Parlare di Invictus è molto difficile.
Sarà perchè ormai Clint è il nostro cocco, il più grande regista vivente, e nell'ultimo decennio non ha fatto nulla al di sotto del capolavoro assoluto (Mystic River, Million dollar baby, Changeling, Gran Torino vi dicono nulla?) e quindi da lui non ci aspettiamo altro che un'opera eccezionale.
Raccontare la storia di Mandela dandogli il volto dell'amico Freeman - che è vero è un prezzemolino dello schermo ormai, ma quando si impegna è veramente bravo - sembrava una garanzia.
E invece.
Lo stile classico e allo stesso tempo asciutto, cinico ma mai condannatorio sono il marchio di fabbrica di quest'uomo meraviglioso dagli occhi di ghiaccio che gira con un tocco leggero e duro allo stesso tempo.
Qui invece, per la prima volta, il buon vecchio Clint si è fatto prendere la mano dalla melassa.
Ad un certo punto sembra di vedere un film dello Spielberg che vuole fare il serio (mi è venuto subito in mente, durante la visione, Shindler's List).
Non ci sarebbe niente di male in questo, ma non se sei Clint Eastwood!
Spielberg, si sa, si fa prendere la mano quando vuole fare il serio (sostengo da anni che i suoi film più belli sono quelli di fantascienza e avventura, in cui è un vero maestro ed il più grande di tutti, e che dovrebbe tornare a fare quelli per la gioia di tutti noi), si fa catturare dalla storia e dai suoi personaggi e spesso non riesce a rimanere distaccato con il risultato di finali lunghissimi e strappalacrime, in cui vuole dire tutto e alla fine dice troppo.
Ma cavolo Clint tu no!
Uno che ha parlato di eutanasia, riscatto e misogenia attraverso il pugilato in Million Dollar Baby, uno che parla di razzismo, vecchiaia, fede e cita tutto il suo cinema in un solo gesto in Gran Torino, uno che finalmente ha fatto recitare come si deve Angelina Jolie, non può fare un filmone roboante e ottimista al 100%, quasi buonista, condito con chili di melassa, appesantito da un rallenty finale quasi fastidioso.
Sì è proprio vero: Eastwood che usa il rallenty!
Cose dell'altro mondo.
Per carità siamo sempre al cospetto di un gran film: emozionante, ben scritto, ottimamente interpretato, ovviamente girato da Dio, ma non è il tipo di film e di stile a cui Clint ci ha abituato.
Sarà la vecchiaia anche per lui?
Sarà che ormai ha nipotini e voleva fare un film che anche loro potessero vedere senza rimanere traumatizzati?
Chi siamo noi per giudicare un genio come Clint? Se vuole fare un film del genere che lo faccia, ma per sapere che una pellicola è in puro Eastwood-style ci vuole quella sensazione che puntualmente, ad una ventina di minuti dalla fine del film, ti stringe la bocca dello stomaco.
E con Invictus non c'è stata.
La citazione:
"- Allora com'è?
- E' diverso da chiunque altro abbia mai incontrato"
Voto: ♥♥♥1/2
Sarà perchè ormai Clint è il nostro cocco, il più grande regista vivente, e nell'ultimo decennio non ha fatto nulla al di sotto del capolavoro assoluto (Mystic River, Million dollar baby, Changeling, Gran Torino vi dicono nulla?) e quindi da lui non ci aspettiamo altro che un'opera eccezionale.
Raccontare la storia di Mandela dandogli il volto dell'amico Freeman - che è vero è un prezzemolino dello schermo ormai, ma quando si impegna è veramente bravo - sembrava una garanzia.
E invece.
Lo stile classico e allo stesso tempo asciutto, cinico ma mai condannatorio sono il marchio di fabbrica di quest'uomo meraviglioso dagli occhi di ghiaccio che gira con un tocco leggero e duro allo stesso tempo.
Qui invece, per la prima volta, il buon vecchio Clint si è fatto prendere la mano dalla melassa.
Ad un certo punto sembra di vedere un film dello Spielberg che vuole fare il serio (mi è venuto subito in mente, durante la visione, Shindler's List).
Non ci sarebbe niente di male in questo, ma non se sei Clint Eastwood!
Spielberg, si sa, si fa prendere la mano quando vuole fare il serio (sostengo da anni che i suoi film più belli sono quelli di fantascienza e avventura, in cui è un vero maestro ed il più grande di tutti, e che dovrebbe tornare a fare quelli per la gioia di tutti noi), si fa catturare dalla storia e dai suoi personaggi e spesso non riesce a rimanere distaccato con il risultato di finali lunghissimi e strappalacrime, in cui vuole dire tutto e alla fine dice troppo.
