono sostituiti alle parole e alle note, l'arte è vista nel film come un dono, e allo stesso tempo un peso, che viene da un'altra dimensione, diversa da quella dell'immagine e del desiderio di successo. Frank e la sua band sono persone che hanno subito esperienze traumatiche, psicologicamente fragili e disconnesse dal senso comune, a cui occhi sembrano quasi dei bambini intenti a giocare con cose più grandi di loro. Paradossalmente, negli occhi fissi di Frank, c'è però molta più umanità che non in quelli di Jon, spugna che assorbe quanto più possibile dalla sua talentuosa guida e che non restituisce nulla se non un'immagine che non rispecchia la vera sensibilità del musicista, di cui il pubblico ama la stranezza senza aver mai sentito nemmeno una sua nota.
Il difficile compito di parlare del talento come di una malattia, che consuma ed eleva allo stesso tempo il suo portatore, è affidato sulle spalle di Michael Fassbender, interprete ormai lanciatissimo nello star system hollywoodiano, che qui sceglie di rinunciare al suo volto da copertina per mettersi alla prova in un ruolo difficilissimo, in cui la fisicità e la capacità di emozionare con la voce sono le uniche armi a disposizione. Grazie a un'interpretazione incredibile, in cui ogni gesto ha un significato ben preciso e la presenza fisica diventa vera e propria mimica espressiva, l'attore irlandese fornisce una prova brillante, riuscendo a infondere un'umanità struggente a una maschera immobile. A fare da contraltare a Fassbender è Domnhall Gleeson, figlio d'arte di Brendan, per una volta all'altezza del genitore, che, dopo le prove convincenti in Il Grinta e soprattutto in Questione di tempo, si conferma un talento poliedrico, in grado di giocare brillantemente con toni comici e drammatici e che per questo rende più amara la parabola del suo personaggio, che, più o meno volontariamente, cerca di mercificare e normalizzare qualcosa di unico e bello, che nasce da esperienze, incomprensibili per chi non le prova, come la malattia mentale e la sofferenza interiore.
Se dovessimo fornire una recensione del film utilizzando soltanto la descrizione della nostra espressione facciale, proprio come fa Frank nella pellicola, potremmo dire che è un sorriso a labbra chiuse seguito da una lacrima liberatoria.
Michael Fassbender
La citazione: "Sarebbe d'aiuto se comunicassi le mie espressioni facciali? Sorriso cordiale "
Hearting/Cuorometro: ♥♥♥1/2
Uscita italiana: 13 novembre 2014
Titolo originale: Frank
Regia: Lenny Abrahamson
Anno: 2014
Cast: Michael Fassbender, Domnhall Gleeson, Maggie Gyllenhaal, Scoot McNairy
Colore: colore
Durata: 95 minuti
Genere: commedia drammatica
Sceneggiatura: Jon Ronson, Peter Straughan
Fotografia: James Mather
Montaggio: Nathan Nugent
Musica: Stephen Rennicks
Paese di produzione: Regno Unito, Irlanda
Casa di produzione: Film4
Distribuzione italiana: I Wonder Pictures
Pubblicato su XL.
venerdì 7 novembre 2014
Interstellar: "There's a starman waiting in the sky"
Christopher
Nolan costruisce il più classico dei viaggi spazio-temporali per tuffarsi con
coraggio nel buco nero dell'ignoto e trasformare la magia del cinema nella
quinta dimensione
Fin dal primo respiro, conosciamo ed esploriamo il
mondo utilizzando i nostri sensi: vista, udito, tatto, gusto, olfatto, grazie
ai neuroni sensoriali creiamo una mappa della vita, la trasformiamo in
esperienza, ricordi, emozioni. E se è vero che anche piante e animali possiedono
un sistema nervoso, quello dell'uomo si è sviluppato a tal punto da portarlo a
interrogarsi sul perché della sua esistenza, a desiderare di trascendere la sua
natura mortale e limitata, a chiedersi cosa ci sia nello spazio profondo oltre
a noi, minuscoli granelli di sabbia in confronto alla vastità dell'universo.
