giovedì 15 maggio 2008

Sylvia

“L’insostenibile leggerezza dell’essere”.




La maggior parte delle persone vive senza pensare troppo ai problemi geneticamente insiti nella natura umana.
Alcune si rendono conto delle miserie, che prima o poi tutti devono provare sulla propria pelle, ma si fanno forza e vanno avanti.
Poche anime sensibili si lasciano prendere dallo sconforto per il dolore che dobbiamo sopportare, ma, con uno sforzo enorme sulla propria forza di volontà, si costringono a vivere.
Pochissime creature ultrasensibili al punto da provare dolore per un gesto o un sorriso a mezza bocca non riescono a vivere, trafitte da ogni piccola manifestazione della natura e delle persone, incapaci di non dare peso ai pensieri altrui, troppo recettive ad ogni dettaglio, consapevoli di ogni pensiero non detto, di ogni meschinità compiuta e nascosta.
Queste creature esasperatamente sensibili non riescono a vivere in armonia con gli altri e soprattutto con sé stessi, perché la loro stessa natura impedisce loro di integrarsi nella società e conformarsi agli altri.
Spesso però la loro sensibilità fuori dal comune se da una parte impedisce loro di condurre una vita “normale”, dall’altra dà loro una visione diversa delle cose e dell’esistenza, che spesso viene espressa in forme d’arte non convenzionali e geniali.
Genio e sofferenza, dolore e creatività.
Un mito per i romantici dell’800 e un incubo per questi esseri infelici per natura.
Oggi noi li chiamiamo maniaci depressivi.
Una di queste creature speciali è Sylvia Plath, la poetessa americana autrice della raccolta di poesie “Ariel”, uno dei testi più significativi del ‘900.
La sua storia è stata raccontata da un film del 2003, inedito in Italia, con protagonista Gwyneth Paltrow.


Gwyneth Paltrow


Il film è incentrato soprattutto sul rapporto di amore e distruzione tra la poetessa e suo marito Edward Hughes, poeta a sua volta, interpretato da Daniel Craig.
Vediamo così una giovane ed esuberante Sylvia sfrecciare con la sua scintillante bicicletta rossa tra le stradine inglesi per raggiungere l’università dove studia letteratura. L’ambizione di diventare una poetessa l’ha già conquistata e cerca di far pubblicare le sue poesie da varie riviste universitarie.
Frequentando l’ambiente degli studenti-poeti dell’università incontra Edward - detto Ted - Hughes, giovane poeta in ascesa, dotato di fascino e con la passione per le belle ragazze.
Sylvia si innamora subito di lui e della sua poesia, lui rimane folgorato da questa ragazza dalle labbra scarlatte e dal temperamento forte. Tra i due scatta una passione fortissima, dettata dall’attrazione fisica e dalla stima intellettuale. Quando Ted riesce a far pubblicare le sue poesie e diventa uno scrittore di successo, i due si sposano e si trasferiscono in America.
Qui cominciano i guai: Sylvia si relega nel ruolo della mogliettina perfetta, cominciando a sfornare torte in continuazione invece di scrivere, e Ted, attirato dalle possibilità che la fama gli offre, comincia a tradire ripetutamente la moglie.
Sylvia, a cui non sfugge nemmeno il più piccolo dettaglio, non ci sta a fare la moglie tradita e il suo matrimonio da unione supportata da un’intesa perfetta e totale si trasforma in un incubo fatto di litigi, urla e infelicità. Nel frattempo la coppia ha anche due bambini, ma all’ennesimo tradimento di Ted, Sylvia decide che è meglio separarsi.
Con la separazione da Ted, Sylvia sembra aver trovato nuova linfa vitale per la sua poesia e scrive in continuazione. Ma il suo amore per Ted, che è diventato quasi un’ossessione, la spinge a chiedergli di tornare con lei, ma ormai è troppo tardi: Ted aspetta un figlio da un’altra donna e non ha intenzione di tornare a vivere con Sylvia.
Il dolore sconvolge la poetessa al punto da farle commettere un gesto estremo: con l’aiuto del gas, Sylvia si toglie la vita.


Gwyneth Paltrow e Daniel Craig


Il film di Christine Jeffs purtroppo non rende giustizia alla figura di Sylvia Plath: incentrando tutta l’attenzione sul matrimonio della poetessa, la regista ce la presenta più come una casalinga disperata e depressa che come la grande artista che era. La disperazione della Plath sembra tutta incentrata sui tradimenti del marito e non emerge quel male di vivere che si portava dietro fin dall’adolescenza. Gwyneth Paltrow è brava e bella, ma il personaggio finisce per non avere quel fascino ribelle, quell’aria diversa, profonda e da messaggero ultraterreno che i poeti hanno e che avrebbe reso il personaggio memorabile. Inoltre il lavoro creativo di Sylvia è relegato agli angoli della vicenda, quasi non si capisce che anche lei è una poetessa: sembra quasi che per caso abbia scritto una delle raccolte di poesie più importanti dell’900! In più, Daniel Craig è totalmente fuori posto nella figura del poeta fascinoso, dell’intellettuale donnaiolo: è inutile che in questo film si sia tinto i capelli di scuro, come uomo di cultura non è proprio credibile, con lo sguardo “piacione” e l’atteggiamento da “posone” che si ritrova.


Daniel Craig


Insomma una figura tormentata e affascinante come quella di Sylvia Plath doveva essere affrontata con uno spirito totalmente diverso: si sarebbe dovuto mettere in evidenza la sua diversità, questo suo essere una donna bella e intelligente, che sapeva cogliere ogni piccola sfumatura dei pensieri degli altri, una figura inquietante perché fuori dagli schemi, sensibile al punto che starle accanto era assai difficile.
Nota di merito invece all’uso del rosso: la Sylvia giovane e audace veste sempre di rosso, ha la bicicletta rossa, usa un rossetto scarlatto e persino il suo abito da sposa è rosso; poi, man mano che il marito comincia a trascurarla e a tradirla, i suoi abiti si fanno sempre più grigi e Ted la tradisce con donne sempre vestite di rosso, segno che ormai cerca altrove la passione. Il rosso ritorna quando Sylvia tenta di riconquistare Ted e si rimette il rossetto, ma ormai è troppo tardi: l’ultimo rosso che tocca il suo corpo è quello del drappo che ricopre il suo corpo senza vita.
Una curiosità: ad interpretare il ruolo di Aurelia Plath, la madre di Sylvia, è Blythe Danner, la vera madre di Gwynet Paltrow.
Un’occasione, purtroppo, sprecata per rendere omaggio a una delle donne più straordinarie del XX secolo.


La citazione:
"Se hai abbastanza paura di una cosa, la fai diventare reale"

Voto: 1/2

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