Ma cavolo Clint tu no!
Uno che ha parlato di eutanasia, riscatto e misogenia attraverso il pugilato in Million Dollar Baby, uno che parla di razzismo, vecchiaia, fede e cita tutto il suo cinema in un solo gesto in Gran Torino, uno che finalmente ha fatto recitare come si deve Angelina Jolie, non può fare un filmone roboante e ottimista al 100%, quasi buonista, condito con chili di melassa, appesantito da un rallenty finale quasi fastidioso.
Sì è proprio vero: Eastwood che usa il rallenty!
Cose dell'altro mondo.
Per carità siamo sempre al cospetto di un gran film: emozionante, ben scritto, ottimamente interpretato, ovviamente girato da Dio, ma non è il tipo di film e di stile a cui Clint ci ha abituato.
Sarà la vecchiaia anche per lui?
Sarà che ormai ha nipotini e voleva fare un film che anche loro potessero vedere senza rimanere traumatizzati?
Chi siamo noi per giudicare un genio come Clint? Se vuole fare un film del genere che lo faccia, ma per sapere che una pellicola è in puro Eastwood-style ci vuole quella sensazione che puntualmente, ad una ventina di minuti dalla fine del film, ti stringe la bocca dello stomaco.
E con Invictus non c'è stata.
La citazione:
"- Allora com'è?
- E' diverso da chiunque altro abbia mai incontrato"
Voto: ♥♥♥1/2
Ma che davero? Cioè ci rimango male eh? Forse se riesco vado domani.
RispondiEliminaAle55andra
non è un capolavoro come mi aspettavo. non mi ha fomentato, non abbastanza almeno, e penso gli manchi qualcosa, così, a pelle.
RispondiEliminaperò finalmente un film che in un certo senso fa capire come lo sport non è mai soltanto uno sport, ma un fenomeno sociologico e culturale. So anni che lo dico (detto ciò chiudo con un Forza Roma).
@Ale55andra: eh per me è stato così. Volevo che fosse un altro capolavoro, ma non mi è sembrato così.
RispondiElimina@Lessio: non è un film del Clint Eastwood che abbiamo visto finora.
Il suo stile duro, a volte caustico e realistico qui è diventato tutto un "volemose bene"!
Non sembra quasi un suo film!
Però è ovviamente girato da Dio e interpretato benissimo.
Secondo me l'ha reso troppo poco personale.
E' evidente che non ami il rugby - forse non lo capisci - e non ami neanche Mandela. E' un film bellissimo e basta. E' stupendo che alla soglia degli 80 anni Eastwood abbia voluto regalarci un film che parli di All Blacks, di Springboks e di Nelson Mandela.
RispondiElimina@ Anonimo: scusa ma cosa c'entra amare o no il rugby?! Come sport non mi dispiace, e ammiro moltissimo Mandela, ciò non toglie che Clint Eastwood abbia usato uno stile differente rispetto al suo solito.
RispondiEliminaE se leggi bene vedrai che ho detto che è un ottimo film, ma non è un capolavoro come i suoi ultimi lavori.
Poi scusa allora per apprezzare film come Mean Streets o Il padrino bisogna essere gangster o mafiosi?!
O per apprezzare 2001 Odissea nello spazio essere degli astronauti?!
Dr House non è seguito mica solo da medici.
Se non sei d'accordo con quello che ho scritto del film argomenta ma non dire che non l'ho capito o che non mi piace l'argomento perchè non è assolutamente vero.
Ciao!
Se pensi che Clint ha fatto solo capolavori significa che non ti ricordi "flag of our fathers"... Una lagna assurda piena di buonissimo e con un finale che appunto... Non finisce più. Complimenti per il blog.
RispondiElimina@Anonimo se capisci di rugby... E' come vedere Rocky per qualcuno che conosce realmente quello sport oppure Driven per un appassionato di F1, non aggiungo altro...
RispondiEliminaPoi la storia non rispetta neanche la realtà...
@Moliseven: ciao! Infatti nella recensione quando parlo di capolavori nomino Mystic River, Million Dollar Baby, Changeling e Gran Torino.
RispondiElimina^_^
@Valentina sono d'accordo. Million Dollar baby su tutti!
RispondiEliminaL'ho visto ieri, anche a me ha lasciato perplesso.
RispondiEliminaBella storia, film superiore alla media odierna, ma un po' troppo romanzato. Infiniti i camei di bontà, correttezza e perbenismo