La natura contraddittoria dell'uomo, uno spirito che
tende all'infinito racchiuso dentro un corpo mortale, è forse il tratto più
affascinante del genere umano, che ha tormentato e ispirato nel corso dei
secoli poeti, scienziati e filosofi. Questa natura è il centro d'interesse
dell'opera di Christopher Nolan, regista che fin dai suoi primi lavori ha
cercato di esplorare i sensi umani e le implicazioni morali che portano con sé:
dopo aver scomposto la memoria in particelle elementari in Memento, aver dimostrato l'estrema facilità con cui può essere
ingannato lo sguardo in The Prestige
ed essersi tuffato negli abissi più profondi del subconscio in Inception, il naturale step evolutivo
della cinematografia del regista inglese non poteva che essere l'affrontare il
mistero sublime dell'ignoto.
Pescando a piene mani dai film di fantascienza che
più hanno contribuito all'evoluzione del genere, Nolan ha costruito il suo
personale ritratto della natura umana: nella sua ultima pellicola il regista ha
l'ambizione di spingersi dove nessun altro ha mai osato prima, ovvero
direttamente all'interno del buco nero dell'ignoto, cercando di fornire una
risposta.
In Interstellar
siamo di fronte a uno scenario apocalittico: la Terra è ormai spacciata, le sue
risorse sono quasi esaurite e l'uomo è tornato a uno stadio primitivo in cui
agli scienziati si preferiscono gli agricoltori. Cooper (Matthew McConaughey),
un ingegnere e astronauta che ha sognato da sempre lo spazio senza mai poterci
andare, non è pronto ad accettare con rassegnazione la fine del genere umano e
il suo imbarbarimento: grazie alla figlia, Murph, chiamata così in onore della
Legge di Murphy, segue il suo sogno e parte alla ricerca di un nuovo pianeta in
cui l'umanità possa vivere. Durante il viaggio però, Cooper deve fare i conti
con diversi fantasmi, a cominciare dal tempo, che nello spazio scorre a
velocità differente che sulla Terra, e soprattutto con i sentimenti, che
possono portare a grandi gesti di altruismo o a egoistica violenza.
Il riferimento principe del nuovo film di Nolan,
grande estimatore di Stanley Kurbrick, è palese: il regista inglese ha
concepito e realizzato il suo 2001:
Odissea nello spazio, inserendo, come nella pellicola del 1968, buchi neri
e salti temporali, interrogativi filosofici e immagini mozzafiato, creando
persino dei robot che nel design ricordano il monolite nero del film di
Kubrick. 2001 però non è l'unica
fonte di ispirazione: come in L'uomo dei
sogni, film del 1989 di Phil Alden Robinson, c'è il rapporto tra un padre e
una figlia, piantagioni di granturco e campi da baseball, e come in Solaris, pellicola del 1972 di Andrej
Tarkovskij, c'è lo studio di nuovi pianeti e lo straziante rapporto tra chi
viaggia tra le stelle e chi invece rimane sulla Terra. Come un Don Chiscotte
spericolato, Nolan decide però di fare il passo successivo: contrariamente a
quanto fatto da Kubrick, il cui film è un'esperienza visiva che penetra
direttamente nel subconscio per stimolarlo e interrogarlo e su cui ognuno può
speculare a suo piacimento, Nolan decide di spingersi oltre cercando di fornire
le risposte a quegli interrogativi. La grandezza di Interstellar, così come la sua debolezza, sono qui: da una parte il
coraggio del regista è ammirevole, dall'altra, a meno che lo spettatore non
decida di farsi coinvolgere dalla sua visione, che è umana e quindi per sua
natura non misurabile scientificamente ma soggettiva, l'ambizione del regista
potrebbe essere confusa facilmente con presunzione o hybris.
A prescindere dal fatto che la risposta piaccia o
meno, il modo di arrivare a quella risposta è fondamentale: che lo si ami o lo
si odi, Christopher Nolan è forse l'unico regista in grado di realizzare grandi
film dal budget milionario che allo stesso tempo sono opere autoriali, in cui
la forma e il contenuto cercano di coesistere e di darsi forza a vicenda. Il
viaggio fisico e interiore di Cooper è terribile e affascinante, reso tangibile
da immagini spettacolari che si accompagnano a fiumi di parole, che cercano di
spingere lo spettatore sempre un gradino più in là. Questa natura duplice del
film di Nolan, da un lato forte di immagini di grande impatto e parole
inarrestabili, è ancora una volta forza e debolezza: se da una parte gli intricati
sviluppi della trama sono affascinanti, dall'altra appesantiscono a volte il
racconto, laddove le immagini erano già sufficienti a raccontare.
Questi aspetti apparentemente contraddittori
dell'opera di Nolan sono però l'elemento chiave: il regista sa che, dato che
ognuno di noi è dotato di un sistema nervoso simile a quello dei suoi simili ma
unico e differente, non è possibile avere un'identica visione del mondo,
soprattutto emotiva, quindi dapprima cerca di portare lo spettatore sull'orlo
dell'abisso grazie a trame calcolate al millimetro e dati scientifici, e poi,
una volta dentro l'ignoto, ne emerge con la sua visione personale. E cosa è
l'arte se non la visione del mondo attraverso uno sguardo unico e personale? È
proprio l'arte che permette di dare un senso al tempo e allo spazio, laddove
fisica e numeri non possono, almeno per ora, arrivare: se comprendessimo
davvero cos'è la quinta dimensione probabilmente saremmo esseri diversi, con
emozioni e ambizioni diverse. La quinta dimensione, per chi non si accontenta
semplicemente di sopravvivere ma vuole guardare in alto, non può che essere
l'amore: nel caso dei personaggi del film l'amore tra un padre e una figlia, o
un uomo e una donna, nel caso del regista amore per la cultura e il cinema,
dimensione che fisicamente esiste solo nella pellicola, ma che in astratto
plasma spazio e tempo, gioca con vista e udito, racchiude una vita in tre ore e
suscita emozioni vere.
Il fascino di Interstellar
è dunque nei versi di Dylan Thomas citati più volte: bisogna arrabbiarsi per il
morire della luce, combattere l'oscurità della mente e dello spirito. All'uomo
è stata data la scintilla della curiosità e dell'intelletto: usarla per
attraversare l'infinitamente grande per poi tornare all'infinitamente piccolo è
ciò che lo rende umano e splendidamente banale. L'artista che cerca di compiere
questo atto, allo stesso tempo folle e coraggioso, assumendosi anche il rischio
di fallire, è come l'uomo delle stelle cantato da David Bowie in Starman:
"There's a starman waiting in the sky.
He'd like to come and meet us. But he thinks he'd blow our minds".
Matthew McConaughey
La citazione: "Non andartene docile in quella buona notte, I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno; Infuria, infuria, contro il morire della luce".
Hearting/Cuorometro: ♥♥♥♥
Uscita italiana: 6 novembre 2014
Titolo originale: Interstellar
Regia: Christopher Nolan
Anno: 2014
Cast: Matthew McConaughey, Jessica Chastain, Anne Hathaway, Michael Caine, David Gyasi, Wes Bentley, Matt Damon, John Litghow, Casey Affleck, Topher Grace, Mackenzie Foy
Colore: colore
Durata: 169 minuti
Genere: fantascienza
Sceneggiatura: Christopher e Jonathan Nolan
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Musica: Hans Zimmer
Paese di produzione: USA, Regno Unito
Casa di produzione: Warner Bros., Syncopy Films, Paramount Pictures, Legendary Pictures
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